L’11 febbraio 2010 la copertina de L’Espresso mise a nudo le falle nella sicurezza dell’aeroporto di Fiumicino, rivelando che di notte i varchi di accesso venivano lasciati incustoditi, con i metal detector spenti. Il servizio di copertina, firmato da Tommaso Cerno, ricostruiva così il «buco di almeno due ore», dall’1.30 alle 3.30, durante cui il terminal T3, quello internazionale, diventava accessibile a chiunque. Almeno quattro ingressi incustoditi e porte aperte, con le fotocellule spente, avevano permesso al giornalista di entrare indisturbato anche prima dell’orario di apertura dello scalo, alle 5:30. Fiumicino di notte era «una terra di nessuno» nonostante i controlli serrati del giorno, resi obbligatori dopo gli attentati dell’11 settembre 2001. Il racconto di Cerno si ripeté anche per una seconda notte. Il giornalista tornò dentro Fiumicino senza mai essere fermato o controllato, nonostante le misure di sicurezza inaugurate da poco dal governo Berlusconi. Gli unici occhi attenti durante le notti erano quelli dei senzatetto che dormivano intorno o dentro l’aeroporto. Persino gli allarmi degli uffici del personale restavano disattivati in piena notte, rendendo accessibili migliaia di dati sui computer e nei server. Fiumicino iniziava a risvegliarsi solo intorno alle 3.30, ma nel buco delle due ore precedenti sarebbe potuta accadere qualsiasi cosa. 

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