Domenico Arcuri, il supercommissario alla pandemia immune dai mutamenti della politica

Ex consulente, alla guida di Invitalia da tredici anni, il manager di origine calabrese aspirava alla guida di Leonardo prima di essere nominato a gestire l'emergenza virus. Amico di andreottiani e dalemiani, storia di un bravo navigatore tra destra e sinistra

Quando uno resta tredici anni nello stesso posto è perché non vuole fare carriera oppure non riesce a farla. Dalle 21.50 circa di mercoledì 11 marzo nessuna delle due opzioni si applica più a Domenico Francesco Arcuri, 56 anni, dal 2007 manager di Sviluppo Italia, poi ribattezzata Invitalia.

Il premier Giuseppe Conte ha scelto l'ex consulente (Arthur Andersen, Deloitte) di origine calabrese come commissario all'emergenza coronavirus, una figura prevedibile e forse per una volta giustificata nel paese dei mille commissari.

La nomina era attesa ed è stata condotta in porto disseminando la strada, come vuole il manuale degli incarichi, di candidature civetta come quelle di Gianni De Gennaro e Guido Bertolaso, per motivi diversi due uomini molto più ingombranti.

Arcuri è adattabile. Portato a Sviluppo Italia da Massimo D'Alema, si è ricollocato senza battere ciglio con il sistema Silvio Berlusconi-Gianni Letta. Con altrettanta flessibilità è tornato nelle grazie dei governanti giallo-rosa grazie al ministro dell'Economia Roberto Gualtieri, dalemiano antemarcia entrato in direzione nazionale proprio nel 2007, l'anno di esordio di Arcuri fra i boiardi di Stato.
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La scintilla con Conte sarebbe scattata su un finanziamento da 280 milioni di euro per lo sviluppo della Capitanata, nella provincia foggiana cara al presidente del Consiglio, che Arcuri avrebbe contribuito a sbloccare.

Nei tredici anni passati a guidare l'azienda di sostegno alle imprese italiane, Arcuri ha moltiplicato il suo spettro relazionale grazie all'ex moglie, la giornalista tv Myrta Merlino, al suo uomo delle relazioni istituzionali Stefano Andreani, scomparso nel 2017, cavaliere del Santo Sepolcro ed ex portavoce del Divo Giulio Andreotti. Fra una cena elegante con l'ingegnere Francesco Gaetano Caltagirone e un convegno di Confindustria, Arcuri si è dovuto districare fra le numerose patate bollenti di un panorama imprenditoriale in declino.

Ha seguito la cessione dell'impianto automobilistico di Termini Imerese alla Blutec del torinese Roberto Ginatta, arrestato un anno fa per malversazioni nella gestione dei finanziamenti pubblici ricevuti. Si è occupato della bonifica e del rilancio dell'area dismessa di Bagnoli. Ha lavorato alla cessione dell'Ilva di Taranto al gruppo franco-indiano Arcelor Mittal.

Il Sars-Cov-2 entra a buon diritto in una lista di situazioni altamente critiche, anche se Arcuri avrebbe preferito la guida di Leonardo, l'ex Finmeccanica, in sostituzione di Alessandro Profumo all'ultimo giro di nomine messo in stand-by dalla pandemia. Sulla pratica Leonardo, i nemici di Arcuri parlano di un'autocandidatura mentre altri nemici, dalle parti di un altro andreottiano di vecchia scuola, Luigi Bisignani, hanno fatto resistenza attiva.
Sull'emergenza virus, il profilo del manager sembra consentire ampia capacità di manovra a premier e ministri. Non è detto sia un male, anzi. Nella storia dell'impresa italiana, di solito i supercommissari troppo indipendenti hanno fatto più danni di quelli che hanno trovato.

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