Lascio la direzione del settimanale. Un'esperienza breve, ma durante la quale è stata restituita centralità alla testata. E lascio anche una comunità più vitale che mai

Viene sempre l’ora in cui ci si accomiata. Nella brevissima stagione alla guida di questo glorioso settimanale, insieme con un gruppo di lavoro straordinario, abbiamo provato a rinsaldare il patto di fiducia e di lealtà con i lettori. Offrendo i fatti e la loro interpretazione, mai mischiandoli o contrabbandandoli per verità assolute e provando sempre a non accontentarci della narrazione corrente.

 

Diciotto numeri sono un tempo corto per realizzare e vedere i frutti di un progetto che nella materia viva del giornalismo si affina giorno per giorno e richiede prospettive di medio periodo: avvicendandosi, autori e commentatori hanno aperto nuovi spazi cercando di leggere il presente da angolazioni inedite, anticipando spesso i temi del dibattito politico e restituendo a L’Espresso la centralità che merita; la cura e l’attenzione per i fermenti sociali, troppo spesso liquidati con superficialità dall’informazione mainstream, sono lo specchio di scelte orientate ad ascoltare le istanze di un pubblico, anche molto giovane, che con convinzione, in larga parte fuori dai radar dei partiti, gioca un ruolo civile forte; la ristrutturazione della Cultura, alla maniera de L’Espresso significa coniugare idee e stili di vita, dibattito e nutrimento per la riflessione su un presente ricco di stimoli ma anche di insidie e contraddizioni.

 

Per quanto interrotta anzitempo, è stata un’esperienza bellissima e professionalmente appagante che si conclude senza rimpianti. Una sfida, più che un traghettamento, giunta per me al trentanovesimo anno di un mestiere che continua a regalarmi un’emozione ininterrotta. All’avvio di questa direzione richiamavo i valori di indipendenza e autonomia che sono il pilastro su cui si fonda L’Espresso, strumento di consapevolezza, anche irriverente, schierato, ma non fazioso, saldo nei propri valori democratici, non militante conto terzi e mai succubo. Che prova a offrire, con gli strumenti del giornalismo d’inchiesta, non solo notizie ma le connessioni attraverso le quali interpretare la realtà.

 

Facevo riferimento al giudizio dei lettori come unico faro a cui guardare nel mantenere l’approdo, pur sperimentando traiettorie diverse. Da lì, da chi ci compra e ci segue sono arrivate conferme, in più di un’occasione straordinarie. Hanno ribadito ed esaltato la vitalità di un settimanale che rappresenta non solo un pezzo pregiato dell’informazione italiana, ma che ha contribuito a scrivere pagine di storia repubblicana.

 

I valori, la strenua difesa dei diritti e della libertà sono l’essenza stessa de L’Espresso che è una comunità nella quale convivono chi il settimanale realizza e chi ne fruisce. Perché un prodotto di informazione come questo non è mai il frutto dell’impegno di un singolo ma di un gruppo, mai autoreferenziale, che si ritrova sui fondamentali e può discutere poi su tutto, confrontandosi e migliorandosi nello scambio delle opinioni. Giornalismo, senza aggettivi o orpelli, è raccontare quel che il potere vorrebbe che non si sapesse. Non so dire se sia conforme allo stile anglosassone ma so che è il principio che anima questo settimanale e chi ci lavora. Al nuovo direttore Emilio Carelli, professionista di lungo corso e solida esperienza, gli auguri di un proficuo lavoro.