Scalfari definì quello del ministro delle Finanze un «comportamento assurdo», contro gli interessi del governo. Così L’Espresso spiegò le azioni di Andreotti in un momento in cui l’opinione pubblica era diretta altrove

Quando gli italiani distratti da “Lascia o raddoppia” distolsero lo sguardo da Andreotti e dalla legge Tremelloni

Eugenio Scalfari, fondatore de L’Espresso insieme ad Arrigo Benedetti e allora direttore amministrativo del giornale, nei primi anni di pubblicazioni si dedicò soprattutto agli articoli di economia, come quello apparso in prima pagina il 25 dicembre 1955. “Le cinque giornate della Borsa di Milano”, questo il titolo del suo intervento, è la spiegazione degli interessi minacciati dalla legge Tremelloni, approvata pochi giorni prima in Parlamento dopo un iter piuttosto lungo, che vide anche succedere Giulio Andreotti a Roberto Tremelloni nel ruolo di ministro delle Finanze. 

 

La legge fu emanata con l’intento di ridurre l’evasione fiscale, controllando l’azione degli agenti di cambio, come stabilito all’art. 17 a cui fa riferimento Scalfari. Fu però proprio Andreotti, con una circolare successiva, a depotenziarla e anche in sede di voto degli emendamenti, scrisse Scalfari, incoraggiò a votare contro, nonostante il suo compito in quanto ministro del governo Segni fosse opposto. Scalfari lo definì «un comportamento assurdo» e, nell’articolo che prosegue all’interno, evidenziò le contraddizioni di Andreotti, documentandole. Il giornalista, rappresentando la visione della testata, concluse poi l’articolo appoggiando chiaramente una politica finanziaria e tributaria più democratica possibile, basata sul reddito. Negli stessi giorni in televisione si aprì il caso del professor Degoli, a cui è dedicato il resto della copertina del numero. Partecipante di “Lascia o raddoppia”, Degoli monopolizzò l’attenzione dell’opinione pubblica con il suo ricorso contro la trasmissione. Il controfagotto nelle opere di Verdi, ovvero la domanda per cui il professore aveva perso il montepremi, divenne una distrazione di massa che L’Espresso definì congeniale a diversi politici in quel momento, Andreotti compreso.

 

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