No, non siamo i primi. Non siamo stati gli unici a sentirci smarriti, a vivere questo periodo di reclusione forzata come una limitazione della nostra libertà. Tantissimi italiani che ci hanno preceduto hanno vissuto momenti di isolamento, dalle epidemie ai campi di prigionia, dai lager alle trincee. Altre quarantene, certo, diverse e più dolorose, ma simili, durante le quali donne, uomini, bambini hanno vissuto giornate piene di ansia, e sentito l’urgenza di affidarsi alla scrittura di un diario: proprio come noi in queste settimane.
Allora come oggi, raccontare in prima persona diventa una terapia necessaria, un’arma di difesa per combattere la solitudine, per abbattere i muri e le barriere delle nostre case. E non importa se le nostre cronache sono appuntate con la biro o con una tastiera, registrate in un messaggio vocale o in un filmato su Facebook. Clelia Marchi, per esempio, affidò il racconto della sua vita a un lenzuolo a due piazze.
Le parole ricamate dalla contadina di Poggio Rusco (1921-2002), vedova e madre di otto figli, sono conservate presso l’Archivio diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano, fondato 36 anni fa dal giornalista e scrittore Saverio Tutino e oggi custode di oltre ottomila diari, molti dei quali contengono storie di isolamento. In questi giorni l’Archivio e il Piccolo Museo del diario aprono idealmente le loro porte pubblicando quelle pagine sui social network attraverso la rubrica “Italiani in quarantena. Diari dall’isolamento”.
Ed è incredibile scoprire come certe situazioni non siano così diverse da quelle attuali. Nel diario di Francesco Tedeschi (impiegato dell’Annona nello Stato Pontificio dal 1779), poi proseguito dal figlio Giuseppe (fino al passaggio di Roma al Regno d’Italia) vengono annotati, giorno dopo giorno, il numero di contagiati, morti e guariti dal colera asiatico del 1837. Quattro pagine fitte di numeri che proseguono fino all’11 ottobre del 1837, giorno in cui non si registrarono più nuovi casi, che in totale furono 8048, oltre ai 4391 morti. «Fu nel dì 8 luglio – si legge nel diario -, che si segnalò in questa Capitale il primo caso sospetto in persona di un cocchiere».
Filippina Mincio, invece, casalinga siciliana, a proposito della “spagnola” scrive: «Fu anch’essa un’immane tragedia. Si trattava di un’influenza maligna che colpiva grandi e piccini, ma infieriva con maggiore violenza sui giovani, che mieteva senza pietà. Intere famiglie furono decimate. Le campane suonavano a morto da mane a sera. Poi finalmente, un bel giorno, calò il sipario sulla duplice, immane tragedia. L’epidemia cessò. Ci fu l’Armistizio e la guerra finì».
Parole che rilette oggi, forse, possono darci un po’ di conforto. «È il nostro modo per abbracciare tutti, per dire che ce la faremo come ce l’hanno fatta gli autori di queste storie», spiega Natalia Cangi, direttrice della Fondazione Archivio diaristico nazionale Pieve Santo Stefano: «Sono le storie degli italiani che hanno vissuto prima di noi e che ci hanno insegnato tutto». Come la vicenda di Vincenzo Rabito, a cui dà voce in questi giorni Mario Perrotta con il progetto “Manuale di sopravvivenza”, racconto in 30 puntate di “Terra matta”, diario vincitore nel 2000 del Premio Pieve (pubblicato da Einaudi), in onda sul canale Youtube dell’Archivio (una selezione anche su Rai Radio3 Suite).
«È una storia epica, emblematica, di un uomo semianalfabeta che a 70 anni prende l’Olivetti Lettera 22 del figlio Giovanni e intraprende l’ultima battaglia della sua esistenza, quella con la macchina da scrivere», aggiunge Cangi. Un invito a leggere, ma anche a scrivere, inviando i propri diari all’Archivio quando tutto sarà finito, magari per farli concorrere al premio Pieve che si svolgerà come ogni anno nel mese di settembre.
Un incoraggiamento alla scrittura arriva anche dalla Libera Università dell’autobiografia di Anghiari, che lancia il progetto “Scrivere di sé al tempo del coronavirus” rivolto a bambini, giovani e adulti. Le testimonianze troveranno spazio sui canali social dell’Università e durante il Festival dell’autobiografia. Intanto, “diari d’artista” si rincorrono sui canali social del Teatro Stabile di Napoli, con i “Diari dalla quarantena” di Marino Niola, Cristina Donadio, Andrea De Rosa, Mariano Rigillo. Un messaggio di speranza arriva da Emma Dante: «Io sono sicura che questa crisi la supereremo e ritorneremo insieme vicini e alla fine dello spettacolo ci stringeremo ancora di più in un applauso talmente forte da far tremare la terra».
Dal mondo del teatro arriva anche un altro progetto diaristico, pensato e fatto in casa dalla compagnia Dynamis diretta da Andrea De Magistris, l’Eternauta, podcast settimanale che raccoglie le voci dei cittadini. A prendere la parola sono padri di famiglia alle prese con tre figli maschi chiusi in 50 metri quadrati, trentenni che accudiscono i propri nonni, impiegate in smart working, disoccupati e diplomandi.
Cronache dalla quarantena anche su RadioLondra 2020, il podcast ideato da Giovanni Savarese (Audio Teles Productions), che è diventato una sorta di sfogo collettivo. I social network si sono trasformati in un diario collettivo in cui ognuno racconta la propria giornata. Pezzi di vita quotidiana formano il grande puzzle dei Coronavirus days. Esistono perfino gruppi Facebook dedicati, come “Diari della quarantena” pensato dalla scrittrice Francesca Cavallo, che in un post scrive: «Ci sono momenti difficili come le guerre, in cui i cittadini di un Paese si ricompattano contro un nemico esterno. E ci sono le pestilenze, le epidemie, in cui il rischio è la perdita della nostra umanità». Per restare umani, spazio alla scrittura.