L'annunciato duello tv tra la premier e la segretaria del Pd rivela le differenze tra le due. Ma soprattutto dimostra come entrambe cerchino di legittimarsi e arginare il ruolo del leader 5 Stelle: per l'una oppositore, per l'altra concorrente a sinistra

A Giorgia Meloni piace vincere facile. È stato il primo, più diffuso, commento alla notizia che la premier era disposta a misurarsi in un duello televisivo con la segretaria del Pd, Elly Schlein. In effetti se si mettono su una bilancia il pragmatismo becero di Meloni e gli elzeviri dialettici di Schlein, l’idea che la seconda possa uscire vincitrice da un confronto, per di più televisivo, appare un’impresa davvero difficile. Staremo a vedere.

 

Meloni racconta un sacco di bugie, ma sa parlare alla pancia del Paese, riesce a tenere la barra dritta della sua barca anche se è contornata da una corte di incapaci talmente pasticcioni da far credere che li abbia messi lì apposta, per far brillare ancora di più la sua figura di leader. Schlein invece dice anche cose giuste, ma non ha il coraggio di dirne altre o di dirle fino in fondo, perché ha un partito litigioso e pronto a farle le scarpe alla prima occasione che si presenterà in una delle tante tornate elettorali del 2024. È praticamente Indiana Jones circondato dai serpenti nel Tempio Maledetto. La sua squadra è debole: è stata eletta contro la struttura del partito e si è messa intorno un gruppo dirigente che ha troppo poca esperienza per poter guidare il Pd con fermezza.

 

Ma sia Giorgia sia Elly devono difendersi dagli amici-alleati. Meloni da Matteo Salvini, Schlein da Giuseppe Conte. E allora l’idea del confronto/scontro tra le due leader potrebbe essere l’occasione per legittimarsi a vicenda: Meloni per darsi ancora più solidità, Schlein per proporsi in quel ruolo di federatore che la sinistra dice di stare cercando. Però deve dimostrarlo. E la legittimazione la danno soltanto i voti. Meloni ce li ha (e infatti è la leader del centrodestra), Schlein li sta cercando. Se alle prossime Europee si fermerà al 20 per cento, come dicono molti sondaggi, bisognerà vedere dove arriverà il Movimento 5 Stelle: se Conte non sarà troppo lontano, il dualismo a sinistra non si placherà, anzi.

 

Il problema, per Schlein, ma anche per Meloni, si chiama proprio Giuseppe Conte: la segretaria del Pd lo sta rincorrendo sui temi del lavoro e del sociale e sta lavorando a un’alleanza che però i 5 Stelle accettano soprattutto se i candidati sono i loro e comunque sempre con un concetto di concorrenza. Per Meloni, invece, Conte rappresenta la vera opposizione sociale, con la sponda del segretario Cgil Maurizio Landini e di quello della Uil Pierpaolo Bombardieri, con le sue buone relazioni in alcuni apparati dello Stato e Oltretevere assieme ad altri pezzi di società civile. Non a caso per un confronto pubblico si è scelta la prevedibile avversaria Schlein piuttosto che l’imprevedibile Conte in grado di darle maggiore fastidio se non altro sul piano mediatico.

 

Insomma, il dualismo Meloni-Schlein odora di alleanza anti-Conte. Confermarsi leader ognuno a casa propria è funzionale a sventare o a limitare la minaccia degli alleati-concorrenti. Il 25 febbraio ci saranno le elezioni regionali in Sardegna. Il centrosinistra è rappresentato da una coalizione molto vasta (11 liste) capeggiata da Alessandra Todde, ex sottosegretaria del Conte II e viceministro nel governo Draghi. Ha un compito difficile, ma se anche la grande alleanza sarda dovesse funzionare e portare all’elezione del primo governatore italiano a 5 Stelle, la vittoria non basterà a placare le acque. Qualche mese dopo si voterà per le Europee con il proporzionale e il dualismo a sinistra sarà inevitabilmente in ripresa. Allora si conteranno i voti per davvero e si capirà chi ha più fiato. E soprattutto più futuro.