In Europa si aggira uno spettro nuovo: quello del “relativismo climatico”. Un discorso che non nega più l’origine umana del cambiamento climatico, ma ne relativizza la gravità, diffondendo l’idea apparentemente rassicurante che l’uomo si adatterà. L’Heartland Institute e la Global Warming Policy Foundation in Inghilterra, l’Association des Climato-Réalistes in Francia, l’Istituto Bruno Leoni in Italia: sono alcuni dei nomi dietro le quinte della nuova galassia relativista.
«ll contributo della Francia alle emissioni di CO2 è dello 0,2 per cento» ha affermato Jordan Bardella, presidente del Rassemblement national, il 15 marzo 2025 su France Inter, la principale emittente radiofonica francese. Sa bene che pochi ascoltatori andranno a verificare la veridicità della sua dichiarazione. Tra loro ci sono Eva Morel, fondatrice di QuotaClimat, e Charles Terroille, membro di Science Feedback. Le loro rispettive associazioni, insieme a Data for Good, hanno passato al setaccio tv e radio francesi. Il risultato del rapporto, pubblicato ad aprile, è sorprendente: 128 casi di disinformazione climatica rilevati sui media in soli tre mesi.
«Per disinformazione si intende ciò che è inesatto o ingannevole» spiega Eva Morel. L’Europa è il continente che si riscalda più rapidamente, ma le violente piogge di Valencia, le alluvioni in Germania o la siccità della Pianura Padana non bastano a frenare la nuova ondata di scetticismo. «Siamo passati dal negare il cambiamento climatico al negarne le cause umane. Dato che è difficile negare entrambe le cose, è diventato di moda dire che c’è un dubbio nella comunità scientifica – che non c’è – che la tecnologia ci salverà e che non è grave» dice Paula Gori, segretaria generale dell’Osservatorio europeo dei media digitali (Edmo).
Francia: il clima non è più una priorità
Le tesi più diffuse sostengono che «la crisi climatica non è una priorità. O che è una buona notizia e ci permetterà di trarne benefici economici», conferma Eva Morel. Dichiarazioni spesso rilasciate da scienziati in pensione o esperti di discipline non legate alla climatologia. A riprendere questi discorsi sono poi think tank liberali e politici: «Soprattutto di estrema destra», sottolinea Morel. Jean-Philippe Tanguy, deputato del Rassemblement national, respinge le accuse: «Non relativizziamo nulla. Riconosciamo pienamente l’autorità dei lavori dell’Ipcc sull’origine umana del riscaldamento climatico». Il suo partito ha elaborato un programma sulla riduzione delle emissioni lungo 50 pagine, chiamato “Marie Curie”. Difficile però sapere quali ricercatori abbiano contribuito alla sua stesura: «Quando sei scienziato e collabori col Rassemblement national, la tua carriera è in pericolo», si giustifica Jean-Philippe Tanguy.
In Francia, gli scienziati godono di visibilità mediatica e partecipano regolarmente a dibattiti e talk show. Céline Guivarch, economista e membro dell’Alto Consiglio sul Clima, spiega che «la disinformazione è diventata più insidiosa e si concentra sulle soluzioni. I discorsi puntano a ritardare l’azione e screditare opzioni come i veicoli elettrici o le rinnovabili».
Londra: la casa dei think tank Usa
Londra, dicembre 2024. Nel prestigioso Brooks’s Club, il più noto think tank negazionista americano – l’Heartland Institute – organizza una serata per l’inaugurazione del suo primo ufficio in Europa. Tra i presenti: Nigel Farage, leader del partito Reform Uk, erede del Brexit Party e l’ex premier conservatrice Liz Truss. Finanziato dall’industria petrolifera, secondo il Guardian, l’Heartland Institute pubblica articoli e libri, destinati agli insegnanti, che relativizzano l’impatto umano sul riscaldamento globale.
Se è vero che l’elezione di Trump ha galvanizzato il movimento climatoscettico inglese, «qui non c’è entusiasmo per le misure estreme adottate in America», sostiene Bob Ward, del Grantham Research Institute della London School of Economics. Anche perché nel Regno Unito esiste già un’organizzazione molto influente: la Global Warming Policy Foundation. «Sono noti come lukewarmers (i tiepidi): accettano la realtà del cambiamento climatico, ma non che comporti rischi significativi».
«Reform Uk si oppone alle politiche climatiche non per negazionismo, ma perché le ritiene troppo costose», precisa Bob Ward. Una dinamica simile a quella della destra in Francia. Lo scetticismo nei confronti della scienza non è altro, secondo lui, che «una mossa cinica da parte di gruppi politici ultraliberali, contrari all’intervento statale». I punti di riferimento di questi think tank sono spesso gli stessi: Steven E. Koonin, Alex Epstein o Bjørn Lomborg.
In Italia: tra scienza e disinformazione
Bjørn Lomborg ha i suoi ammiratori anche in Italia. Nicola Porro, autore del libro “La grande bugia verde”, denuncia un allarmismo climatico ingiustificato, sulla scia di Lomborg. Secondo il ricercatore Marc Zebisch, dell’Istituto Eurac Research di Bolzano, alla radice di tutto c’è una forma di paura: «Non è che la gente sia scettica nei confronti della scienza, ma è spaventata dalle azioni che essa richiede». E a pagarne le conseguenze sono gli scienziati che diventano “parte del sistema, dato che sono finanziati con i soldi dei contribuenti”. Quindi ci si rivolge a esperti alternativi. È il caso di Carlo Stagnaro, fondatore dall’Istituto Bruno Leoni, think tank ultraliberale in passato vicino all’Heartland Institute. Nonostante, come specificato dallo stesso Stagnaro, l’istituto non si occupi di climatologia, è stato scelto come esperto indipendente da Eni nella causa contro Greenpeace. Questa deriva preoccupa anche Davide Faranda, climatologo del laboratoire Lsce di Parigi. «Se la scienza non è più percepita come autorevole, il suo messaggio sarà sullo stesso piano dell’oroscopo. Screditare gli scienziati facilita la disinformazione».