Ospite del quarto appuntamento (il 26 marzo) del podcast L’Aperitivo, il progetto di Politica e La Giovane Roma, di cui L’Espresso è media partner, Maria Elena Boschi non ha dubbi: la politica deve essere al femminile, e non nel senso di adattarsi a un ruolo maschile per essere credibili. “Mi piace essere donna e portare il mio essere donna in quello che faccio”, dice la deputata di Italia Viva. La sua posizione è chiara e punta a sfidare l’idea che le donne in politica debbano sacrificarsi della propria identità per avere autorevolezza. Per Boschi, la politica non è un mondo da “maschi” da cui le donne devono nascondersi, ma un luogo in cui possono, anzi devono, essere se stesse. Non è un caso che abbia criticato in più occasioni Giorgia meloni, che per apparire più forte si fa chiamare “il Presidente del Consiglio”. “Credo che sia un errore”, spiega, rifiutando l’idea che per essere credibile una donna debba rinunciare alla propria identità. “Per me essere donna è un valore aggiunto”. Senza Draghi, ha aggiunto, "forse non avremmo avuto cinque anni di Meloni, ma neanche un PNRR con duecento miliardi di euro". E poi ha concluso: "Meglio un Conte Ter a un Meloni 1”.
La politica estera: sostegno all’Ucraina
Ma Boschi non si ferma alla questione di genere. In un’Italia che ha visto il conflitto in Ucraina trasformarsi in una delle sfide geopolitiche più grandi degli ultimi decenni, la deputata di Italia Viva non ha mai avuto paura di schierarsi. Per lei, l’Italia ha fatto la scelta giusta, schierandosi al fianco dell’Ucraina. Se l'Italia non avesse preso una posizione chiara, “oggi Putin sarebbe a Kiev”. Un’affermazione forte, che mette in evidenza quanto sia fondamentale, dal suo punto di vista, avere una politica estera chiara e determinata.
Riforme e giovani: il futuro dell’Italia
Sul fronte interno, Boschi non ha paura di confrontarsi con temi delicati come le riforme costituzionali e l’autonomia differenziata. A partire dalla riforma Calderoli, Boschi è categorica: “Il governo sa che questa riforma è un pasticcio”. Per lei, l’autonomia differenziata aumenta le disuguaglianze tra territori e tra cittadini. “È una riforma ingiusta”, spiega, sostenendo che il rischio di un’Italia a due velocità non sia solo teorico, ma concreto. Infine, non nasconde la sua preoccupazione per i giovani italiani. “Non è un paese per giovani”, afferma, sottolineando come molti di questi scelgano di emigrare in cerca di migliori opportunità. Nonostante ciò, è comunque convinta che ci sia ancora speranza per l’Italia, a patto che si cambi rotta. Lei, che ha scelto di rimanere, è pronta a combattere per un’Italia che sappia valorizzare il talento dei giovani, ridurre le disuguaglianze e rimanere protagonista in un’Europa sempre più frammentata. Un Paese che deve smettere di guardare indietro, e avere il coraggio di guardare avanti.
A cura di Alessia Levantini