Il covid torna a fare paura. Si conclude da dove è partito il 2021 della crescita, delle emergenze nascoste e dell’assenza di un progetto di cambiamento

Una farfalla colorata, l’arcobaleno, una mongolfiera che fa volare una casa, una creatura “mezzo uomo, ragno, serpente, granchio, coccinella”. Un pagliaccio che saltella sui trampoli. Una bambina vestita di rosso sotto il sole, con il sorriso che si allarga e il pennarello che sembra disegnare attorno agli occhi minuscole lacrime. Non si devono vedere, soltanto intuire.

Sono alcuni disegni che pubblichiamo in copertina del nuovo numero. Provengono dall’ospedale Sant’Orsola di Bologna, reparto di oncologia pediatrica, dove i bambini e le bambine combattono contro il male. I bambini e le bambine che sanno benissimo cosa significhi la parola malattia. I bambini e le bambine che resistono. Sono loro, i cittadini italiani più piccoli, i più indifesi, i più dimenticati, le persone dell’anno 2021 per L’Espresso. Li abbiamo scelti con le loro fantasie per farli parlare in prima persona, senza le mediazioni faticose delle nostre parole di adulti. Li abbracciamo tutti insieme, e uno per una, con le loro singole storie, la loro tenacia nel dolore che li strappa dalla quotidianità, la loro voglia di vivere. Li raccontiamo con gli strumenti del giornalismo, il nostro mestiere umile e tenace, con la sensibilità e il rigore di Elena Testi che con le sue inchieste sull’Espresso già mesi fa portò alla luce la diffusione nascosta del disagio psichico degli adolescenti durante la pandemia, un urlo silenzioso. Un viaggio in Italia, dal Gaslini di Genova a Bologna al Bambin Gesù a Roma alla Calabria. Ovunque c’è un pezzo di servizio sanitario in trincea, a combattere la buona battaglia, in situazioni difficili, come fa il dottor Domenico Minasi nell’ospedale di Reggio Calabria.

 

Parliamo dei bambini malati e dei bambini a rischio di povertà economica (Chiara Sgreccia con Raffaela Milano di Save the Children) e educativa (Erika Antonelli). Da sconfiggere non c’è soltanto il male che proviene dalla natura, dalle cellule impazzite che aggrediscono un corpo giovanissimo. «Guardi questo numero, c’è scritto che la regione con la speranza di vita alla nascita più elevata è il Trentino Alto Adige, i cittadini qui hanno una speranza di vita di tre anni superiore rispetto alla Campania. Tre anni, non tre giorni. Sono dati del 2017, ma non è cambiato molto», dice il professore Marcello Lanari, direttore del Pronto Soccorso d’Urgenza dell’ospedale Sant’Orsola di Bologna. Guardiamo questi dati scandalosi, «la cartina di una nazione spaccata», scrive Elena Testi. «dove un bambino che vive nel Mezzogiorno ha un rischio del 70% più elevato di un suo coetaneo di emigrare in un’altra regione per potersi curare». E la denuncia del presidente dell’associazione degli Ospedali Pediatrici Italiani Alberto Zanobini: nel Piano nazionale di ripresa e resilienza «poco o niente viene investito per la salute dei bambini». Una questione politica che aggrava le sofferenze inspiegabili e indicibili dei piccoli e delle loro famiglie.

Spero che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella legga questo appello, con l’attenzione che ha sempre avuto in questi sette anni. E spero che il presidente del Consiglio Mario Draghi, il ministro della Salute Roberto Speranza ascoltino queste parole e intervengano nel PNRR. Perché è dalla salute dei cittadini nati da poco e non ancora cresciuti, soggetti pieni di diritti come ogni cittadino, che parte la trama della tenuta dell’intero Paese. Sono loro il metro di misura della qualità della nostra vita civile, i bambini ignorati, dimenticati, emarginati, rinchiusi in casa da scuola durante il lockdown. Le ferite invisibili che non vogliamo affrontare, mentre godono di ingiusta visibilità mediatica i no-vax fanatici e opportunisti, neo-campioni dell’egoismo che non riconosce il limite nell’esistenza dell’altro, di cui scrive Wlodek Goldkorn. Il dibattito pubblico è estenuato e avvelenato da questa neo-ideologia che nulla a che fare con le legittime preoccupazioni sulla fragilità della democrazia sospesa nello stato di eccezione che si fa permanente, che diventa regola, normalità. Da mesi i no vax, hanno occupato sul palcoscenico il ruolo dell’antagonista, con la loro debolezza culturale e la loro ignavia etica. Mentre la pandemia torna a fare paura. E nessuna accoglienza sui quotidiani, nei talk televisivi e sui social trovano altre emergenze.

Il lavoro che non c’è, soprattutto per le donne, come segnala il Gender Policies Report (La Stampa, 21 dicembre): solo il 14 per cento dei nuovi contratti a tempo indeterminato è destinato a una donna, quasi la metà dei contratti femminili (49,6 per cento) è a tempo parziale. Il lavoro perduto: il 2021 della crescita del Pil al più 6,3 per cento sarà ricordato anche come l’anno dei licenziamenti di massa della Gkn di Campi Bisenzio, la Embraco di Riva di Chieri, la Whirlpool di Napoli e da ultimo la Caterpillar di Iesi. Il lavoro di cui si muore, «scandalosamente», ha detto il presidente Mattarella. Gli oltre mille morti sul lavoro, da Luana D’Orazio stritolata in un orditoio a Tiziana Bruschi, fino a Roberto Peretto, Marco Pozzetti e Filippo Falotico, precipitati da una gru a Torino, non sono in gran parte vittime di incidenti o di casualità, ma di incuria, cattiva gestione, un capitalismo di rapina che considera le persone e la loro sicurezza e il loro futuro un costo su cui risparmiare.

Sono i capitoli delle disuguglianze dell’Italia 2021. Li abbiamo raccolti in un rapporto collettivo a più mani in collaborazione del Forum Disuguaglianze Diversità. Dieci figure del nostro tempo hanno accettato di scrivere le mappe delle disparità che offendono l’articolo 3 della nostra Costituzione, nella diversità delle loro provenienze culturali: un liberale come il senatore a vita e ex presidente del Consiglio Mario Monti scrive sull’Espresso di come il governo Draghi stia deludendo sul fisco e sulle regole della concorrenza che garantiscono l’uguaglianza dei soggetti sul mercato, accanto a lui la ricercatrice Marta Fana esplora la precarizzazione del lavoro. Con loro compongono il percorso Franco Arminio sull’ambiente, Chiara Saraceno sulle povertà, Francesca Bria sulle discriminazioni di genere sul digitale, Cristiano Gori sugli anziani e i non auto-sufficienti, Franco Lorenzoni su scuola e educazione, Alessandro Rosina sui giovani e la demografia, Nicoletta Dentico sulla salute e i vaccini, Ben Phillips sui diritti umani. Fabrizio Barca e Gloria Riva introducono il lavoro e collettivo e propongono alcune soluzioni concrete: il salario minimo, il vaccino universale, l’eredità per i diciottenni, l’imposta patrimoniale sulla ricchezza...

Sono le voci di un possibile programma di governo, si direbbe di sinistra, ma meglio sarebbe dire di centro-sinistra. Gabriel Boric, il nuovo presidente del Cile eletto ad appena 36 anni - la generazione di Giulio Regeni, di Patrick Zaki - con il 55 per cento dei voti sconfiggendo il candidato della destra nostalgica del generale Pinochet, ha messo al centro della sua proposta i diritti dell’infanzia: «Abbiamo guardato negli occhi i bambini del Cile e non possiamo fallire». Nel programma di governo dell’alleanza Apruebo Dignidad l’educazione e la sanità pubblica sono ai primi posti, oltre al salario minimo che collega il fronte del centro-sinistra del Cile alla socialdemocrazia tedesca del neo-cancelliere Olaf Scholz. Boric ha dedicato il suo primo discorso dopo la vittoria a Salvator Allende e Patricio Alwyn, un socialista e un democristiano, l’ultimo presidente eletto prima del colpo di Stato militare del 1973 e il primo dopo la lunga dittatura, nel 1990. Nel 1973, dopo il golpe cileno, Enrico Berlinguer scrisse su Rinascita i famosi articoli sul compromesso storico, dettati dalla paura di quanto sarebbe potuto avvenire anche in Italia se le sinistre fossero andate al governo da sole, dopo una vittoria elettorale, sintetizzata nello slogan «per governare non basta il 51 per cento». Non era vero, in democrazia si vince anche con un voto in più, quella ammissione era l’anticipo di una subalternità e di una sconfitta. Semmai la questione era e resta un’altra: in che modo si costruisce un progetto di governo, che è ben più di un programma, capace di parlare all’intero Paese. Un interrogativo ancora senza risposta.

In Italia è in corso il tempo della ricostruzione, ma nel centro-sinistra manca l’Alleanza dei Ricostruttori, che tenga dentro chi in apparenza è lontano. Per fragilità culturali, per egoismo di sigle, per egotismo dei leader. Per un ritorno dell’integralismo che non è soltanto, come accadeva un tempo, una pianta che cresce nel campo della religione. Integralismo è l’accentuazione di ciò che divide, il rifiuto della mediazione e del compromesso, un atteggiamento culturale del nostro tempo che si nutre di stanze chiuse virtuali dove tutto è una scomunica (ti caccio, ti blocco, ti defollowero, ti metto fuori dalla comunità) e che sconfina laddove dovrebbe albergare il dubbio e invece vengono brandite le verità assolute una contro l’altre armate. La conseguenza più evidente, nel nostro Paese, è che negli ultimi anni non è rimasto nulla in mezzo al massimo della verticalizzazione (i governi tecnici) e il caos. Lo spazio della politica si è ridotto, si è ristretto, è quasi scomparso. La sinistra è dilaniata dalle guerre di religione e dimentica di rappresentare a società. A destra i moderati sono tacitati dall’ideologia sovranista. E anche la prossima elezione del Presidente ripropone questa alternativa. Ma se questa è la situazione, meglio un presidente Mario Draghi eletto da tutti che un presidente (o una presidente) Qualunque eletta a spallate, a colpi di maggioranza. Poi verrà il momento, finalmente, di mettere mano all’Alleanza. E forse qualche idea di fine anno servirà. Di certo i bambini ci guardano, ci aspettano. E non ci perdoneranno.

 

(Tra le persone dell’anno 2021 non posso dimenticare Saman Abbas, la ragazza pakistana scomparsa il 30 aprile da Novellara, in provincia di Reggio Emilia, dopo essersi ribellata alla sua famiglia. Non è stata ritrovata. È un fantasma nel cuore dell’Emilia e nella nostra coscienza laica, progressista, femminista. Che l’ha rimossa e sepolta).