Giovani
11 settembre, 2025Linee guida, sperimentazioni: dopo una partenza confusa, la scuola italiana cerca un modo per usare l’intelligenza artificiale. Ma non mancano dubbi
Finora pochi se ne sono accorti, ma questo Governo ha un’ambizione mica da ridere: portare la scuola italiana ad abitare il futuro. E il futuro è l’intelligenza artificiale. A partire da quest’anno scolastico il ministro dell’istruzione e del merito Giuseppe Valditara vuole premere sull’acceleratore dell’Ia nelle scuole. Con un decreto firmato in piena estate (9 agosto) e, pochi giorni fa, l’arrivo delle prime linee guide nazionali su come usare l’intelligenza artificiale in classe. Gli annunci sono passati perlopiù inosservati, ma quest’anno gli studenti e i docenti italiani potrebbero vederne delle belle. A patto che la spinta nel futuro vada come prevede Valditara, certo. E sul punto gli esperti hanno ragione di dubitare. Primo, perché finora l’Ia si è diffusa nelle nostre scuole, sì, ma all’italiana: «per forza e volontà di singoli docenti, senza una concertazione collettiva: ognuno fa quello che crede meglio», spiega Carmelina Maurizio, docente specializzata in Ia, su cui ha formato professori in una decina di scuole nell’ultimo anno (progetto Pnrr da 450 milioni di euro).
Il Governo ora vara un approccio opposto, dirigista: dall’alto verso il basso. Con linee guida, appunto, che i docenti si troveranno sulla piattaforma ministeriale Unica. Le migliori pratiche e principi da seguire; i vincoli normativi. Ma non solo: «Il ministro ha scelto l’anno scorso, top-down, anche quindici scuole in cui avviare una sperimentazione biennale. È in corso dal 2024, fino al 2026. E i professori incaricati hanno fatto trapelare pochissimo», dice Maurizio. Concorda Paolo Ferri, professore alla Bicocca di Milano e considerato il pioniere luminare della scuola digitale italiana: «Si conoscono i nomi delle scuole, in quattro regioni (Calabria, Lazio, Toscana e Lombardia) e poco più. I risultati si vedranno solo alla fine, con i punteggi Invalsi».
Insomma, la prova del nove è proprio quella e solo se la sperimentazione avrà successo il ministro spingerà con forza l’Ia in tutte le scuole italiane. Significa dimostrare che l’intelligenza artificiale riesce a migliorare l’apprendimento. Come? In vari modi, che si ritroveranno nelle linee guida (a quanto emerge dagli annunci di Valditara): l’Ia può aiutare i docenti a identificare le lacune principali degli studenti e creare piani di recupero personalizzati. C’è interesse soprattutto su quanto stanno sperimentando gli istituti Iis Tommaso Salvini e Ic Mastroianni di Roma, Ic Matteotti di Cave (Roma), l’istituto Sandro Pertini di Lucca. Qui c’è un tutor artificiale a seguire gli studenti, oltre a varie attività “aumentate” dalla tecnologia. «Deus ex machina, il consulente ministeriale Paolo Branchini, che userà una piattaforma Google per l’intelligenza artificiale in classe», spiega Ferri. Google, già; non una tecnologia italiana o perlomeno europea: il Governo qui è stato costretto a rinunciare ai sogni di sovranismo digitale. «Le linee guida nazionali ricalcano princìpi già ribaditi dall’Unesco e dall’Unione europea negli ultimi anni», dice Ferri. Gli stessi indicati anche nelle linee guida nate in Friuli Venezia Giulia, in Lombardia e nel piano provinciale scuola digitale 2023-2026 di Bolzano. Ossia: l’umano è al centro. In pratica significa che si parte dai bisogni dell’allievo e si tiene sempre il professore al timone in tutti gli usi e progetti Ia. Nessuno si immagina di sostituirlo con una macchina (e meno male). Significa anche che l’Ia non è vista come una bacchetta magica. Bisogna invece adottarla con consapevolezza, per sviluppare competenze e valorizzando sempre il pensiero critico di studenti e docenti.
Belle parole, buoni propositi. La sfida principale, secondo gli esperti, è renderli realtà condivisa in tutte le scuole. Soprattutto in quelle dove ci sono le lacune più marcate, per le quali si guarda con speranza al ruolo dell’Ia. Di fondo, il problema è che per ora l’Ia sta attecchendo solo in scuole che erano già eccellenza. Non a caso, è in questo novero che il ministro ha scelto le “sue” quindici. Si segnalano anche (fuori dalla sperimentazione) il liceo classico Jacopo Stellini di Udine, che coordina una rete di 55 scuole della regione per l’uso dell’Ia, l’Ic Toti a San Maurizio del Lambro (Milano), l’Isis Europa di Pomigliano D’Arco (Napoli).
La sfida è anche ricondurre a unità le varie sperimentazioni, non tutte brillanti: «In circa metà delle scuole italiane i docenti usano l’Ia, soprattutto per lezioni, verifiche e relazioni, secondo l’ente di ricerca ministeriale Indire», dice il dirigente scolastico Alfonso D’Ambrosio, dell’Ic di Lozzo Atestino (Padova) e noto per un approccio innovativo alla tecnologia in classe. «Alcuni esempi lasciano perplessi, come adottare libri di testo creati con l’Ia, che com’è noto può compiere errori molto gravi», dice. «Eviterei nella scuola primaria l’uso di Ia generativa tipo ChatGpt; sarei inoltre favorevole a utilizzi più ampi, non solo chatbot, per esempio con la robotica: anche questa è intelligenza artificiale», continua D’Ambrosio.
Valditara però è convinto che la sfida si possa vincere. Rilancia e ha da poco pure annunciato il primo summit internazionale sull’Ia a scuola: dal 9 al 13 ottobre a Napoli. Per quanto riguarda la tecnologia, ha già dimostrato forte decisionismo, vedi la messa a bando degli smartphone. Ma un conto è vietare qualcosa dall’alto, un altro è diffondere usi corretti di una tecnologia multiforme e trasformativa come l’intelligenza artificiale. Riuscirci nel mondo delle scuole italiane, poi, equivale a un doppio salto carpiato.
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