I 70 anni de L'Espresso
7 ottobre, 2025“Le lotte di liberazione assumeranno forme cruente. Non c’è altra strada”. Proponiamo un estratto dell’intervista del 1964 al Che. Lucido ma cinico fino alla spietatezza
Ho parlato con Guevara per due ore e un quarto ed è stato un colloquio aperto, franco e spregiudicato, durante il quale il mio interlocutore non s’è sottratto a nessuna domanda, anche la più scabrosa. Del resto i dirigenti cubani possono essere accusati di molte cose ma certo non di conformismo. Ne ho ricavato un’impressione singolare, una mescolanza di furbizia e passione rivoluzionaria, di rozzo radicalismo e di fede nell’avvenire, che sono d’altra parte le caratteristiche evidenti del regime castrista.
Poiché m’interessava soprattutto conoscere la sua opinione sui Paesi dell’America latina, entrai in argomento chiedendogli un suo giudizio sui fatti di Panama e le ripercussioni che quei sanguinosi avvenimenti avrebbero provocato nell’organizzazione degli Stati americani. «Ne abbiamo parlato a lungo ieri», fu la risposta, «ma io prevedo che non ci saranno reazioni apprezzabili all’interno dell’Osa poiché questa è un’organizzazione di cortigiani bene ammaestrati. Si tratta d’una violenta reazione dell’imperialismo colpito nel suo orgoglio. Il popolo di Panama possiede molto poco, neppure la metà è sua. Dal governo non ci attendiamo nulla, quello che conta veramente è l’azione popolare. Il popolo ha protestato, ma la solidariedad con el golpeado es una: golpear quien golpea (la solidarietà col colpito è colpire chi colpisce). Del resto, che cosa significa lottare, come è avvenuto a Panama, per una bandiera, che cosa significa servirsi dei bambini delle scuole per combattere gli imperialisti? Io ai panamensi do questo consiglio: non servitevi dei bambini ma dei franchi tiratori».
(...) Gli ho poi chiesto in che modo si sarebbe sviluppata la lotta politica nei Paesi del Centro e del Sud America. «Ritengo che per necessità», ed ha sottolineato questa parola, «le lotte di liberazione assumeranno forme violente in quasi tutti quei Paesi, in quasi tutti, dico. Non c’è altra strada. La violenza è l’unica forma in cui può manifestarsi la loro volontà politica. Del resto, gli imperialisti non lasciano aperta nessun’altra via d’uscita».
Ma se questa è la vostra strategia, replico, ciò non contribuirà ad isolare economicamente e diplomaticamente la Repubblica di Cuba? «È possibile. Ma noi non possiamo negoziare i nostri princìpi, possiamo solo negoziare merci sulla base della reciprocità. Non ci siamo mai opposti a trattative con gli Stati Uniti e siamo disposti anche subito a sederci attorno a un tavolo con loro. Lo abbiamo detto dieci volte; ma siamo disposti a fare questo ad una sola condizione, cioè che non ci siano condizioni. E non parlo solo di condizioni economiche, ma anche ideologiche. Siamo pronti a risarcire le proprietà nazionalizzate, anche se lei deve tener ben presente che lo sfruttamento di Cuba è durato quasi un secolo. Ci sarebbe quindi da aggiungere: restituiteci tutto quello che ci avete rubato in tanti anni. Certo, noi abbiamo interesse a riprendere le relazioni commerciali con gli Stati Uniti. Tutto quello che vede in questa stanza, del resto, viene dagli Stati Uniti». (...) Noi non siamo in derrota (sconfitti) e soprattutto non ci sentiamo sconfitti e questo è lo stato d’animo migliore per trattare con successo».
Domandai poi che cosa era mutato dopo la morte di John Kennedy e soprattutto cosa c’era di vero nell’ipotesi del giornalista francese Jean Daniel sulle trattative che l’amministrazione Kennedy stava conducendo per riprendere il dialogo con Cuba. «Non ci risulta niente di nuovo a questo proposito e quelle di Jean Daniel, per noi, sono solo ipotesi. Quanto alla morte di Kennedy, noi abbiamo detto fin dal primo momento che Kennedy era un nemico, ma un nemico noto. Saremmo ipocriti se dicessimo che abbiamo sofferto per la morte di Kennedy. Subito dopo l’attentato di Dallas noi non ci preoccupammo del modo come Kennedy era morto, ma delle conseguenze politiche. Tememmo un aggravamento della situazione politica e un atteggiamento più aggressivo degli Stati Uniti. Riconosciamo che ci sono state ragioni politiche che hanno spinto i gruppi oltranzisti nordamericani a uccidere Kennedy. Ripeto, Kennedy era per noi il nemico meno aggressivo; vedremo adesso che nemico verrà».
Quando gli dissi che molti possono anche capire l’interesse di Cuba verso gli altri Paesi dell’America latina, per esempio il Venezuela, ma non giustificano affatto l’appoggio di Cuba ai movimenti rivoluzionari in Asia e in Africa, Guevara ebbe uno scatto, si passò la mano sui capelli e mi rispose a voce alta: «Per noi le zone d’influenza non esistono e non le rispettiamo. Ci sono zone dove ci ascoltano: per esempio il Vietnam. Il Vietnam è molto lontano da Cuba, ma ci interessa perché è un laboratorio di guerra, in quella nazione gli Stati Uniti stanno sperimentando le più moderne tecniche antipartigiane per utilizzarle in tutta l’America latina e per questo noi dobbiamo molto ringraziare i partigiani del Vietnam. Non riconosciamo le zone d’influenza poiché noi stessi siamo nella zona d’influenza americana e abbiamo dimostrato che questa influenza può essere benissimo ignorata. Anche i venezuelani sono nella zona d’influenza americana, ma noi rispettiamo ed aiutiamo la loro lotta. Se un venezuelano mi domandasse un consiglio io gli risponderei: quello che dovete fare è cominciare a sparare alla testa e ammazzare tutti gli imperialisti dai quindici anni in su».
Poiché s’accorge del mio stupore di fronte a questa brutale assurda risposta, sorride e aggiunge: «È una mia opinione personale, del resto noi cubani non per nulla siamo chiamati i niños malos (i ragazzi terribili) della rivoluzione mondiale. In America latina noi pensiamo che possa ripetersi benissimo l’esperienza d’una o di più Cuba. Non ci illudiamo: in una guerra Cuba sarebbe la prima a scomparire. Però se gli argentini ci dicono: noi siamo neutrali, tanto qui con le nostre vacche siamo sicuri e le possiamo pascolare tranquillamente nelle pampas, poiché le radiazioni atomiche non ci raggiungeranno, noi rispondiamo che essi sono degli ingenui e commettono un grave sbaglio».
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