Lo spettro della pandemia d'influenza, l'arrivo di nuovi agenti infettivi. E la smania di prevenzione trascinano la ricerca. Di nuovi preparati. Contro Aids, varicella, infezioni intestinali. E persino cancro

Vaccini sfida globale

Dopo quasi trent'anni di latitanza tornano i vaccini. Trainati dalla grande paura della pandemia di influenza, alimentata da una serie di falsi allarmi (Sars e aviaria) e sempre ben presente tra i rischi, reali o supposti, delle nostre società. Ma non solo: da un anno si fa un gran parlare del vaccino attivo contro il papillomavirus umano (Hpv) per la prevenzione del tumore al collo dell'utero, prodotto sia da Sanofi-Aventis Msd che da Gsk e consigliato a milioni di giovani nel mondo. Poi ci sono i nuovissimi vaccini contro sindromi diffusissime, come l'otite o l'herpes. E c'è la buona notizia, confermata nei giorni scorsi da 'Lancet', di un vaccino finalmente efficace contro la malaria.

Così, gli analisti finanziari stimano che nell'immediato futuro il mercato globale dei vaccini crescerà a un ritmo del 16-18 per cento annuo, passando dai 10-12 miliardi di dollari del 2005 ai 21 previsti per il 2010. Big Pharma, insomma, ha ricominciato a investire in un settore che era diventato marginale. In poco tempo, Novartis, AstraZeneca e Pfizer si sono aggiudicate rispettivamente la Chiron Vaccines, la MedImmune e la PowerMed, società a elevato know how tecnologico in ambito vaccini, mentre GSK e Sanofi-Aventis Msd hanno deciso di potenziare i propri settori di ricerca e produzione. E per tutte sono tornati i profitti.

Alla base del boom c'è una rivoluzione scientifica: le tecnologie del Dna ricombinate e le pratiche di sequenziamento del genoma hanno reso molto più semplice ideare nuovi vaccini, come dimostra l'applicazione della cosiddetta Reverse Vaccinology. "L'approccio classico consisteva nell'isolare il batterio o il virus responsabile della malattia, inattivarlo e iniettarlo nel paziente per conferirgli immunità", spiega Audino Podda, responsabile del settore di ricerca clinica e sviluppo di Novartis Vaccines and Diagnostics: "Nel tempo, al posto di organismi interi si è passati a usare singole molecole espresse sulla loro superficie e in grado di indurre una risposta immunitaria nell'ospite (antigeni). Molecole che devono essere identificate, isolate e purificate con una procedura lunghissima. Con la Reverse Vaccinology, invece, avviene tutto più velocemente". Si parte dalla sequenza del genoma del patogeno, si individuano al computer i geni che potrebbero essere utili per un vaccino e li si clona per produrre le proteine corrispondenti, che vengono quindi esaminate in vitro per selezionare i candidati più promettenti. "Con questo approccio siamo riusciti a dare una svolta alla ricerca sul vaccino contro il meningococco di tipo B, il batterio responsabile di quasi metà delle meningiti in tutto il mondo. E abbiamo un vaccino in avanzata fase di sperimentazione clinica", afferma Podda.

Vaccini migliori in meno tempo e, in teoria, a costi di produzione inferiori. Ma non con guadagni inferiori. Perché la pressione dell'opinione pubblica, spinta dalla paura della grande pandemia e dall'idea che prevenire è sempre comunque meglio che curare, ha indotto un cambiamento di mentalità. Come sottolinea Podda: "Fino a poco tempo fa, l'idea era che i vaccini dovessero essere poco costosi. A queste condizioni, però, alle aziende non conveniva produrli e il loro interesse si era spostato verso i farmaci biotecnologici. Ora, invece, si tende a riconoscere e a giustificare gli imponenti investimenti necessari per un vaccino". Perché, parallelamente, è aumentata la disponibilità dei governi a spendere di più in prevenzione. Un esempio: "A partire dai primi anni Novanta, la Nuova Zelanda è stata colpita da una grave epidemia di meningite di tipo B: nel 2001 il ministero della Salute ha stipulato un accordo con l'allora Chiron Vaccines per mettere a punto un vaccino disegnato su misura", racconta Podda. Nessuna azienda avrebbe potuto permettersi di sviluppare da sola un prodotto per un mercato così piccolo (il ceppo batterico neozelandese non si trova altrove): la Chiron ha potuto farlo grazie a una sovvenzione governativa di 200 milioni di dollari neozelandesi (circa 96 milioni di euro). Lo stesso discorso vale per la ricerca e produzione di vaccini utili a chi non può permettersi di pagarli, come quelli per malaria, tubercolosi e Aids. In questo caso, a dare una mano sono organizzazioni private o accordi finanziari internazionali.

Secondo le previsioni della società di ricerche di mercato Rncos, contenute nel 'Global Vaccine Market Outlook' (2007-2010), nei paesi industrializzati la rinascita dei vaccini coinciderà probabilmente con una riduzione del segmento dei prodotti pediatrici (oggi la fetta più grossa della torta) a favore di quelli per adolescenti (vedi la vaccinazione contro l'Hpv) e adulti. E in questo caso la parte del leone la farà l'influenza. "Del resto, quello dei bambini è un mercato chiuso: più di quelli che nascono ogni anno non se ne possono vaccinare. L'influenza, invece, c'è sempre, è sempre diversa e colpisce chiunque", afferma Maurizio Bonati, responsabile del Laboratorio di salute materno-infantile del Mario Negri di Milano.

E il mercato a disposizione è immenso, anche perché i vaccini antinfluenzali sono quelli meno efficaci che abbiamo e i margini di miglioramento sono enormi. A partire dal processo di produzione: "I virus influenzali necessari a produrre i vaccini vengono fatti moltiplicare in uova di pollo, con un processo molto lento che limita notevolmente le capacità produttive di un'azienda", spiega Podda: "Senza contare il rischio che tutto vada in crisi proprio quando ce ne sarebbe più bisogno e cioè in caso di pandemia di influenza aviaria: il virus responsabile, infatti, potrebbe uccidere le galline degli allevamenti che producono uova per vaccini. Per di più, ci sono persone allergiche alle proteine delle uova, a cui i vaccini così prodotti non possono essere somministrati". Inevitabile, quindi, che uno dei settori di maggior competizione sia proprio la ricerca di metodi di produzione alternativi, come la replicazione in colture cellulari di mammiferi. Lo scorso giugno l'Unione europea ha approvato l'immissione in commercio del primo vaccino antinfluenzale prodotto in questo modo (Novartis). Il vaccino è già disponibile per la campagna 2007-2008 in Germania, mentre nel resto d'Europa arriverà il prossimo anno.

Se le comuni influenze passano di anno in anno, a fare da sfondo alle ricerche di vaccini antinfluenzali è ancora l'aviaria, indotta dal virus H5N1. Perché parta la pandemia, occorre che il virus muti e diventi capace di trasmettersi da uomo a uomo e non solo da animale a uomo (come è accaduto finora): quindi, il virus della pandemia che verrà (se verrà) non sarà l'H5N1 che conosciamo oggi. In attesa, secondo alcuni, si può sviluppare una sorta di pre-vaccino che, da un lato allerti il sistema immunitario dell'ospite, preparandolo all'arrivo del virus mutato e, dall'altro porti avanti la ricerca in modo che, al momento del bisogno, si disponga già di un modello vaccinale funzionante. Gli esperimenti svolti a oggi sono stati deludenti, e non tutti concordano con questa strategia: "Portarsi avanti è logico solo se si suppone che la pandemia ci sarà e che sarà causata da H5N1. In realtà, nessuno di questi due presupposti è certo: le cause di un'eventuale pandemia sono assolutamente imprevedibili", afferma l'epidemiologo Tom Jefferson, dell'Istituto superiore di sanità, esperto di vaccini e membro della rigorosa Cochrane collaboration, un gruppo di scienziati indipendenti che valutano l'efficacia dei farmaci. E si capisce bene che lui alla pandemia dietro l'angolo proprio non ci crede. Figurarsi se gli sembra opportuno vaccinarsi, da sani, contro un nemico che non c'è.

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