Oggi compie 98 anni il fondatore del nostro giornale. Che qui ne ripercorre la storia. Il ricordo di quel lontano ottobre 1955, i giorni, i progetti, le tappe di un’impresa giornalistica

In occasione del novantottesimo compleanno di Eugenio Scalfari ripubblichiamo questo ricordo sui giorni febbrili che portarono alla nascita del nostro giornale

 

Ho raccontato più volte come nacque il nostro settimanale: Arrigo Benedetti ed io avevamo in progetto la nascita di un giornale quotidiano e ne discutemmo sia con Adriano Olivetti sia con Enrico Mattei ma alla fine i due non si misero d’accordo; Mattei era pronto a editare un quotidiano e il nostro progetto gli piacque; Olivetti non aveva le risorse sufficienti e ci propose un settimanale. Noi preferimmo questa seconda ipotesi, avere come editore l’Eni avrebbe di fatto abolito la nostra autonomia mentre con Olivetti l’avremmo interamente mantenuta.

Ricordo a chi sta leggendo questa mia introduzione che nella primavera del 1956 nacque il quotidiano Il Giorno di proprietà dell’Eni, che andò molto bene specialmente in Lombardia e in particolare a Milano, ma pochi sanno che quel giornale Mattei lo realizzò sulla base del nostro schema di quotidiano che prevedeva il formato “berliner”, molto più piccolo del formato che i quotidiani usavano, e l’abolizione della “terza pagina” letteraria sistemando invece la cultura nelle pagine centrali del giornale.

Naturalmente alcune di quelle caratteristiche le applicammo all’Espresso quando nacque. Benedetti del resto le aveva già applicate al precedente settimanale da lui fondato nel 1948, che si chiamò Europeo. Non somigliava a nessuno dei settimanali allora esistenti e in particolare Epoca, Tempo, Oggi. Erano rotocalchi a colori e ripetevano la formula di Life, di Time e di Newsweek. L’Europeo era del tutto diverso: un giornale in bianco e nero di cui non c’era esempio né in Italia né nella stampa internazionale.

Durò sei anni. Poi l’editore Mazzocchi lo vendette a Rizzoli che ne cambiò subito il formato adeguandosi a quelli già esistenti. Benedetti si dimise e dopo un anno e poco più fondammo L’Espresso che allora i lettori e gli edicolanti chiamavano lenzuolo e ancora oggi lo si ricorda e lo si chiama così perché così duro fino al 1974. In tutta la prima fase, che coincide con la direzione di Benedetti, L’Espresso fu di fatto la versione giornalistica de Il Mondo, fondato e diretto da Mario Pannunzio. Politicamente sostenevamo la stessa linea, favorevoli a quella che chiamavamo la terza forza: i partiti laici (liberali, repubblicani, socialdemocratici) alleati con la Dc ma, secondo noi, dotati di una forza di condizionamento che impedisse al partito maggiore (i laici erano partiti minori) di essere una passiva proiezione del temporalismo vaticano.

Dal 1947 al ’53 il governo e la Dc furono guidati da Alcide De Gasperi. Era un cattolico a ventiquattro carati, ma autonomo rispetto al Vaticano che all’epoca aveva come papa Pio XII.

Il nostro papa laico era Ugo La Malfa. Saragat, leader della socialdemocrazia, ci piaceva molto meno. Bisogna capir bene che cos’era Il Mondo per comprendere altrettanto bene la logica dell’Espresso. Come giornale Il Mondo era guidato da Pannunzio ma politicamente c’era una sorta di quadrunvirato che si rifaceva ai nomi di Croce, Einaudi, Salvemini, La Malfa. In redazione con Pannunzio c’era Ernesto Rossi. Da questo complicato connubio viveva la cultura del Partito d’Azione, che ormai come forza politica non esisteva più.

Nel 1957 su iniziativa di Ernesto Rossi, di Bruno Visentini e di Nicolò Carandini, furono istituti i “Convegni degli amici del Mondo” che affrontarono per cinque anni i temi più disparati con i relatori più preparati e una folta platea di persone che assistevano e partecipavano al dibattito.

Eravamo Ernesto ed io a proporre il convegno, insieme a Pannunzio si sceglievano il tema e i relatori. L’editore Vito Laterza pubblicò gran parte degli atti dei dibattiti, Il Mondo e l’Espresso gli davano adeguato spazio prima e dopo che avvenissero. Di fatto l’iniziativa dei convegni fornì al futuro centrosinistra un concreto e adeguato programma di riforme, dalla scuola pubblica alla urbanizzazione dei suoli edificabili, al Concordato con la Chiesa (noi eravamo per la sua abolizione) al monopolio del petrolio detenuto dalle multinazionali angloamericane e infine alla nazionalizzazione dell’industria elettrica. Fu un lavoro faticoso ma i frutti furono notevoli.

Nel 1963 Arrigo Benedetti decise di lasciare la direzione dell’Espresso e io gli succedetti. Arrigo continuò la collaborazione al giornale fino al ’67 quando ci fu tra noi uno scontro originato dalla guerra dei Sei giorni tra Israele e i Paesi arabi. E questa è la storia di quel gruppo del quale L’Espresso fu la colonna portante.
Di questo racconto ci sono molte tracce nel mio libro “La sera andavamo in via Veneto” e il sottotitolo che dice: «Storia di un gruppo dal Mondo alla Repubblica». La cito qui perché è inutile che io mi diffonda ancora su eventi già noti. Ma prima di concludere, debbo ancora parlare del passaggio dal “lenzuolo” al formato attuale dell’Espresso.

Il “lenzuolo” era allora diretto da Livio Zanetti, la più lunga direzione di quel giornale che durò per 14 anni. Il “lenzuolo” era stato da me molto cambiato. Avevamo introdotto il colore, pubblicavamo un supplemento economico e un supplemento di “trattenimento”. Vendevamo allora 130 mila copie con adeguata pubblicità. Il nostro concorrente era Panorama, diretto allora da Lamberto Sechi. Nel ’72 Panorama, dopo averci lungamente inseguito ci sorpassò arrivando a vendere oltre 200 mila copie. Quanto alla linea politica i due giornali erano in gran parte simili. Fu allora che decidemmo di cambiare il formato e adottammo quello attuale. Il progetto fu studiato da Zanetti, dal suo condirettore Nello Ajello e da me che ero allora amministratore delegato della società editrice, presieduta da Carlo Caracciolo. La settimana in cui uscì il giornale col nuovo formato, nel marzo del 1974, la vendita raggiunse le 350 mila copie e le mantenne da allora. Poi è venuta la crisi mondiale della carta stampata e le vendite sono diminuite ma questa è un’altra storia.

L’Espresso è nato per affermare il valore dell’innovazione, d’un accordo produttivo tra gli imprenditori e i lavoratori per portare la sinistra democratica al governo del Paese purché quella sinistra abbandonasse l’ideologia marxista e soprattutto le sue degradazioni sovietiche. Volevamo insomma una forza riformista, con libera Chiesa in libero Stato, la lotta contro la corruzione e l’evasione fiscale. Infine i tre grandi valori ereditati dall’Illuminismo e dalla Rivoluzione francese: libertà, eguaglianza, fraternità.

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