Qualunque ritratto di Barack Obama comincia sempre dalla dolcezza del suo sorriso e dal suo autocontrollo: Barack che non perde mai la pazienza, non alza mai la voce e quando viene sconfitto in alcune importanti primarie del SuperTuesday raduna i suoi uomini e li rassicura senza puntare il dito contro nessuno. David Axelrod, lo stratega della sua campagna, è fatto della stessa pasta: poche parole, mai uno scatto di nervi, il settimanale 'Newsweek' lo descrive come uno che vive la politica in modo idealista e non ama lo scontro corpo a corpo con gli avversari. David Plouffe, la mente organizzativa di Obama, ha caratteristiche simili: è schivo, non ama la pubblicità, non perde mai il controllo. Tutti insieme sembrano un gruppo di amici che lavorano in armonia.
E invece, ascoltate l'opinione di Shelby Steele: "La dolcezza di Obama è una maschera, e nessuno sa cosa c'è dietro", ci spiega al telefono dal suo ufficio californiano. Steele, intellettuale nero che lavora per la Hoover Institution, un think tank conservatore presso la Stanford University, ha pubblicato un libro per descrivere il lato oscuro della personalità di Obama e dimostrarne l'ineleggibilità: 'A Bound Man, Why We Are Excited About Obama and Why He Can't Be President' (Un uomo incatenato: ecco perché siamo entusiasti di Obama, e perché non può diventare presidente). Steele sostiene che, come altri neri dall'espressione rassicurante (Sidney Poitier, Oprah Winfrey, Bill Cosby...), Obama è un 'bargainer', cioè uno che continuamente negozia con la dolcezza del sorriso il suo rapporto con i bianchi, dicendo loro implicitamente: "Vi faccio il favore di credere che non siete razzisti, purché non usiate il colore della vostra pelle contro di me". Secondo Steele si tratta solo di una finzione, subito smascherata quando si è saputo chi era realmente il reverendo Jeremiah Wright, che è stato per vent'anni il pastore di Obama e che recentemente ha manifestato in alcuni comizi il suo estremismo radicale: "Lo scandalo che ne è seguito ha consentito agli elettori di capire che Obama è un reverendo Wright con la maschera", dice Steele: "E questo gli ha fatto perdere primarie importanti come quelle in West Virginia e in Kentucky".
L'analisi di Steele può apparire bizzarra, ma mostra fin dove si possa spingere la macchina da guerra repubblicana per distruggere l'immagine di Obama. John Zogby, uno dei più noti sondaggisti americani, dice che i repubblicani sono capaci di lanciare campagne di leggendaria perfidia. Chi non ricorda come finì il pluridecorato John Kerry? Bastarono poche settimane e qualche testimonianza fasulla per trasformare il suo eroismo in Vietnam in un'imbarazzante palla al piede.
Così, in una campagna elettorale interminabile, dove la personalità e il carattere contano più dei programmi e delle idee politiche, il nero Obama deve difendersi dalla doppia accusa di essere da un lato un estremista nero mascherato da agnello e dall'altra un sofisticato rappresentante delle élites intellettuali delle università dell'Ivy League. Sul 'New York Times' l'analista Elizabeth Bumiller ha descritto così questo paradosso: "Un candidato afro-americano, nato sette anni dopo che la Corte suprema ha ripudiato la segregazione razziale e quattro anni prima che il Congresso approvasse il Voting Right Act (che cancellava le discriminazioni che impedivano ai neri di votare) si trova sul banco degli imputati accusato di elitismo". E a lanciargli questa accusa è (oltre a Hillary) un candidato come John McCain che ha sposato un'ereditiera da 100 milioni di dollari. "Temo che Obama stia percorrendo la stessa strada che nel 1972 portò alla sconfitta di George McGovern", spiega John Judis, raffinato analista politico del settimanale progressista 'The New Republic'. McGovern era un liberal che piaceva ai giovani e ai circoli intellettuali della sinistra americana, e fu schiacciato da Richard Nixon nelle elezioni del 1972, quando riuscì a vincere solo nel Massachusetts. Da allora, qualunque candidato presidenziale manifesti idee vagamente radicali viene bollato come un McGovern destinato al fallimento. Obama, rispetto a McGovern, può contare su uno zoccolo duro costituito dagli elettori neri, che valgono il 14 per cento degli aventi diritto al voto e che a novembre andranno a votare in massa come mai in passato. Inoltre McGovern era un outsider sgradito al partito, mentre Obama è ormai saldamente sostenuto dall'apparato.
Ma i recenti capitomboli nelle primarie che si sono svolte negli Stati del Midwest stanno creando diversi grattacapi agli strateghi di Obama. Nella mappa delle sue sconfitte spicca una linea diagonale che percorre la carta geografica e segue l'andamento dei monti Appalachiani, lungo una fascia che comprende ampie regioni della Pennsylvania e dell'Ohio, della West Virginia e della Virginia, e poi scende lungo il Kentucky, il Tennessee, il North e il South Carolina, fino alla Georgia, l'Alabama e il Mississippi. In quelle aree culturalmente e socialmente arretrate, Hillary ha fatto meglio di Obama: tra gli operai delle zone rurali lo ha battuto due a uno, aprendo interrogativi angosciosi sul risultato elettorale di novembre, in un anno in cui tutto dovrebbe favorire il candidato democratico. Storicamente non è una novità per i progressisti. Gli Stati dei monti Appalachiani sono la bestia nera dei democratici che nelle ultime due elezioni li hanno sempre persi tutti. Nel 2000 e nel 2004 i lavoratori bianchi di queste regioni hanno preferito George Bush sia rispetto ad Al Gore (per 17 punti) sia a John Kerry (per 23 punti).
Alcune analisi recenti pubblicate da Ruy Texeira, un democratico esperto di tendenze elettorali, dicono che in queste zone Obama è indietro di 'soli' 12 punti rispetto a McCain e potrebbe conquistare alcuni di questi Stati chiave, la Georgia o il Tennessee, la Pennsylvania o l'Ohio e persino la West Virginia o la Virginia.
Earl Ofari Hutchinson, un analista democratico nero che ha appena pubblicato 'The Ethnic Presidency: How Race Decides the Race to the White House' (La presidenza etnica: come la razza può decidere la gara verso la Casa Bianca), dice che fino a oggi Obama ha sottovalutato quanto siano razzisti i 'Reagan Democrats' del MidWest, decine di milioni di lavoratori a basso reddito e di scarso livello culturale, che sono potenzialmente democratici, ma sono affascinati dai valori etici dell'America di Reagan: "In queste aree la maggioranza non voterà mai Obama solo perché è nero. Ma tra questi lavoratori lui può conquistare qualche consenso. Deve convincerli di essere capace di lottare per risolvere i loro problemi economici in questo momento di crisi".
È probabile che nei prossimi mesi Obama deciderà di accentuare il proprio messaggio populista contro i trattati di libero scambio e in generale contro i processi di globalizzazione. Ma molto, in questi Stati dell'America moderata, dipenderà dal candidato vicepresidente che sceglierà.
Quasi tutti gli analisti escludono che la scelta possa cadere su Hillary: "E non tanto per l'asprezza dei toni delle primarie", osserva Zogby, "quanto per il marito di lei. Chi vorrebbe a fianco la moglie di un ex presidente ingombrante come Bill?".
Il ritratto più convincente del candidato vicepresidente ci viene offerto da Hutchinson: "Deve essere maschio, bianco, deve rappresentare uno degli Stati incerti ed essere esperto nella difesa e nella sicurezza nazionale". Hutchinson indica due nomi: il primo è quello di Jim Webb, senatore democratico della Virginia, che essendo un eroe del Vietnam e avendo grande esperienza in politica estera, potrebbe compensare la debolezza di Obama sui temi della sicurezza e assicurare la conquista della Virginia; il secondo è Sam Nunn, da 24 anni senatore della Georgia, che da decenni si occupa di sicurezza nucleare e che potrebbe risultare decisivo per regalare a Obama la vittoria nel suo Stato.
Essendo la Virginia uno degli Stati chiave che Obama potrebbe conquistare, molti fanno il nome del governatore Tom Kaine, un cattolico anti-abortista che potrebbe bilanciare in modo efficace l'immagine liberal di Obama. Nell'elenco dei candidati possibili c'è anche il governatore del New Mexico Bill Richardson, che è gradito agli ispanici (sua madre è messicana) e ha grande esperienza in politica estera (era ambasciatore di Bill Clinton all'Onu). Se invece Obama volesse attirare i voti delle donne moderate che amano Hillary, potrebbe scegliere Cathy Sebelius, governatrice del Kansas. A questo elenco vanno aggiunti due ex candidati alle presidenziali, i senatori Joe Biden (del Delaware) e Chris Dodd (del Connecticut), che hanno all'attivo la loro esperienza in politica estera, e al loro passivo il fatto di essere rappresentanti di due Stati già solidamente democratici.
Al di là dei segnali di allarme che si sono moltiplicati dopo le ultime primarie, gli strateghi del partito democratico mostrano ottimismo. La debolezza di Obama tra i 'Reagan Democrats' del MidWest potrebbe non essere grave come lo fu nelle ultime due elezioni per Gore e Kerry. E non solo perché oggi l'entusiasmo per il candidato porterà alle urne milioni di giovani che generalmente non votano, ma soprattutto perché i processi demografici stanno cambiando intere aree del Paese: "Il triangolo della ricerca che sta cambiando il North Carolina nelle aree di Durham, Raleigh e Chapel Hill potrebbe consentire a Obama di vincere in questo Stato. E anche in Georgia, dove c'è un'alta percentuale di neri, Obama ce la può fare".
Ora tutti aspettano che la macchina da guerra repubblicana cominci a sparare le sue munizioni. Qualcosa sta già facendo. Ci sono milioni di e-mail su Internet per diffondere la voce che Obama è islamico e che giurò sul Corano, anziché sulla Bibbia, quando fu nominato senatore. Tutte bugie anche se il 10 per cento degli americani ci crede. Ma questi sono proiettili piccoli. L'artiglieria pesante dei repubblicani non ha ancora cominciato a sparare. n