Economia
28 agosto, 2025Con le sanzioni in vigore, la borghesia di Mosca abbandona l’Italia e l’Europa e si riversa per le vacanze sugli Emirati. Che continuano la loro espansione nel settore turistico
Vacanze russe negli Emirati. Sotto l’ombrellone sulla spiaggia o a bordo piscina, mentre a casa si gela, e qualche volta anche ad agosto, nonostante i 40 gradi. «L’alternativa a Dubai è la Thailandia, al limite l’India, e ormai nemmeno più tanto la Turchia, che comincia a costare troppo» ci spiega Irina, medico di Ekaterinburg, in vacanza per una settimana al Rove La Mer Beach Hotel. «Qui il mare è cristallino», aggiunge con un sorriso che poi svanisce. «Fa tristezza non poter più andare in Italia o in Spagna: ci vogliono ormai due o tre scali passando dalla Turchia e anche avere il visto non è scontato».
Ai tavolini del lounge bar del Rove nove clienti su dieci sono russi. Non si parla né di politica né tantomeno di Ucraina: il fronte di quella che a Mosca chiamano “operazione militare speciale” sembra appartenere a un’altra dimensione. Il baricentro di questo mondo qui, invece, sta da un’altra parte: attraversando in linea d’aria il Golfo Persico, l’Iran dista appena 50 chilometri; e in fondo non sono così lontane né le repubbliche sovietiche dell’Asia centrale né l’India né la Cina. Per dire: mentre parliamo con Irina si tuffa Timur, dal Kazakistan a Dubai con il papà. In inglese fa «hello» e per presentarsi passa al russo: «La mia passione è lo snorkeling, non fa differenza se è estate o inverno, quando a casa si sta sotto la neve».
E le sanzioni contro Mosca, scattate dopo l’offensiva in Ucraina? Dal 2022 i pacchetti approvati dall’Unione Europea sono 18 ma qui sembra non essersene accorto nessuno. Anche perché nel frattempo gli Emirati sono divenuti membri dei Brics, il blocco formato dalla Russia con Brasile, India, Cina e Sudafrica, che non ha smesso di espandersi e oggi rappresenta il 56 per cento della popolazione e il 44 per cento del Pil mondiale.
Un’alleanza che si riflette anche nel turismo. Dimenticate almeno un po’ Rimini o la Toscana, i russi scelgono in massa gli Emirati, divenuti la prima destinazione all’estero davanti a Egitto, Thailandia, Turchia e Vietnam. Secondo statistiche ufficiali diffuse a Mosca, in un anno il numero dei visitatori ha sfiorato i due milioni anche grazie al moltiplicarsi dei collegamenti aerei, con 25 rotte dirette e 300 voli a settimana tra i due Paesi, un dato che costituisce un aumento del 50 per cento in appena sei mesi. Al Rove c’è la classe media, con medici, impiegati o professionisti: tutti al mare o in gita con l’aria condizionata al Dubai Mall, il centro commerciale più grande al mondo ai piedi del grattacielo più alto al mondo, il Burj Khalifa. Poi ci sono gli altri russi: gli oligarchi degli showroom Ferrari e dei brand extralusso.
Il loro albergo sta qualche chilometro più in là: è l’Atlantis, sulla via della Mezzaluna che guarda l’Iran dalla palma artificiale con diametro di cinque chilometri voluta nel Golfo Persico dall’emiro Mohammed bin Rashid al-Makhtum. Qui gli affari si fanno con l’oro che arriva pure dal Sudan, un Paese dell’Africa dilaniato da un conflitto armato: la sua miniera più ricca, costruita a suo tempo dai russi, è stata acquistata da una società degli Emirati e nel 2025 è tornata a produrre ogni mese centinaia di chilogrammi.
E poi c’è ovviamente il petrolio, quello arabo e quello russo. Prima di finire sui mercati mondiali, l’oro nero di Mosca fa tappa dagli Emirati: è così che, con buona pace dell’Ue e anche degli Stati Uniti, finisce in India aggirando le sanzioni imposte alla Russia per il conflitto in Ucraina. Qui la storia si fa cronaca, con le minacce di Donald Trump di dazi americani maggiorati nei confronti di New Delhi. L’India risponde di voler «difendere interessi nazionali e sicurezza economica»: per la sua industria, nei primi sei mesi del 2025, ha importato petrolio russo in media per un milione e 750mila barili al giorno.
Gli acquisti si fanno a Dubai. E però gli Emirati non sono solo petrolio, che dal 1969 ha cambiato la vita delle comunità beduine forse per sempre. Ci lasciamo alle spalle il lungomare e il quartiere finanziario e, seguendo la Sheikh Zayed Road, arriviamo al Museo del futuro: è un occhio d’acciaio con citazioni dell’emiro in calligrafia araba che s’illuminano d’oro al tramonto. È l’ora dei neon e dei sogni. “Earth Dreams”, i sogni della Terra. Fusione di memoria umana, intelligenza artificiale e forze della natura. Esperienza immersiva e visioni di terra, aria e acqua, si legge nel concept della mostra, “sul rapporto tra la tecnologia e l’arte”. Una fontana a specchio introduce all’atrio bianco dove turisti asiatici, europei e russi sono in fila per la mostra, con il naso all’insù a seguire atterraggi e decolli di ascensori-ogive.
Tra i luoghi del turismo c’è anche la moschea di Jumeirah, trasformata in centro per la “comprensione culturale” dove i visitatori sono introdotti alle tradizioni dell’islam. Poco distante, sorvegliate dallo sguardo d’acciaio di telecamere onnipresenti, si stagliano sopraelevate e grattacieli. Sospesi sulle impalcature dei cantieri stanno in equilibrio lavoratori migranti che tornano dalle famiglie nei Paesi d’origine magari una volta ogni due anni. Vivono lontano dagli hotel, oltre Palm Jumeirah, di fronte all’Iran. È qui che potrebbe essere inaugurata già nel 2026 una seconda palma artificiale nel Golfo Persico, mega-progetto edilizio con tronco proteso per 13 chilometri nel mare, rami, fronde, piscine e grattacieli lungo 91 chilometri di costa nuovi di zecca. Le prime 700 ville sono state prenotate a prezzi compresi tra i 20 e i 50 milioni di dirham, tra i 5 e i 14 milioni di dollari. Fuori portata, anche per Irina, che incontriamo in piscina. La sua è un’altra storia.
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