Il possibile uso dei fondi per la coesione nella Difesa apre la porta alle tecnologie che hanno anche ricadute civili. Un’opportunità per modernizzare le aziende italiane e i distretti industriali

Le piccole e medie imprese puntano sul “dual use”

Il recente dibattito acceso dalla proposta della Commissione Europea di destinare una parte dei fondi di coesione per sostenere il settore della difesa ha aperto una riflessione sul futuro dell’Unione Europea tra esigenze di sicurezza e sviluppo territoriale. La Corte dei conti europea ha evidenziato come concentrare troppe risorse sulle urgenze legate a crisi geopolitiche rischi di distogliere l’attenzione dai bisogni locali e di aumentare la disparità tra regioni, mettendo a repentaglio l’efficacia delle politiche.

 

In questo scenario prende forza il concetto del “dual use”, ovvero l’impiego di tecnologie di difesa anche nel settore civile. Si tratta di una strategia che guarda avanti e punta a rafforzare la capacità di risposta dell’Unione non solo in caso di conflitto, ma anche di fronte a pressioni economiche, crisi climatiche, minacce informatiche o calamità naturali. Il tutto generando innovazione, nuovi posti di lavoro e resilienza.

 

Un’opportunità concreta anche per modernizzare le Pmi italiane, che garantiscono il 67 per cento dell’occupazione nazionale, ma che faticano a tenere il passo al ritmo accelerato dell’innovazione digitale e tecnologica. Secondo la Relazione al Parlamento dell’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale, nel 2024 le minacce informatiche più gravi come ransomware, DDoS e attacchi Apt hanno colpito soprattutto le Pmi, che spesso non hanno risorse adeguate per proteggere i propri sistemi. Per questo motivo, la resilienza digitale anche attraverso tecnologie dual use permetterebbe di rafforzare i distretti industriali più fragili, e rendere più unita e competitiva l’Unione Europea.

 

Esempi concreti di applicazione di una strategia dual use nelle Pmi italiane sono molti, come le imprese specializzate nella stampa 3D avanzata, in grado di realizzare componenti utili in settori strategici come quello aerospaziale e della difesa (per droni, veicoli o dispositivi militari), ma anche spendibili in ambiti civili come protesi biomeccaniche e strumenti di precisione.

 

Un’altra sfera d’interesse riguarda l’energia pulita, con 21.387 imprese in Italia impegnate nello sviluppo di sistemi energetici autonomi e fonti rinnovabili, con una previsione della crescita occupazionale di quasi 800mila nuovi posti di lavoro. L’uso di tecnologie come microreti intelligenti o pannelli solari locali non solo aiutano le aziende civili a ottimizzare e ridurre il consumo di elettricità, ma possono garantire la fornitura di energia a strutture strategiche – come basi operative o servizi di emergenza – anche in caso di blackout o attacchi alla rete nazionale.

 

Una questione di particolare urgenza, come dimostrato dal recente oscuramento che ha colpito Spagna, Portogallo e parte della Francia, mandando in tilt trasporti, telecomunicazioni e servizi sanitari essenziali. Questo episodio ha messo in luce la fragilità anche delle infrastrutture digitali e l’urgenza di investire in tecnologie resilienti e innovative.

 

Adottando una strategia orientata al dual use, le Pmi italiane avrebbero l’opportunità di aumentare la propria competitività, diversificare le linee di produzione, sviluppare soluzioni tecnologiche innovative e utili in ambito civile. Non ultimo, instaurare collaborazioni strategiche con università, enti pubblici e grandi realtà industriali. In questo modo, le aziende locali potrebbero crescere e diventare punti di riferimento per l’intera Europa, trasformandosi in distretti tecnologici all’avanguardia.

 

Affinché l’innovazione sia davvero sostenibile, deve però tenere conto del contesto in cui si sviluppa. Molti distretti industriali italiani nascono in luoghi di alto valore storico e simbolico – dai nuraghi della Sardegna alla città romana di Aquileia, dal Colosseo ai resti della Magna Grecia in Calabria – divenendo non solo poli produttivi, ma anche veri e propri guardiani di una memoria e identità collettiva.

 

Quando si considerano le opportunità che può offrire il progresso digitale, è fondamentale non dimenticare il Dna italiano ed europeo, unico nel suo genere per storia, tradizioni, istruzione, cultura e know-how industriale. Tenere a mente questo valore è necessario per evitare che innovazioni rapide e travolgenti spazzino via il patrimonio europeo.

 

Perciò è importante ribadire la necessità di preservare il patrimonio e know-how europeo di fronte ai rapidi cambiamenti digitali. Un modello di sviluppo “a rete”, che coinvolga pubblico e privato, grandi gruppi e Pmi, può essere l’esempio migliore per trasformare l’Italia in un caso virtuoso di come tecnologia e identità locale possano crescere insieme, senza cancellare le radici nazionali.

 

Come ricordato da Papa Leone XIV, l’intelligenza artificiale rappresenta una forza che promette progresso, ma che porta con sé interrogativi profondi, sociali ed etici, in cui la dignità umana rischia di essere travolta dalla corsa tecnologica. Un’esortazione affinché lo sviluppo tecnologico vada di pari passo con la giustizia sociale e il rispetto del capitale umano.

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