In Italia dal 1992, la tedesca Lidl è un colosso del settore discount, forte di “una squadra di 22mila collaboratori e 750 punti vendita” (si legge sul suo sito Internet). Ma non sarebbe sempre simile alle réclame pubblicitarie la vita di chi vi lavora tutti i giorni. Marco (nome di fantasia), 39 anni, è assunto da 15 in un supermercato della costa abruzzese. Per nove anni è stato responsabile di filiale: poi, cinque anni fa, si è fatto demansionare («non ce la facevo più»). Adesso presta servizio da cassiere. Da qualche tempo Marco lamenta problemi, diagnosticati, di salute ed è in causa con l’azienda. «Sono stato costretto a chiederlo, il demansionamento – racconta – Carica e scarica i bancali, e le corsie. Gestisci il contante, i freschi, gli scaduti, le promo. Quando sei responsabile di filiale non hai scelta: devi commissionare tutte le merci. Io spostavo, movimentavo tonnellate di merce al giorno. Iniziavo alle 13 e 30 e staccavo alle 22. D’estate persino più tardi. Ero assunto a 38 ore ma ne facevo almeno 44 di “beggiate” (cioè con timbratura di entrata e uscita). Senza considerare che arrivavo sempre un’ora prima, perché altrimenti non sarei arrivato a fare quello che mi veniva richiesto. Fare il responsabile di filiale è un inferno. Da qui i miei guai alla schiena. E dormo a fatica. Ci sono degli invalidi permanenti alla Lidl: con gli anni, il lavoro usurante porta a questi risultati». Ora Marco possiede «un foglio di limitazioni garantitomi dall’azienda. Non posso manipolare merci con un peso superiore ai 10 kg: ma il nodo gordiano è anche la ripetizione, la velocità dei movimenti. Mio padre fa il muratore, ma il suo lavoro non è alienante come il mio».
Insofferenza e malcontento scorrono pure sul gruppo privato Facebook “Sei lideliano se…”, che raggruppa solo lavoratori Lidl. E sono iscritti migliaia. Un cahiers de doléances quotidiano. Alcuni vi accedono come utenti anonimi per paura di controlli dall’alto: creano un profilo ad hoc, per denunciare le presunte magagne. Qui in molti confermano l’usanza di entrare “sbeggiati” prima dell’inizio ufficiale del turno di lavoro: per guadagnare tempo, e rispettare così gli alti standard di produttività interna. Esisteva una sorta di tabella (che abbiamo visionato). Il documento stabiliva i tempi per commissionare (preparare) i prodotti. Qualche esempio: frutta e verdura, 50/60 colli sul bancale, 25 minuti; pane sul pellet, 26/30 colli,10 minuti; freschi, 45 colli box basso, 30 minuti; surgelati box, 25/30 colli, 20 minuti.
In “Sei lideliano se…” incontriamo Elisa, reduce da un mese e mezzo di infortunio, con terapie al polso e al ginocchio. C’è Dina, che ha avuto un «cedimento vertebrale, mi hanno messo titanio dappertutto». Barbara è stata operata da poco all’ernia, mentre Domenico profonde sarcasmo amaro: «Un vero lideliano lo riconosci dalle fasciature, tutori e busti che gli permettono di lavorare». In tanti si lamentano delle celle frigorifere piccole e del loro pavimento ghiacciato e scivoloso. Lì dentro, la temperatura sarebbe a meno 24 gradi: «Servono per surgelare il pane, ma ci mettiamo anche altro. Ci stiamo 20 minuti, se non di più». Capitolo potenza atletica. Dice Luca: «Per allineare i chep (pallet con sopra le merci accatastate ndr) di una nota marca di birra, ci sono voluti tre ragazzi di 100 chili l’uno e per scenderli dal pallet ce ne sarebbero voluti almeno 10. Ma noi 10 lavoratori di turno li abbiamo avuti forse solo durante il giorno dell’inaugurazione della filiale. Con il chep di questa birra, già l’anno scorso abbiamo avuto infortuni seri. Qua c’è gente che è già stata operata più di una volta alla schiena. Non giochiamo con le cose serie».
Ci sarebbe, per queste e altre evenienze, il Dvr (documento di valutazione dei rischi), obbligatorio per legge. Qualche anno fa sindacalisti e lavoratori Lidl denunciarono che fosse standard per tutte le filiali. «Quando feci richiesta di malattia professionale, non fu accettata perché l’Inail, andando a spulciare il Dvr, giunse alla conclusione che il mio non potesse essere un lavoro usurante – aggiunge Marco – Perché i responsabili di filiale non dovrebbero sbancalare tre camion al giorno come facevo io».
Discorso pause. Scrive ancora Elisa: «Orario 8-14. Chiedo un paio di volte di fare la pausa intorno alle 11 e 30 e poi verso le 12, quindi prima dell’orario di punta. Ma la risposta è “aspetta, dobbiamo finire a fare i freschi e i surgelati”. E nel frattempo tutti fanno la pausa, tranne me. Arrivano le 13 e 45: osservo che tanto vale ormai staccare qualche minuto prima, che non ha più senso fare la pausa visto che di lì a 15 minuti avrei terminato il mio turno di lavoro. Ma niente, mi viene negato dalla direttrice. “Quando fai la pausa, lo decido io”». «Ne abbiamo una ogni 6 ore, di 11 minuti – ci spiega Marco – Né più, né meno, nonostante maschi e femmine abbiano esigenze fisiologiche diverse». E alla nostra fonte, a prescindere dall’inquadramento contrattuale, toccherebbe anche «pulire i bagni, armato di guanti in lattice e candeggina».
Lidl Italia replica così: «Retribuiamo al minuto i nostri collaboratori e la gestione delle pause avviene nel pieno rispetto della normativa vigente. Le attività di pulizia rientrano fra le mansioni per le quali è prevista una figura specifica, assunta direttamente dall’azienda. Per quanto riguarda la sicurezza sul lavoro Lidl redige, nel pieno rispetto della normativa vigente, il documento di valutazione dei rischi per ognuno dei propri punti vendita. E in merito alle patologie, non ci risultano criticità peculiari di Lidl in questo ambito».