Proposta: Algoritmi per la parità
Una società giusta che superi la subalternità di genere: condivide la responsabilità di riproduzione sociale, a cominciare da infanzia e anziani, che altrimenti ricade prima di tutto sulle donne; dà alle adolescenti strumenti cognitivi e mezzi finanziari per scegliere in libertà indirizzi di studio, lavoro, impresa anche nei settori favoriti dalle nuove tecnologie; vuole più donne nei ruoli strategici, anche in mondi oggi “maschili” a cominciare dalla programmazione digitale e degli algoritmi.
Il digitale permea l’intera nostra esistenza. E per fare sì che proprio le nostre vite non vengano travolte dalla potenza della tecnologia, dovremmo iniziare a lavorare a un nuovo patto sociale per la società digitale, che sfrutti al meglio le nuove tecnologie, garantendo la sovranità sui dati, standard etici per l’intelligenza artificiale e garantisca, al contempo, i diritti fondamentali dei cittadini, i diritti dei lavoratori, gli standard ambientali e la parità di genere. Questo è l’obiettivo da raggiungere, ma la strada sembra essere in salita, perché stiamo vivendo un picco di disuguaglianza che si manifesta nel rapporto stonato fra scienza, tecnologia e pari opportunità.
Da un lato la povertà è raddoppiata. Dall’altro sono cresciute fortemente le differenze intergenerazionali e di genere. E in questo scenario le donne sono le più penalizzate. Fanno da barriera contro il virus, sia con il loro lavoro di cura che come lavoratrici in prima linea nelle scuole e negli ospedali. Le donne sono quindi una soluzione alla pandemia, ma stanno anche pagando il prezzo più alto di questa crisi, che sul piano economico sta facendo vittime soprattutto nel settore dei servizi e dei posti di lavoro meno garantiti, dove le donne sono più presenti degli uomini.
E la punta dell’iceberg dell’ingiustizia viene vissuta dalle donne nel settore tecnologico, dove il divario di genere è particolarmente preoccupante. Secondo l’Istituto di statistica dell’Unesco, le donne rappresentano oggi, a livello globale, meno del 30 per cento del totale delle persone impiegate nella ricerca Stem (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica). In Italia questo dato è inferiore al 20 per cento. Inoltre, chi riesce a trovare lavoro in questo settore, è pagato meno e ha molte più difficoltà degli uomini nell’intraprendere un percorso di carriera.
In Italia abbiamo in generale un forte bisogno di alfabetizzazione digitale. Oltre 10 milioni di italiani non sanno usare Internet e il paese è quartultimo in Europa nella classifica della Commissione Europea sulla digitalizzazione. Lo smart working e l’istruzione a distanza potrebbero essere degli strumenti agili di emancipazione, ma data l’assenza di solide politiche di conciliazione tra lavoro e vita privata, rischiano di discriminare ulteriormente le donne.
Non a caso la Commissione Europea ha posto la parità di genere come criterio che deve essere presente nella Next-Generation EU. In Italia però la differenza tra occupazione maschile e femminile è tra le più alte d’Europa. Siamo ultimi in Europa per l’accesso delle donne al mercato del lavoro, e siamo in fondo alla classifica Global Gender Gap del World Economic Forum, in quanto ai vertici della politica, delle aziende e degli affari ci sono ancora soprattutto uomini. C’è una profonda resistenza culturale, stereotipi di genere che accecano la mente, abitudini ormai radicate. Ma è necessario far capire che se metà del mondo non va avanti, allora l’intera umanità si ferma.