Quattordici domande, sul presente e il futuro di Israele e Medio oriente, sono quelle che L’Espresso riuscì a porre alla ministra degli Esteri Tzipora Livni, detta Tzipi, per la copertina del 27 luglio 2006. Il colloquio iniziava dalla reazione militare contro il Libano, dopo l’uccisione di due soldati israeliani, definita “sproporzionata” dal ministro omologo italiano Massimo D’Alema. Un’azione che, ieri come oggi, poneva Israele in una situazione critica di fronte alla comunità internazionale. «C'è differenza tra una deliberata volontà di uccidere i civili e un possibile errore» rispondeva però Livni. Secondo la ministra, per Israele era fondamentale smantellare la milizia libanese degli Hezbollah, anche perché vicina agli interessi dell’Iran e della Siria. Livni vedeva inoltre punti in comune tra Hezbollah e Hamas, soprattutto nel modo in cui i due gruppi combattevano: «(Entrambi) hanno usato le postazioni abbandonate per attaccarci, si sono adoperati per costruire tunnel, sorprenderci, e per lanciare missili contro di noi». Nei piani di Israele, però, concludeva la ministra, non c’era alcuna escalation: «Non vogliamo aprire un terzo fronte dopo Gaza e sud del Libano. Ma non dimentichiamo che la Siria aiuta gli Hezbollah e Khaled Meshal (allora a capo di Hamas, ndr), che ha un ruolo negativo». 

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