Dopo i morti nei cantieri e l’invito a curare i gay, l’emirato del Golfo dà il calcio d’inizio alla manifestazione. E spedisce a casa anzitempo decine di migliaia di lavoratori indebitati. Ma la Fifa di Infantino, che incassa 3 miliardi, invita tutti a giocare e basta

Calcio e ipocrisia vanno a braccetto. Ma in Qatar si stanno battendo record ancor prima del debutto del mondiale, previsto domenica 20 novembre con un match non proprio di cartello fra la nazione ospitante e l’Ecuador.

 

In breve, il Qatar è buono quando investe in Europa e in Italia. È buono quando l’Italia vince appalti nel paese del Golfo con imprese come Eni, Saipem, Webuild. È buono quando il suo gas naturale liquefatto ci aiuta a superare la crisi energetica provocata dall’invasione russa dell’Ucraina. È buono quando fa divertire gli spettatori con le stelle del Paris-Saint-Germain, da Leo Messi a Kylian Mbappé, e quando riempie le casse voraci di club e federazioni con i diritti tv comprati dal network al Jazeera.

 

È cattivo quando un suo rappresentante impropriamente definito ambasciatore, tale Khalid Salman, ex calciatore dell’al Sadd e della nazionale, dichiara che i gay vanno curati. È cattivo quando continua a intrattenere rapporti preferenziali con gli ayatollah iraniani e con Vladimir Putin. È cattivo quando dichiara, contro ogni verosimiglianza, che la prima coppa del mondo invernale sarà a zero emissioni di carbonio nonostante si giochi in impianti ad aria condizionata.

Il Qatar infine è cattivo quando, nella corsa forsennata a costruire sette stadi, una metro colossale, opere stradali e idrauliche per una bolletta complessiva di 220 miliardi di dollari, manda al massacro almeno 6751 lavoratori immigrati fra il 2011 e il 2020, secondo una statistica ricostruita dal Guardian nel febbraio del 2021 su dati delle ambasciate di India, Pakistan, Bangladesh, Nepal e Sri Lanka e dunque senza contare altre comunità molto diffuse nei paesi del Golfo, gli afgani, i filippini, i kenioti. È una strage che ha colpito una forza lavoro di due milioni di persone su 2,9 milioni di residenti totali ma il saldo del decennio non è lontano da quello di cui dovrebbe vergognarsi l’Italia.

 

Per chi ha costruito il sogno l’incubo non è finito. Dalla fine di settembre, a stadi completati, l’autorità dei lavori pubblici di Doha (Ashghal) ha vietato a migliaia di edili di cercarsi un altro lavoro. Questo significa espulsione dai confini dell’emirato retto da Tamim al Thani. La prima conseguenza è che molti di questi lavoratori non avranno la possibilità di estinguere i debiti da recruitment fees. In italiano si chiama caporalato. Nei loro paesi di provenienza i migrant workers hanno dovuto pagare l’equivalente di somme a tre zeri in valuta occidentale ai reclutatori che li hanno spediti a Doha e dintorni. Tutto legittimo o quasi. In fondo, sono agenzie di lavoro interinale che propongono ingaggi biennali in cambio di una fetta della magra torta. Chi non ha in soldi in anticipo può prenderli a prestito con interessi che superano il 30 per cento, secondo l’indagine di Migrant-Rights.org.

 

Chi è arrivato nella fase iniziale dei cantieri avviati nel 2011, se non è morto e non ha riportato danni permanenti lavorando a temperature che d’estate superano facilmente i 50°, ha potuto almeno coprire le spese. Chi è stato ingaggiato dopo, anche se ha trovato migliori condizioni per la pressione esercitata da organizzazioni come Amnesty international o Human rights watch, non ha avuto il tempo di risparmiare il denaro sufficiente da un salario che, per uno specializzato, si aggira sui trecento-quattrocento dollari al mese e scende a duecento per un manovale semplice.

 

Ma il calcio è spensieratezza. Così il 3 novembre la Fifa guidata da Gianni Infantino, figlio di due lavoratori italiani emigrati in Svizzera, ha scritto una lettera alle nazioni partecipanti nella quale si suggerisce di mettere da parte la politica. «Focus on football» è lo slogan cofirmato dal successore di Joseph Blatter e dalla segretaria generale della Fifa Fatma Samoura, lei sì proveniente dal corpo diplomatico senegalese ma a digiuno di calcio fino alla sua nomina nel giugno 2016, a valle dell’azzeramento dei vertici scatenato dall’inchiesta degli agenti federali statunitensi contro Blatter e il suo amico-nemico Michel Platini, al tempo alla guida della federazione europea (Uefa).

Nella mail urbi et orbi Infantino si dice soddisfatto dei progressi del Qatar sia nei rapporti di lavoro, citando un report positivo dell’Ilo (international labour organization), sia nell’accoglienza dei tifosi della comunità Lgbt+, gli stessi che l’8 novembre hanno protestato davanti al museo della Fifa a Zurigo.

 

«Per favore», scrive la Fifa, «non permettete che il calcio sia trascinato in ogni battaglia politica o ideologica esistente». L’intervento di Infantino ha scatenato polemiche di ogni genere. Squadre qualificate alla fase finale come l’Australia, la Danimarca e l’Olanda hanno puntato l’indice contro la criminalizzazione dell’omosessualità in Qatar. Tre giorni dopo la missiva di Infantino, l’Uefa ha ribadito che «i diritti umani sono universali e si applicano dovunque». Dieci federazioni europee, fra le quali Inghilterra e Germania, hanno replicato con una lettera aperta nella quale si rilancia la proposta fatta da Amnesty e Hrw di creare un fondo Fifa da 440 milioni di dollari per risarcire i lavoratori e le loro famiglie. La cifra è pari al montepremi totale del Mondiale, che prevede 42 milioni di dollari per la squadra campione, ed è quasi il triplo dei 164 milioni che l’emirato ha versato a 37 mila lavoratori a titolo di compensazione nel 2020, poco più di 4400 dollari a testa.

 

La Fifa ha fatto orecchie da mercante. Il colosso con sede a Zurigo, che raccoglie più iscritti delle Nazioni unite (211 contro 193) non intende in alcun modo pregiudicare il suo conto economico con oneri straordinari. Il 2022 è l’anno della grande raccolta per l’organizzazione del calcio mondiale che pianifica i suoi bilanci in periodi di quattro anni. Il 2015-2018 ha portato un incasso di 6,41 miliardi di dollari, di cui 5,41 miliardi dal solo mondiale vinto dalla Francia. Ci si poteva aspettare che il 2019-2022, segnato da una pandemia che ha tenuto chiusi gli stadi per mesi, segnasse un passo indietro. Ma la federazione internazionale, a differenza dei club, non conosce recessione.

 

Il quadriennio che si chiuderà con la proclamazione dei campioni del mondo domenica 18 dicembre al Lusail Iconic Stadium progettato da Foster+Partners fa segnare una previsione di ricavi da 6,44 miliardi di dollari che sarà certamente superata. La proiezione sull’utile netto finale è di 3 miliardi di dollari per un rapporto ricavi-profitti senza paragoni con altri settori dell’industria, anche perché lo stipendio ai calciatori e gli altri costi li pagano i club, non la Fifa.

 

E sono stati proprio i presidenti dei grandi club a dissuadere Infantino, che si concede un modesto emolumento da 3 milioni di franchi svizzeri l’anno, dal mettere in atto il suo progetto di Coppa del mondo biennale.

 

Il fronte del boicottaggio verso il mondiale sul Golfo si allarga di giorno in giorno. Persino Sepp Blatter, ringalluzzito dalla recente assoluzione decretata dal tribunale di Bellinzona sul Fifa-gate del 2015, si è coperto il capo di cenere dicendo che il Qatar, dichiarato vincitore dal medesimo Blatter nel dicembre 2010, è stato una cattiva scelta. L’ex ras della Fifa ha accusato Platini e l’allora presidente francese Nicolas Sarkozy di avere rovesciato l’esito della votazione, che vedeva favoriti gli Usa, in cambio di un ordine di aerei da guerra made in France da 14,6 miliardi di dollari dopo una cena a tre all’Eliseo con l’emiro. Pochi mesi dopo Qsi, una delle holding di investimento qatariote, comprava il Psg e trasformava un club in decadenza in corazzata del football sotto la guida di Nasser al Khelaifi, ex tennista che ha avuto la fortuna di giocare in doppio con il principe Tamim.

 

Oltre ai nemici interni come Blatter, la Fifa soffre l’antagonismo dell’Uefa, che è la federazione regionale più potente con i suoi 55 membri fra i quali nazionali asiatiche come la Turchia, la Georgia e l’Azerbaijan. Il presidente Uefa, l’avvocato sloveno Aleksander Ceferin, ha gradualmente trasformato la sua organizzazione in partito di opposizione permanente nel parlamento del football mondiale. Nemico giurato della superlega dei grandi club, Ceferin ha costretto Infantino, accusato di essere il regista occulto dell’operazione, a smentire ogni coinvolgimento nel progetto sostenuto da Andrea Agnelli e avversato dal qatariota al Khelaifi.

 

Ceferin ha inoltre varato una task force per verificare le condizioni dei lavoratori nei cantieri e l’ha affidata al coordinamento del direttore Football and social responsibility, l’italiano Michele Uva. Le conclusioni di visite e ispezioni sono state in linea con le valutazioni positive dell’Ilo. Ma è difficile ispezionare quello che non c’è più.

 

L’espulsione dal paese di decine di migliaia di lavoratori sembra dovuta a un misto di ragioni. C’è la chiusura definitiva di molti cantieri. Ma c’è anche il sospetto che si siano voluti togliere di circolazione i veri artefici del miracolo di Qatar 22 perché, in fin dei conti, i poveri non sono un bel vedere. Il rischio è trovarsi con stadi meravigliosi, coperti, rinfrescati e mezzi vuoti.