"Solo l’Occidente conosce la Storia". Questa la miccia che ha fatto deflagrare l’incendio, contenuta nelle Nuove Indicazioni 2025 per la scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione, messe a punto dal ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, e dalla commissione incaricata di redigerle. Se il documento aveva l’obiettivo di stimolare il dibattito tra studenti, genitori, insegnanti e sindacati, si può dire che ci sia riuscito in pieno. Anzi, la commissione di cui fa parte Ernesto Galli Della Loggia, storico e editorialista del Corriere della Sera, ci è riuscita talmente bene da far infuriare buona parte della comunità degli studiosi. Mentre proseguono le consultazioni attraverso un questionario online, infatti, l’Associazione Italiana Studi Cinesi si è detta «sorpresa e preoccupata» e ha scritto una lettera aperta. Altri enti come l’Istituto nazionale Ferruccio Parri, la rete degli istituti per la Storia della Resistenza e dell'età contemporanea, ha criticato duramente l’impostazione con cui «la Storia diventa propaganda, strumento di assimilazione culturale e di autocelebrazione nazionale». Non risparmia critiche alle nuove linee guida neanche la vicepresidente dell’Istituto Parri, Giulia Albanese, professoressa ordinaria di Storia contemporanea all’Università di Padova. Il suo ultimo libro, curato insieme a Lucia Ceci, si intitola “I luoghi del fascismo. Memoria, politica, rimozione” (Viella Editrice).
Professoressa Albanese, partiamo dall’inizio del documento. "Solo l’Occidente conosce la Storia". Condivide questa affermazione?
"Come si può essere d'accordo con una frase del genere? Non va bene non solo se la si interpreta come un ritorno ai popoli senza storia, ma neppure se la intende dal punto di vista dell'elaborazione storica e storiografica. Di recente, l'Associazione Italiana per gli Studi Cinesi ha non casualmente assunto una presa di posizione sull'argomento, sottolineando come altri contesti culturali, come quello cinese, abbiano avuto una loro storiografia, un loro pensiero sulla Storia".
A quale impostazione si ispira il ministro Valditara?
"È complicato rispondere. Dalle linee guida è stato escluso l’insegnamento delle scuole superiori, dunque non è chiaro il disegno complessivo. Una cosa però risulta evidente: la contraddittorietà tra l’impostazione generale e le singole declinazioni disciplinari di questa impostazione".
Ad esempio?
"Le linee guida per la geografia appaiono molto più aperte di quelle per la Storia, molto più attente a cogliere le interrelazioni, a tenere insieme le esperienze, anche locali, degli studenti, e le molte reti che li legano ad altre esperienze, a livello globale".
Le linee guida sembrano corrispondere a una visione italocentrica della Storia, o quantomeno eurocentrica, che mette al centro l’Occidente con i propri valori. Come si concilia questa concezione con l’evoluzione della società italiana, sempre più multiculturale?
"In effetti sembra difficile conciliarle. Con riferimento all'insegnamento della Storia, sembra quasi che non si riesca a immaginare come sono composte le classi delle scuole primarie. Peraltro, la scarsa riflessione su questo aspetto sembra incoerente con l’idea che domina le linee guida, che la conoscenza della Storia debba partire dal sé, dalla propria identità e dal proprio vissuto. Come farlo, in una classe media di una scuola primaria italiana, con questa enfasi sul Risorgimento e sull'Occidente? Il partire da sé dovrebbe considerare anche i diversi modi in cui si arriva in una classe di una scuola italiana oggi, e le diverse storie che vi si confrontano".
A proposito di culture altre, si parla di Islam solo in riferimento all’espansione islamica. Non è un po’ poco, visto che i musulmani in Italia sono circa un milione e mezzo?
"Si è vero. L’Islam viene menzionato solo in riferimento alle crociate, dunque in una dimensione di scontro e non di confronto, ma non si fa alcun riferimento nemmeno all'ebraismo. Anzi si sostiene addirittura che, dopo la cultura greca e latina, solo in ambito cristiano si sviluppi un pensiero storico. Sono silenzi molto pesanti, e potenzialmente gravidi di conseguenze".
Nel documento si auspica un insegnamento e un apprendimento della Storia che metta al centro la sua dimensione narrativa "in quanto racconto delle vicende umane del tempo". Cosa significa, occorre ridimensionare la cronologia degli eventi, privilegiare i protagonisti degli eventi storici rispetto ai fatti?
"Il documento sembra andare in controtendenza con le più aggiornate linee di insegnamento della storia, con le quali nelle diverse discipline, ci si è confrontati negli ultimi decenni. Per la storia questo restituisce un'idea statica e acritica del racconto del passato, che ha poco a che fare con il ruolo fondamentale che noi storici le attribuiamo, quello di formare al pensiero critico, di fornire capacità di farsi domande sulle fonti e anche sulla costruzione del racconto. Tutti aspetti che possono essere coltivati anche nei bambini, ovviamente con i metodi e i livelli che possono essere adatti alle diverse classi d'età".
Dunque un problema di metodo.
"Sì. Il lavoro della ricerca storica va nella direzione di riconoscere la natura problematica della metodologia storica, anche dal punto di vista formativo. La Storia non è solo il racconto del passato, che per altro cambia nel tempo, ma svolge anche una missione formativa fondamentale, fornisce cioè agli studenti strumenti critici. Al contrario, nel nuovo impianto si afferma che non si può condividere l'impianto critico della disciplina con i bambini, che non lo capirebbero. Bisogna invece raccontare loro la storia della piccola vedetta lombarda e tornare alla storia come esempio. Questa impostazione è problematica non solo per la scuola primaria, ma anche per la distanza che rischia di alimentare tra l'insegnamento e la ricerca scientifica".

Si mette al centro la conoscenza dell’Inno di Mameli, le poesie e i canti del Risorgimento…
"Nel documento è centrale l'uso della storia d'Italia come strumento di costruzione dell'identità nazionale, soprattutto però di alcuni pezzi della storia d'Italia: significativo in questo senso il programma per il secondo anno di scuola primaria, dove si passa direttamente dall'Italia risorgimentale alle differenze tra monarchia e Repubblica, alla Costituzione e alle istituzioni locali. La storiografia italiana degli ultimi decenni è andata nella direzione di una decostruzione delle narrazioni nazionali e nazionaliste per capire come si erano formate, in che modo e perché hanno avuto successo e riconsocendone i caratteri anche di “invenzione”. Qui la Storia sembra tornare ad essere uno strumento per costruire l'identificazione alla nazione non come spazio democratico ma come spazio identitario e quindi potenzialmente escludente".