
La squadra di biocontenimento dell’Aeronautica militare è una competenza di eccellenza del sistema sanitario nazionale e opera in stretta collaborazione con i centri di cura per le malattie infettive come l’ospedale Sacco di Milano e lo Spallanzani di Roma. Il team fa riferimento all’Infermeria principale dell’aeroporto militare di Pratica di Mare, vicino a Roma, ma può contare su medici e infermieri alle dipendenze dei comandi regionali. L’Aeronautica militare è l’unica forza aerea in Europa, insieme con la Royal Air Force britannica, a poter garantire questo tipo di trasporto in totale isolamento e sicurezza. Un lavoro silenzioso e di solito invisibile poiché, per le norme di protezione sanitaria, non vengono ammessi fotografi durante i voli operativi. Una di queste missioni, su un grosso elicottero HH-101A del 23° Gruppo del 15° Stormo, ha però ammesso la macchina fotografica di uno dei tecnici di bordo: di qui le immagini che vedete in queste pagine.
È un lunedì, il 16 marzo, 2.158 morti in tutta Italia, 11.025 pazienti ricoverati e altri 1.851 in terapia intensiva. Gli ospedali di Bergamo e della provincia sono già oltre le loro capacità. Molti malati si aggravano nel giro di poche ore e per la mancanza di letti in rianimazione devono essere trasferiti. Quella settimana in Lombardia moriranno 2.356 persone. E sono soltanto i decessi registrati. Il calcolo preciso delle vittime dentro le mura di casa e nelle residenze per anziani non è chiaro nemmeno oggi. Come accadrà per molti giorni ancora, i primi malati partono via terra. Si cerca aiuto anche dagli ospedali del centro e del sud Italia. Una delle destinazioni è Perugia.
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Il grosso HH-101A del 15° Stormo viene fatto decollare da Cervia. Arriva a Bergamo con il personale sanitario a bordo che è già buio. Il paziente da trasferire è un uomo di 62 anni. Quella notte, durante il suo imbarco all’aeroporto di Orio al Serio e il volo verso Perugia, gli scatti catturano sguardi inediti dall’interno dell’emergenza. I volti dei due militari avvolti nella plastica, dentro l’oblò della barella di biocontenimento, sembrano arrivare da una lontana missione spaziale. E i movimenti misurati dei colleghi in tuta e occhialoni, dal copione scritto da Craig Mazin per la serie Chernobyl.
Sono invece sequenze reali di un pianeta che in poche settimane si è rivelato ostile. Sullo sfondo, le luci della pista e i Boeing di Ryanair bloccati a terra. Le nostre due vite a confronto. Il prima e il dopo. Un mondo finito, uno appena cominciato. E in mezzo, la sorte di un uomo intubato che, quando si risveglierà, non ricorderà nulla di questo viaggio e dei soccorritori che si sono presi cura di lui.
«Porto sempre con me una macchina fotografica», racconta il maresciallo Pescarollo, originario di Roma, sposato e padre di una bimba, Alice: «È una passione ereditata da mio padre. Ricordo ancora le sue fotografie stampate in proprio nella camera oscura autoprodotta, ricordo la sua macchina Petri, ovviamente a rullino, e i miei tentativi di usarla al meglio. Purtroppo ricordo anche quando poco più che quindicenne la riportai a pezzi da un viaggio in Inghilterra». David, diplomato in elettronica e telecomunicazioni, si è arruolato nel 1999 e oggi, quando le circostanze lo permettono, cerca di conciliare la passione per il fotoreportage con il suo delicato lavoro a bordo degli elicotteri militari.
Il 15° Stormo, premiato con la Medaglia d’argento per il valore aeronautico per gli interventi in Mare Adriatico e nelle alluvioni di Olbia e in provincia di Modena, si è anche distinto nei soccorsi al traghetto Norman Atlantic nel 2014, ai naufraghi della Costa Concordia nel 2012 e ai sopravvissuti del terremoto a L’Aquila nel 2009. «Salvare vite umane è il nostro compito.», spiega il comandante, il colonnello Diego Sismondini. «Lo Stormo garantisce con i suoi centri in tutta Italia, 24 ore su 24, e 365 giorni l’anno, la ricerca e il soccorso degli equipaggi di volo in difficoltà, concorrendo inoltre ad attività di pubblica utilità come la ricerca di dispersi in mare o in montagna, il trasporto sanitario d’urgenza di ammalati e il soccorso di traumatizzati gravi. Dalla sua costituzione a oggi i nostri equipaggi hanno salvato oltre settemiladuecento persone in pericolo di vita».
Dall’inizio dell’emergenza i medici e gli infermieri della squadra di biocontenimento e i loro pazienti sono stati portati a destinazione anche dagli aerei del 14° Stormo di Pratica di Mare e della 46ª Brigata aerea di Pisa. La prima missione nell’emergenza Sars-Cov-2, il nome scientifico del virus che ha provocato l’epidemia, risale al 2 febbraio con il rimpatrio da Wuhan di cinquantasei italiani bloccati in Cina. Il 9 febbraio un secondo volo dall’Inghilterra, con altri connazionali ritornati dalla metropoli cinese. Il 14 febbraio una terza missione ha riportato in Italia Niccolò, 17 anni, trattenuto fino a quel giorno in Cina perché al momento della partenza aveva la febbre. E tra il 21 e il 22 febbraio, nuova operazione, questa volta in Giappone, per il rimpatrio di diciannove italiani e altri cittadini europei sorpresi dall’epidemia a bordo della nave da crociera Diamond Princess.
Ma già nel 2015 il team di specialisti sanitari dell’Aeronautica militare aveva salvato un volontario di Emergency, l’infettivologo Fabrizio Pulvirenti, che era rimasto contagiato dal virus Ebola in Sierra Leone. Trasportato in Italia con le stesse procedure di biocontenimento, era stato poi curato e guarito dai colleghi dell’ospedale Spallanzani di Roma. Storie che sembrano lontane, rispetto a tutto quanto è accaduto in Europa dopo il 21 febbraio.
Nella squadra lavora anche una donna, Ilaria Valentini, 32 anni, infermiera militare e biologa molecolare dell’Istituto di medicina aerospaziale dell’Aeronautica militare. Ha seguito lei Niccolò durante il lungo volo di rientro. La formazione è integrata da corsi negli Stati Uniti e missioni operative in aree di crisi. «Il team è costituito da specialisti», spiega il tenente colonnello Crispino Ippolito, medico anestesista nella squadra di biocontenimento: «Il loro numero nella singola missione può variare in ragione del tipo di velivolo impiegato e del livello di intervento richiesto. Veniamo periodicamente addestrati e formati attraverso corsi ed esercitazioni. Si tratta di personale estremamente qualificato, che ha alle spalle esperienze operative reali di trasporti in biocontenimento, come il rimpatrio dalla Sierra Leone. Ogni nostro intervento viene attivato su richiesta del Centro operativo aereo unificato della Protezione civile. Velivoli ed equipaggi sono in stato di allerta ventiquattro ore su ventiquattro. Ma si tratta sempre di un grande lavoro di squadra tra i vari comandi, coordinato dal Comando operazioni aeree di Poggio Renatico in provincia di Ferrara. Nel trasporto sanitario d’urgenza il fattore tempo è essenziale».
E proprio per questo, a volte, nelle lunghe ore di attesa tra un decollo e l’altro, capita di ricevere qualche buona notizia: il primo paziente trasportato in Puglia con un C-130J della 46ª Brigata aerea di Pisa è finalmente guarito. L’uomo, 56 anni, trasferito dall’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo all’ospedale Miulli di Acquaviva delle Fonti vicino a Bari, aveva una grave insufficienza respiratoria e una miocardite provocate dal coronavirus. Quando tutto questo sarà finito, i salvati ringrazieranno i salvatori. E tra i tanti medici e infermieri di terra, non andranno dimenticati i loro colleghi arrivati dal cielo.