Sono più di 70 le vittime dell’attentatore suicida che nel giorno di Pasqua ha colpito il parco Gulshan-e-Iqbal, affollato di famiglie. Tra le vittime accertate, 29 sono bambini. Oltre trecento i feriti.
L’attentato è stato rivendicato dal Jamat-ul-Ahrar, un gruppo fuoriuscito dal più ampio movimento dei Talebani pakistani nell’estate del 2014. Il portavoce, Eshanullah Ehsan, ha dichiarato che l’obiettivo fossero i cristiani, colpiti nel giorno in cui celebravano la Pasqua. Ma tra le vittime ci sono anche molti musulmani. E il messaggio è anzitutto politico, rivolto al primo ministro Nawaz Sharif, nella roccaforte del suo partito, il Pml-N (Pakistan Muslim League-Nawaz): «Siamo entrati a Lahore. Può fare ciò che vuole ma non sarà in grado di fermarci. I nostri attentatori suicidi continueranno gli attacchi», nell’ambito di una vera e propria campagna annuale.
Non è un caso che come obiettivo sia stata scelta Lahore, la città che eredita la tradizione multiculturale e multiconfessionale dell’area che poi sarebbe poi diventata il Pakistan. Lahore è la capitale della provincia del Punjab, la più ampia e più ricca del Paese; qui hanno avuto sede le dinastie dei Moghul e dei Sikh, e qui per secoli hanno convissuto cristiani, sikh, induisti, ebrei, musulmani sciiti e sunniti. Colpire il cuore del Punjab – una provincia governata dal fratello del primo ministro e storicamente meno afflitta dal terrorismo interno – equivale a un doppio segnale politico: possiamo colpire dovunque, dicono i membri del Jamat-ul-Ahrar, anche il simbolo del Pakistan multiculturale.
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Mirare alla comunità cristiana significa ottenere una cassa di risonanza internazionale, oltre ad alimentare i conflitti settari. L’obiettivo non va sottovalutato. Ma l'attacco alle minoranze rientra in una strategia più ampia, adottata da diversi movimenti islamisti armati: quella di fomentare le divisioni, polarizzare le posizioni, creare il panico, destabilizzare le istituzioni, così da facilitare un cambio di regime, verso l’instaurazione di un vero e proprio Stato islamico.
É la strategia adottata in Iraq dall’“ispiratore” dello Stato islamico, il giordano Abu Musab al-Zarqawi, che mirava esplicitamente agli sciiti per infuocare i rapporti con la componente sunnita della società e indebolire il governo. Ed è anche, in parte, la strategia del Tehreek-e-Taliban (Ttp), i Talebani pakistani.
Il movimento è stata formato nel dicembre del 2007, quando i comandanti di alcuni gruppi paramilitari che operavano nelle aree tribali del Pakistan e nel Khyber Pakhtunkhwa (all’epoca NWFP, North-West Frontier Province) hanno deciso di coalizzarsi. Gli obiettivi espliciti del Ttp, che opera soprattutto nelle aree tribali amministrate in modo federale (Fata, Federally Administered Tribal Areas), dove l’autorità statale è nulla, sono due: rovesciare le istituzioni, considerate asservito agli interessi americani, e instaurare un governo di tipo islamico.
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I Talebani pakistani sono responsabili di attacchi sanguinosi e spettacolari, ma sono attraversati da forti spinte centrifughe. Le divisioni si sono fatte più evidenti a seguito delle operazioni militari lanciate dall’esercito nel Waziristan, l’area di riferimento di molti gruppi terroristici. La prima scissione è avvenuta nella primavera del 2014, in seguito all’assassinio di Hakimullah Meshud, sostituito da mullah Fazlullah, la cui leadership è stata contestata, così come la sua decisione di accettare le proposte di dialogo avanzate dal primo ministro, Nawaz Sharif.
Il gruppo responsabile dell’attacco di Pasqua a Lahore nasce in questo contesto. Il leader, Omar Khalid Khorasani, è tra i membri fondatori dei Talebani pakistani. Jihadista brutale e spietato, ha esercitato a lungo le sue capacità di mediatore e tessitore di alleanze interne, sperando di diventare leader del Ttp. Ha poi contestato le aperture della leadership del movimento ai colloqui di pace con il governo, fino a formare un gruppo autonomo, il Jamat-ul-Ahrar. Una formazione da giornalista, un’attenzione particolare ai social media, Khorasani è riuscito a portare dalla sua parte molti pezzi grossi del Tehreek-e-Taliban. Per un certo periodo – soprattutto nei mesi successivi allo strappo, avvenuto nell'estate 2014 -, ha mantenuto e rivendicato un profilo autonomo, attaccando la linea maggioritaria dei Talebani pakistani come compromessa con la democrazia liberale dell’Occidente. Più recentemente, sembra però che si sia riavvicinato alla casa-madre.
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Il gruppo Jamat-ul-Ahrar è responsabile di diverti attentati. La lista è lunga. Tra i più significativi, va segnalato nell’estate 2014 l’assalto fallito di 14 militanti armati fino ai denti a una base area militare di Quetta, capitale dell'irrequieta provincia del Balucistan. Nel marzo 2015, il gruppo ha rivendicato la responsabilità per due attacchi contro chiese cattoliche, nel quartiere Youthanabad di Lahore. Quindici morti e almeno settanta feriti, il bilancio. Altri attentati sono stati condotti contro i consigli di pace, nell’agenzia tribale di Mohmand, roccaforte del movimento. L’ultimo attentato risale a inizio marzo, quando nei pressi di Peshawar è stata colpita una corte di giustizia, come reazione alla condanna a morte di Mumtaz Qadri, l’uomo che nel 2011 ha ucciso l’ex governatore del Punjab, Salman Taseer, colpevole di aver proposto una riforma della legge sulla blasfemia.
Non è un caso che il parco di Lahore sia stato attaccato proprio il 27 marzo. Il giorno di Pasqua coincideva infatti con il 40esimo giorno di lutto per la morte di Qadri, celebrato in tutto il paese con imponenti manifestazioni anti-governative. L’attentato di Lahore era rivolto simbolicamente alla comunità cristiana, ma mirava a colpire il governo di Sharif, che subito dopo la strage di Pasqua ha ordinato nuove iniziative militari nel Punjab, oltre a quelle in corso da mesi nel Waziristan.
Secondo i dati diffusi dal ministero dell’Interno, in un anno e mezzo sarebbero 2.159 i terroristi uccisi,1.724 quelli arrestati nelle operazioni di contro-terrorismo. L’attentato di Lahore è una risposta alla pressione militare del governo, da parte della frangia più oltranzista dei Talebani pakistani.