Giovani
10 dicembre, 2025Umberto Eco, nella sua Bustina "Due mani non ci servono più", afferma come l’umanità stia atrofizzando uno dei suoi arti, tenendolo occupato da smartphone, tablet o qualsiasi altro strumento tecnologico a nostra disposizione, in grado di esaudire ben più di soli tre desideri
Cosa saremmo in grado di fare con un Genio al nostro fianco? In Aladdin ci siamo innamorati della creatura blu capace di fluttuare mentre trasforma il nostro protagonista da comune ladro ad affascinante principe. Facciamo meno caso al fatto che, a un certo punto del racconto, avrebbe potuto far crollare persino un regno. Umberto Eco, nella sua Bustina "Due mani non ci servono più", afferma come l’umanità stia atrofizzando uno dei suoi arti, tenendolo occupato da smartphone, tablet o qualsiasi altro strumento tecnologico a nostra disposizione, in grado di esaudire ben più di soli tre desideri.
Proiettiamo al loro interno polverosi ricordi custoditi gelosamente, lati della nostra identità che fatichiamo a mostrare persino a noi stessi, piccoli sogni per i quali saremmo disposti a sfregare quella lampada incantata. Ma questa non è una fiaba, e la realtà trasforma facilmente i Geni in mostri. Cominciamo a dipingere gli smartphone come buchi neri capaci di risucchiare il tempo con i nostri cari, calamite in grado di strappare un presente autentico a favore di uno digitale, fonte inesauribile di dipendenza. Ma perché siamo qui a discutere di alcuni cliché del nostro tempo?
Il problema è che i Geni tecnologici di cui ci circondiamo incidono non solo sulla perdita di contatto umano o la diminuzione della memoria (aspetti citati da Eco): a preoccupare è l’effetto sui più piccoli, recentemente messo in luce dalla Società Italiana di Pediatria (SIP).
Secondo gli ultimi studi, l’eccessiva esposizione agli schermi digitali influisce negativamente sullo sviluppo cognitivo, il cyberbullismo, la salute mentale, il rischio cardiovascolare e l’obesità. “Nei bambini sotto i 13 anni l’eccesso di schermi è associato a ritardi del linguaggio, calo dell’attenzione e peggioramento del sonno. Negli adolescenti vediamo crescere ansia, isolamento, dipendenza dai social e perdita di autostima” rivela Elena Bozzola, coordinatrice della Commissione Dipendenze digitali SIP. A questo punto, sarà chiaro a tutti noi qual è il cattivo della storia. No? Lasciatemi dire che porre sul banco degli imputati gli apparecchi tecnologici sarebbe come decidere di giustiziare il Genio. I più piccoli lo hanno colto subito, parteggiando per le sue imprese: egli non fluttua da solo nelle mani dei padroni, è incatenato ai voleri di questi ultimi, alle mani che strofinano freneticamente la lampada. L’idea che gli artefatti tecnologici non siano intrinsecamente né malvagi né virtuosi, ma solamente strumenti che possono essere orientati a fini differenti, persino opposti, viene definita come neutralità della tecnica. Con un banale coltello possiamo tagliare le fette di una pizza squisita, così come porre fine alla vita di una persona. La tecnica è specchio delle decisioni umane, orientata dalla mano di chi la impugna.
Tuttavia, questa visione delle cose può rivelarsi fuorviante: in realtà, la tecnologia è talmente imbevuta dei nostri lineamenti da apparire indipendente e mostruosa, quando in realtà non è né un passivo riflesso del nostro volto, né la creatura abominevole pronta a sbucare da sotto il letto. Dall’intelligenza artificiale alle lampade magiche, essa è un amplificatore di vizi e qualità umane, dalle quali la tecnologia viene pervasa sin dal processo di ideazione e produzione, fino all’effettivo impiego. Ha ragione il professor Luciano Floridi quando afferma che la progettazione di qualsiasi tecnologia è un atto morale: si tende troppo spesso a sottovalutare le responsabilità di chi le programma, di chi le finanzia, oltre che di chi le regola politicamente. Chi ha inventato la lampada doveva essere ben consapevole della vulnerabilità dei desideri umani, altrimenti non l’avrebbe nascosta in una pericolosissima caverna. Tuttavia, non possiamo concederci di essere in balia degli strumenti, né tantomeno di demonizzarli: finché i genitori continueranno a sfruttare gli smartphone come “ciuccio digitale” per regolare le emozioni dei bambini, finché non ci sarà un’adeguata educazione digitale che insegni a convivere con questi strumenti, a casa così come a scuola, per trovare l’antagonista del racconto non abbiamo bisogno di scorgere orribili creature. D’altronde, non è certo colpa del Genio se lo abbiamo dotato di “fenomenali poteri cosmici, in un minuscolo spazio vitale”.
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