Stessi attori, stesse ossessioni. Una badante fa la cresta sui compensi per pagare le lezioni di piano al nipote

Cinema, “La gazza ladra” di Guédiguian: brevi momenti di comunismo

Chi va al cinema lo sa. I film che lasciano il segno alla fine si dividono in due grandi categorie. Quelli che stupiscono e quelli che incantano. Alcuni autori (Fellini, Welles, P.T. Anderson...) sanno frequentare e perfino conciliare questi due macrogeneri. Ma la maggior parte milita più o meno apertamente in uno di questi due campi opposti e complementari. Robert Guédiguian, per esempio, appartiene al secondo gruppo e ce ne ricordiamo a ogni suo nuovo film. Dunque abbastanza spesso per fortuna.

 

Da oltre quarant’anni infatti questo armeno di Marsiglia, origini proletarie e progressismo corazzato, gira nelle stesse strade dell’Estaque, con lo stesso gruppo di attori, storie scolpite intorno a un pugno ben definito di ossessioni. Ma ogni volta stabilisce nuovi nessi, illumina angoli nascosti, riformula questioni che credevamo di sapere a memoria estraendone accordi e sentimenti diversi. La “gazza ladra” del titolo è l’eterna Ariane Ascaride che assiste a domicilio l’anziano e non meno familiare Jean-Pierre Darroussin, Facendo la cresta sui compensi per pagare al talentuoso figlio di sua figlia le costose lezioni di piano che merita. E magari togliersi ogni tanto qualche sfizio, come una mezza dozzina di ostriche, perché chi ha detto che solo i ricchi debbano godersi la vita?

 

Il tema “maggiore” è dunque la diseguaglianza (di reddito, opportunità, cultura) su cui si fondano le nostre società, ma quello profondo è lo spreco (di intelligenza, immaginazione, piaceri) che questa diseguaglianza genera. Erigendo barriere tra mondi e persone che invece avrebbero molte cose da dirsi. Come prova l’affettuosa consuetudine e reciproca curiosità che lega l’agiato Darroussin alla badante Ascaride. Ma anche l’inarrestabile reazione a catena, da non raccontare, che si scatena quando i piccoli furti della badante vengono scoperti dal figlio del suo assistito (Grégoire Leprince-Ringuet). Innescando una spirale di desideri e rapporti proibiti che trasformano frustrazioni e rancori (il figlio nutre rancori ingiusti ma tenaci verso il padre) nel loro opposto. In un vortice che sconquassa molte vite, figli e figlie, mariti e mogli, suocere e nuore. Ma finisce per ridefinire non solo i rapporti famigliari ma quelli che uniscono e separano le classi. Un piccolo, incantevole “momento di comunismo”, come Guédiguian definisce i suoi film, Per ricordare che la rivoluzione comincia in casa, o nel proprio quartiere. E che creare o immaginare “momenti collettivi”, anche sotto forma di film, resta uno dei modi migliori che abbiamo per resistere.

 

AZIONE! E STOP

Sporco, violento, poetico. E disturbante, danzerino, perfino divertente come il suo antieroe, polacco senzatetto e forse senza qualche rotella insediato alla stazione Termini di Roma. “San Damiano” di Sassoli e Cifuentes è il perfetto antidoto al cinema analcolico ormai dilagante. Madornale, amorale, immorale? Dibattito aperto. In tour.

 

Un esule cubano ancora molto arrabbiato, un fidanzato con la telecamera accesa, un docu di coppia e di governo (la Meloni è alle porte...) che radiografa il populismo da dentro, amoroso e spietato. Menzione d’onore al festival di Bolzano, “My boyfriend el fascista” dell’altoatesino M. Lintner va visto. Ma con quel titolo troverà le sale?

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