Economia
30 settembre, 2025Nel 2024 la sola spesa pensionistica si è elevata a 320 miliardi, 40 in più del 2023. Le entrate si sono fermate a 284 miliardi. E lo Stato ha dovuto staccare per il welfare 180 miliardi
È sulla previdenza, e in generale sul welfare, la voce più imponente del bilancio dello Stato, che la politica gioca le sue carte migliori a caccia di consensi elettorali. Non è un mistero che da sempre la Lega, e in genere il centro-destra, vogliano smontare la Legge Fornero.
Tra le varie quote 100, le opzioni donna, gli anticipi pensionistici e ora anche con il blocco dell’adeguamento automatico all’aspettativa di vita l’obiettivo è chiaro: mandare la gente prima possibile in pensione. Si ottiene consenso certo, ma scassando i conti dell’Inps. Cosa che viene del tutto sottaciuta. C’è la propaganda populista e c’è la verità contabile che dice che l’Inps corre sul filo del rasoio. E lo farà per molti anni. Almeno fino al 2040, quando la cosiddetta gobba previdenziale toccherà il suo picco massimo al 17 per cento del Pil. Solo da allora è prevista una discesa del peso della previdenza sui conti pubblici. E questo perché andrà a pieno regime il contributivo puro, in cui si percepisce ciò che si è versato nella carriera lavorativa. E quando il sistema misto-retributivo smetterà di mettere a rischio la sostenibilità del sistema. Fino ad allora si correrà su un crinale difficile e irto di ostacoli.
Forbice tra entrate e uscite
Nel 2024 la sola spesa pensionistica si è elevata a 320 miliardi. Quaranta miliardi in più del 2023. Il ritmo di crescita della spesa viaggia ben oltre il tasso di crescita del Pil. Ma soprattutto si allarga la forbice tra contributi versati e prestazioni. Sempre l’anno scorso le entrate da contributi sono state di 284 miliardi. Come si vede c’è un deficit evidente tra entrate e uscite. E così tocca alla fiscalità generale intervenire a coprire il buco.
Non solo, ma se si allarga lo sguardo all’intera pianeta welfare ecco che i trasferimenti dello Stato, a tenere in precario equilibrio i conti dell’Inps, toccano vette importanti. Nel 2024 lo Stato è dovuto intervenire con trasferimenti al bilancio dell’Inps per la bellezza di 180 miliardi. Anche qui ogni anno l’assegno dello Stato corre sempre verso l’alto. Negli ultimi 5 anni è aumentato di 40 miliardi.
Trasferimenti per 180 miliardi
Va detto che per la gran parte quei 180 miliardi finanziano la cosiddetta assistenza. Dalle pensioni sociali, alle invalidità, ai sostegni al reddito di ogni tipo, alle integrazioni al minimo delle pensioni basse. Insomma il cosiddetto welfare, la copertura integrale delle prestazioni, laddove non ci sono contributi.
Ma anche sul versante della previdenza ecco che la coperta tra entrate e uscite si fa comunque corta. E per fortuna che la più grande gestione amministrata, quella dei lavoratori dipendenti, è in equilibrio, anzi è in attivo significativo, altrimenti sarebbero dolori ancora più seri.
Ma il risultato lusinghiero del fondo dei dipendenti privati, che ha chiuso il bilancio del 2024 in positivo per 19 miliardi, viene zavorrato dalle cosiddette gestioni speciali. Sono i fondi Trasporti, quello degli elettrici, il fondo telefonici e l’ex Inpdai dei dirigenti d’azienda. Sono fondi in cui le contribuzioni sono ridotte al minimo dato che c’è stato negli anni il passaggio sotto l’egida del Fldp e di fatto erogano solo pensioni. E sono le gestioni in cui le grandi aziende pubbliche dalle Ferrovie, alla Telecom, all’Enel hanno scaricato migliaia di prepensionamenti dalle pesanti ristrutturazioni degli anni Novanta.
Le gestioni in rosso
Il fondo elettrici ha chiuso il 2024 con 2,6 miliardi di passivo; 1,8 miliardi è stato il risultato economico del fondo telefonici; 990 milioni il fondo trasporti e ben 5,1 miliardi il “rosso” dell’ex Inpdai. Sono fondi in costante perdita tanto che le perdite accumulate registrano passivi patrimoniali imponenti: solo l’ex Inpdai è in negativo per 63 miliardi; il fondo elettrici ha deficit patrimoniale per 40 miliardi. A tenere a galla le gestioni in forte perdita ci pensano i lavoratori dipendenti privati con i loro 19 miliardi di risultato positivo nel 2024.
Ma anche artigiani, commercianti e agricoltori hanno gestioni in rosso cronico. Un passivo di 2,2 miliardi l’anno scorso per gli agricoltori; 2,5 miliardi di perdite a conto economico per i commercianti e -5,5 miliardi per gli artigiani. Con deficit patrimoniali cumulati nel tempo che solo per gli artigiani pesano per 100 miliardi. E infine ecco i 20 miliardi di perdite che la gestione dei dipendenti pubblici, che vantano prestazioni più generose di un buon 20-30 per cento medio rispetto al fondo dei lavoratori privati, ha prodotto nel 2024 che portano il deficit patrimoniale a sfondare il tetto dei 100 miliardi. E così a tenere in piedi l’intera architrave della contabilità dell’Inps sono i dipendenti del settore privato. E con loro la gestione dei parasubordinati e dei professionisti che assommano ancora poche uscite previdenziali rispetto ai contributi. Senza di loro, l’Inps crollerebbe.
Ma non ci sono solo i pesanti disequilibri dei vari fondi a rendere difficile far quadrare i conti all’Istituto.
L’evasione contributiva
Ci sono anche e soprattutto le evasioni contributive che pesano sempre più. Se già è difficile tenere in equilibrio un sistema che vede le uscite superare le entrate, se anche queste ultime vengono non riscosse, ecco che il quadro non può che peggiorare fortemente. Il bilancio dell’Inps presenta residui attivi, cioè entrate messe a bilancio ma non ancora incassate per ben 170 miliardi. Il problema, come segnalato più volte dalla Corte dei Conti ma anche dal collegio sindacale, è la loro effettiva recuperabilità.
E qui si apre il cahiers de doleances: molti di questi crediti contributivi non versati dalle imprese e dai lavoratori sono vecchi di anni. Sono spesso imprese fallite, ma anche furbetti che non pagano e aspettano l’ennesima rottamazione delle cartelle esattoriali. Altra misura su cui i governi non solo di centro-destra hanno spinto sull’acceleratore negli ultimi anni sempre per mero consenso elettorale. E per capire l’impatto sui conti dell’ente basti pensare che nel 2024 gli annullamenti delle cartelle delle varie operazioni di rottamazione ha portato alla cancellazione in un colpo solo di crediti per l’importo di 16 miliardi. Soldi che spettavano all’Istituto e che non verranno più incassati.
Ma il magazzino dei crediti non incassati dall’Inps cresce come un fiume in piena anno su anno. Il totale dei residui attivi ammonta a 170 miliardi. Di questi 120 miliardi sono crediti contributivi e ogni anno vengono svalutati data la loro irrecuperabilità. A furia di rettificare valori di entrate non più riscuotibili ecco che il fondo svalutazione dei crediti è arrivato a valere 95 miliardi. Soldi persi per strada per sempre.
E ogni anno la Corte dei Conti non può far altro che accendere un faro di richiamo a quello che è un vulnus importante per la tenuta dei conti dell’Inps.
Nell’ultima relazione pubblicata, quella sul bilancio del 2022, i magistrati contabili scrivono che: «Va, comunque, ribadito come i profili connessi al grado di esigibilità dei crediti di questa natura rappresentino uno tra i problemi centrali dell’assetto patrimoniale dell’Istituto per la rilevanza delle poste rettificative dell’attivo, la cui consistenza rende sempre più evidente il divario tra la gestione economico-patrimoniale, la gestione finanziaria e la situazione amministrativa».
Moniti che vengono sollevati ormai da anni. Appelli che finiscono nel vuoto, dato che la situazione della riscossione continua a essere un tasto dolente. E certo non aiuta il fatto che il governo spinga in direzione opposta. Con interventi ripetuti di condono fiscale che inducono molti a evadere. In attesa di sempre nuove rottamazioni e stralci. Alla faccia della tenuta dei conti dell’Istituto della previdenza italiana.
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