Si conclude definitivamente il processo al sistema criminale della Capitale scoperchiato con l’inchiesta de L’Espresso I quattro re di Roma. Salvatore Buzzi finisce in carcere mentre il capo fascista del clan, dopo dieci anni di attacchi e intimidazioni, si avvia verso i servizi sociali

Dopo più di dieci anni da quando tutto è iniziato con “I quattro re di Roma” su L’Espresso è arrivato definitivamente un risultato di giustizia dalla Cassazione. Gli ermellini hanno confermato condanne per il processo al “mondo di mezzo” che a Roma non si erano mai viste attorno a fatti di corruzione. Una storia criminale, violenta, che purtroppo si è scagliata contro la mia vita, modificandola per sempre. Ancora oggi ne pago sulla mia pelle le conseguenze per aver fatto il mio lavoro.

Da una parte il mondo criminale del fascista Massimo Carminati e dall’altro quello imprenditoriale e istituzionale costituito da una schiera di uomini d’affari che sfruttavano l’opportunità di ottenere appalti sicuri, senza doversi confrontare con la concorrenza. Fronte questo in cui si privilegiava lo strumento della corruzione rispetto a quello dell’intimidazione, che rimaneva però sullo sfondo come extrema ratio.

L’elemento di raccordo tra i due fronti era costituito dall’alleanza trasversale tra Massimo Carminati, proveniente dalle file dell’estrema destra, e Salvatore Buzzi, proveniente dall’estremo opposto. Quest’ultimo a capo di un importante gruppo di cooperative con oltre milletrecento soci. Di questi Carminati era socio occulto, come lui stesso ha dichiarato in aula durate il processo.

Le cooperative, le conoscenze, l’esperienza e la “faccia pulita” di Buzzi, sommate al prestigio criminale di Carminati e ai suoi storici legami con esponenti dell’estrema destra romana divenuti negli anni personaggi politici o amministratori pubblici, consentivano effetti altrimenti non raggiungibili, tant’è che il fatturato del gruppo era riuscito a lievitare incredibilmente nell’arco di tre anni.

Il risultato più preoccupante era però il “mondo di mezzo”. Buzzi, formalmente legittimato, per la sua attività, a confrontarsi con pubblici funzionari ed esponenti politici, finiva per essere il tramite attraverso cui il “sovramondo”, costituito da colletti bianchi, imprenditoria e istituzioni, e il “sottomondo” di Carminati, costituito da batterie di rapinatori, da trafficanti di droga e di armi, riuscivano ad incontrarsi nel “mondo di mezzo”. Così lo definiva Carminati, per sintetizzare il particolare ambito in cui agiva il sodalizio, cioè un’area di confine in cui si componevano gli interessi illeciti dei due mondi solo apparentemente opposti e distanti: «è la teoria del mondo di mezzo compà, ci stanno, come si dice, i vivi sopra e i morti sotto e noi stiamo nel mezzo (...) ci sta un mondo in mezzo in cui tutti si incontrano e dici “come è possibile..?” (...) il mondo di mezzo è quello invece dove tutto si incontra, le persone di un certo tipo, di qualunque cosa, si incontrano tutti là: (...) nel mezzo, anche la persona che sta nel sovramondo ha interesse che qualcuno del sottomondo gli faccia delle cose che non le può fare nessuno, e tutto si mischia».

È proprio in questo “mondo di mezzo” che operavano parti politiche di ogni schieramento perché «la politica è una cosa, gli affari so’ affari!» ed è qui che ottenevano l’elargizione di somme di denaro.

L’accoppiata Carminati-Buzzi, favorita dalla desolante permeabilità del panorama politico amministrativo, aveva pertanto consentito di veicolare “la forza di intimidazione dell’associazione (..) all’interno dei meccanismi di funzionamento propri del mondo imprenditoriale e della pubblica amministrazione, alterando, da un lato, i principi di legalità, imparzialità e trasparenza nell’azione amministrativa e, dall’altro lato, quelli della libertà di iniziativa economica e di concorrenza».

E così fra corruzione, intimidazione e violenza, i testi principali del processo hanno avuto davanti ai giudici in tribunali dei vuoti di memoria, seguiti dai non ricordo. Il teste principale ha temuto di essere ucciso per le accuse che ha rivolto a Massimo Carminati perché ha detto che nessuno lo proteggeva. E per questo ha fatto marcia indietro. È Roberto Grilli, un super testimone, lo skipper romano che ha contribuito a scoperchiare i retroscena del clan di Carminati, che ha parlato ai pm delle azioni criminali del Cecato che insieme al suo braccio destro, Riccardo Brugia, anche lui processato, hanno sempre avuto «a portata di mano» pistole, mitragliatori e fucili. Che gli investigatori non hanno però trovato.

Oggi, nonostante la conferma della pena definitiva a dieci anni di carcere, Carminati, condannato con l'aggravante di essere dichiarato "delinquente abituale", a dispetto di Buzzi che è stato arrestato, non dovrebbe rientrare in carcere in quanto gli rimarrebbero da scontare meno di cinque anni di reclusione e potrebbe usufruire dell'affidamento ai servizi sociali da parte del Tribunale di Roma. Libero. Come da copione di un film.