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19 novembre, 2025Al via a Palazzo Brancaccio - Spazio Field di Roma la festa per celebrare il nostro settimanale che, dal 1955, racconta l'Italia e il mondo con sguardo critico e indipendente. Qui la diretta
Al via la grande festa per i 70 anni de L’Espresso. Una giornata di talk e interviste per celebrare il nostro settimanale che, dal 1955, racconta l’Italia e il mondo con lo sguardo critico e indipendente. Dalle 14 si stanno alternando sui due palchi di Palazzo Brancaccio - Spazio Field di Roma ospiti del mondo della cultura, della politica, dello spettacolo e dell’arte.
Il direttore Emilio Carelli, introducendo l'evento, ricorda il "gruppo di giornalisti coraggiosi" che hanno fondato il nostro settimanale. "L'Espresso ha raccontato la storia del Paese, accompagnando l'Italia e il mondo nella crescita e nello sviluppo. Raccontando le battaglie per i diritti, le storie di lotta alla mafia, il terrorismo. Raccontando la storia dell'Italia sempre con questo spirito d'indipendenza, provando a essere il cane da guardia del potere". Anche L'Espresso di questi ultimi anni ha seguito questa direzione, raccontando "il dramma di Gaza. Lo scorso anno abbiamo premiato come persona dell'anno una bambina di Gaza - ricorda Carelli -. O l'inchiesta su Ustica, e ancora la battaglia sui diritti. Vogliamo celebrare la storia - aggiunge - ma anche prendere l'impegno per continuare su questo solco". Ricorda poi la digitalizzazione dell'archivio de L'Espresso, dalla fondazione fino a oggi, che a breve sarà online.
"Disegnare un giornale": Stefano Cipolla con Andrea Calisi
Il primo talk del pomeriggio, nell'Arena 55, è "Disegnare un giornale", in cui l'art director de L'Espresso Stefano Cipolla dialoga con l'illustratore Andrea Calisi. "I giornali sono fatti di testi e di immagini, e la copertina è la sintesi di un lavoro collegiale", racconta Cipolla, prima di mostrare al pubblico - e descrivere - alcune storiche copertine de L'Espresso.
Ma come si fa una copertina? "Bisogna andare subito a trovare l'essenziale", spiega Calisi. Ma ogni illustratore ha il suo metodo di lavoro. E racconta la copertina fatta per il numero uscito lo scorso ferragosto, sul "diritto alle vacanze", ma anche quella realizzata per le Guide de L'Espresso, con i suoi diversi tentativi fatti prima di arrivare alla realizzazione finale.

"Arabopolis: il mondo arabo dietro i clichè": Angiola Codacci-Pisanelli con Laura Silvia Battaglia, Navid Carucci e Igiaba Scego
Nella sala “Club 70”, il talk “Arabopolis: il mondo arabo dietro i cliché” ha fatto dialogare la nostra Angiola-Codacci-Pisanelli, che cura la rubrica "Arabopolis", con la reporter Laura Silvia Battaglia e lo scrittore italo-iraniano Navid Carucci.
“La rubrica si propone di raccontare il mondo arabo-islamico al di là dei cliché che lo vorrebbero legato solo a realtà di guerra, integralismo e terrorismo. Propone di (ri)aprire un dialogo tra Paesi occidentali e Paesi orientali”. Dialogo che, però, rischia di essere riaperto seguendo strategie di soft-power, il cui “potere è decisivo”, secondo Laura Silvia Battaglia. La Biennale di Arte islamica conclusa a Gedda è indicativa, in tal senso: “Gedda si propone come città che vuoi farsi hub di un certo mondo culturale, mostrando che si può fare arte al di fuori di segni e iconografie religiose”. Ma tra i moltissimi reperti di questa mostra, “non c’era quasi mai una targhetta che indicava l’origine yemenita dei beni”, tutti definiti sauditi. “Così si crea una narrativa che depaupera un Paese vicino di un bene vecchio di millenni. E chi ha i soldi – e vicinanza con gli Usa – può diventare potenza culturale”.
Ma “è nell’incontro tra identità e culture che si deve ricercare la ricchezza – afferma Navid Carucci – nonostante le persone di etnia mista non siano viste sempre bene, perché a metà tra due paesi. Io sono italo-iraniano, e sono sempre stato visto poco italiano e poco iraniano. Ma la mia doppia etnia mi fa vedere le cose da un punto di vista privilegiato perché plurale”. Una ricchezza che ritorna nel suo lavoro, l’insegnamento alle scuole medie, che è “l’arena privilegiata dove posso vedere le cose da più prospettive e restituirle ai ragazzi, in un ottica multiculturale che riflette la composizione delle mie classi”

"La musica s'è desta", Emanuele Coen e Gino Castaldo con Motta
"Noi siamo qui per rompere un po' gli schemi", dice Emanuele Coen aprendo il panel con Motta sul palco di Arena 55. Ed elenca la mobilitazione giovanile degli ultimi mesi, per Gaza e non solo. "Il risveglio che abbiamo visto nelle piazze non è ancora arrivato in musica", dice Gino De Castaldo.
Ma come vede Motta questa nuova generazione? "Inizio a convivere con un forte disincanto politico. Ci tengo a dire che ho dei valori di sinistra, anche se non va molto di moda prendere posizione. Aver visto ragazzi giovani in manifestazione mi ha rincuorato".

"Il fotogiornalismo tra conflitti e frontiere", con Tiziana Faraoni, Massimo Sestini e Pietro Masturzo
La photoeditor Tiziana Faraoni intervista i fotografi Pietro Masturzo e Massimo Sestini nel talk “Il fotogiornalismo tra conflitti e frontiere”. Dal 1955 L’Espresso riporta il mondo attraverso le immagini; le sue copertine hanno contribuito a costruire l’immaginario collettivo italiano. Pietro Masturzo racconta al pubblico la sua esperienza in Cisgiordania, dietro di lui scorrono le immagini dei coloni israleani in Palestina dal 2012 ad oggi. Masturzo condivide l’esperienza del suo ultimo viaggio: “La situazione è peggiorata in modo drammatico. I coloni sono sempre più violenti”, spiega, “oggi i fotografi non vogliono far vedere di essere giornalisti, noi giornalisti internazionali siamo diventati dei taghet.
Durante il talk si riflette ampiamente sui quasi 300 giornalisti uccisi volontariamente in Palestina. Massimo Sestini ha scattato una fotografia che ritrae un barcone colmo di migranti a largo delle coste libiche. La foto, scattata dall’alto, intitolata Mare Nostrum, ha vinto il World Press Photo 2015. “Volevo che le persone guadassero l’obiettivo in modo improvviso. Noi eravamo sopra di loro in un elicottero”, racconta Sestini. “Qualche anno dopo una di quelle persone si è riconosciuta e mi ha contattato. Ho deciso, così, di lanciare il progetto Were Are You insieme a National Geographic per ritracciare 10 persone presenti su quell’imbarcazione. Il concetto che voglio trasmettere è che la migrazione è un fenomeno globale, domani ci potremmo essere noi in mezzo al mare per proteggere le nostre famiglie”.

"L'inchiesta", con Gianfrancesco Turano e Paolo Biondani
"Ci vuole un'attività lunga di ricerca: cercare testimoni, cercare fonti, consumare le scarpe - dice Paolo Biondani parlando di cosa è un'inchiesta -. Per fare un lavoro d'inchiesta serve che le verità siano tenute segrete da chi ha il potere. E poi devono essere di interesse pubblico". Poi ricorda l'inchiesta sulla speculazione edilizia a Roma, "Capitale corrotta, nazione infetta". Ma qual è il momento fondativo del giornalismo d'inchiesta? "Gli anni delle stragi. Con piazza Fontana, per la prima volta in Italia, un gruppo di giornalisti di testate e idee diverse, capiscono che la versione ufficiale - 'Sono stati gli anarchici' - è falsa. E iniziano a raccontare la storia vera. Poi si scoprirà che sono stati nazifascisti veneti, protetti da servizi segreti, quasi tutti affiliati alla P2". Da lì in poi inizia il giornalismo d'inchiesta come categoria a sé.
"Il giornalismo d'inchiesta è un modo di vivere", per Gianfrancesco Turano. "È un mestiere che richiede una capacità di resistenza molto particolare. Bisogna essere pronti a mettersi contro tutti. Passare gran parte del proprio tempo a difendersi contro le querele. Essere pronti a mettersi anche contro i lettori e spiegargli che i loro 'buoni' non sono in realtà tali". E allora perché si fa giornalismo d'inchiesta? "Credo sia una passione innata per la ricerca della verità", dice Turano.

L'intervista a Francesca Albanese, di Daniele Mastrogiacomo
La relatrice speciale Onu sui territori palestinesi occupati Francesca Albanese in collegamento da Bruxelles è intervenuta durante un panel con il giornalista Daniele Mastrogiacomo sulla questione israelo-palestinese. La prima domanda riguarda l’imparzialità e come si può trovare uno sguardo equanime in un ruolo come il suo: “L’imparzialità è guardare ai fatti con oggettività non distanza tra le parti, soprattutto in una situazione così diseguale. In più il mio ruolo è quello di documentare le violazioni nei territori palestinesi occupati”.
Su Trump e il ruolo delle Nazioni Unite e il futuro del multilateralismo, la relatrice ha detto: “Ho un peso sul cuore su questo tema. Sono tre anni che faccio tantissimi sacrifici perché credo ancora tantissimo nelle Nazioni Unite. Ma non hanno fatto una bella figura neanche durante gli anni in cui a Israele è stato permesso di commettere efferati crimini di guerra e genocidio. La traiettoria storica del declino parte dall’Iran e oggi ha raggiunto il suo apice. Gli Stati Uniti stanno usando una logica di controllo a cui nessuno degli Stati occidentali si oppone. Gaza è il termometro dello stato dell’Onu, così rischia di perdere di senso ed è un peccato perché è la vera piattaforma in grado di risolvere i conflitti e far trionfare il diritto internazionale.
“L’apocalisse di Gaza”, ha concluso Albanese, “ha risvegliato le coscienze, è il primo genocidio che crea un movimento globale. In tutto il mondo viene punito chi si pone in maniera critica su cosa sta avvenendo in Palestina. Il recupero del multilateralismo richiede un rinnovamento della base politica di ogni Stato. Gli Stati europei hanno accompagnato e reso possibile l’impunità di Israele”.

"All eyes on Gaza", con Daniele Mastrogiacomo e Paolo Romano
Gaza e la Global Sumud Flotilla al centro del dialogo di Mastrogiacomo con il consigliere del Consiglio regionale della Lombardia, Paolo Romano, che ha partecipato alla missione diretta a Gaza. "L'elemento che più mi colpisce ancora oggi è che quella che ho trovato lì, in Israele, non è più una democrazia. Le percosse, la privazione di alimenti e di assorbenti, dimostrano che lo stato di diritto lì non c'è più. C'è un pezzo di società israeliana che lotta per i diritti, ma la maggioranza e le istituzioni di quel Paese non hanno più un comportamento democratico".
“C’è un pezzo di Israele che è diventato prevalente nella nazione - aggiunge Romano -. Il 66% degli israeliani crede sia giustificabile lo sterminio dei villaggi palestinesi e una percentuale simile crede che non sia stata usata abbastanza violenza. E la stessa violenza l’abbiamo trovata nel modo in cui siamo stati trattati noi della Flotilla. E nelle loro parole, la libertà di stampa in Israele è sotto scacco, la teoria propagandistica di Pallywood, che nega lo sterminio a Gaza. Se non c’è una pace giusta - sottolinea -, non si interrompe la spirale di violenza, sia per le vittime palestinesi sia per la sicurezza dei civili israeliani”.

"Sindaci d'Italia", di Marco Fioravanti con Felice Florio e Francesca Barra
"Non c'è una ricetta per tutti i sindaci. Ogni amministrazione, e ogni città, è unica e irripetibile", dice il sindaco di Ascoli, Marco Fioravanti (il più amato d'Italia, secondo un sondaggio de Il Sole 24 Ore), nel panel con Francesca Barra e Felice Florio. "Il consenso non è un diritto acquisito, bisogna mantenere quella fiducia". C'è una misura che ha avuto un impatto riconosciuto e apprezzato, più di altre misure? "IL 33% del mio tempo lo dedico all'ascolto, il 33 ai dossier, il 33 a gestire le strutture. Quel che ha fatto aumentare il gradimento è stato il 'Caffè con il sindaco'. Lo faccio il primo martedì del mese". La legge di Bilancio in discussione non è molto generosa con gli enti locali. "Dal 2011 a oggi i governi hanno ridotto di circa il 40% i trasferimenti statali, e quindi i comuni hanno avuto sempre meno entrate e sempre più spese. Non ce ne accorgiamo oggi. Dal 2011 circa otto milioni in meno. Quest’anno, per la prima volta, non ci sono stati ulteriori tagli ai trasferimenti statali. Questo problema strutturale si fa a sommare a un problema di spesa corrente".

"Sindaci d'Italia", di Roberto Gualtieri con Felice Florio e Francesca Barra
Dal sindaco di Roma Roberto Gualtieri, innanzitutto, un riconoscimento al lavoro che L'Espresso porta avanti da 70 anni: "L’Espresso ha fatto la storia d’Italia. Non ha solo ospitato le firme dei più grandi giornalisti italiani, da Benedetti a Eco fino a Bocca, eccetera. Quando nasce nel 1955 anticipa la modernizzazione, anche politica, del Paese. E segna l’ingresso di un giornalismo indipendente". C'è un tema, quello della sicurezza, che è al centro del dibattito e con cui i sindaci, principalmente quelli delle più grandi città, si trovano a fare i conti: "È un grande tema di cui occuparsi, e non limitarsi a dire che la sicurezza è responsabilità del governo e delle forze dell’ordine. Servono le forze dell’ordine, serve la repressione, ma non è sufficiente: la grande sfida è risanare e offrire percorsi di riscatto a zone degradate".
Bisogna essere duri contro l’illegalità, aggiunge Gualtieri, "ma offrire riscatto ai giovani, ai ragazzi. Bisogna decentrare i servizi, sport, eventi, aree ludiche, biblioteca, così da alimentare percorsi di partecipazione”.
Su TikTok e i social: “Sono strumenti utili a raccontare in modo più diretto ciò che facciamo, raccontare i nostri interventi è un dovere. Spiegare ai cittadini cosa sta facendo è importante per restituire anche il fascino della sfida ingegneristica e culturale di ogni progetto. I politici devono comunicare quello che non ciò che vorrebbe fare”.

"I leader del rinnovamento" di Felice Florio con Simone Leoni e Bernard Dika
Simone Leoni è segretario di Forza Italia Giovani, Bernard Dika è sottosegretario della Regione Toscana e che, alle scorse elezioni regionali, ha preso oltre 14 mila preferenze. "Io e Bernard siamo avversari, ma gli avversari non sono e non devono essere nemici", dice Leoni. "La politica adulta ci spinge un po' a essere eredi del futuro. Secondo me la nostra generazione, oltre a essere erede, deve essere soprattutto protagonista del presente".
"Ci dicono sempre che 'noi giovani siamo il futuro', ma che non è ora il momento. Quando ci vedono impegnati si meravigliano. È demoralizzante perché dà l'idea di una società che non responsabilizza le nuove generazioni - dice Dika -. Ma se non ci permettono di sbagliare, come potremmo avere una classe dirigente? Ecco perché quando penso ai motivi per cui faccio politica, per me è normale. Sono arrivato dall'Albania quando avevo un anno, e l'Italia è il Paese che ha cambiato la mia vita. Se i giovani non rivendicano i loro bisogni, non ci sarà una generazione che lo farà per loro. Sbagliato pretendere che siano gli adulti a dire e fare ciò che vorremmo: bisogna prendere spazio".
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