Lo spacciatore di poesie San Giuseppe. Il discendente gay degli Unni. "Gargantua e Pantagruel" è la Bibbia di noi comici, racconta l'attore

Molti attori ne hanno una: Benigni ha Dante, Albertazzi ha l’imperatore Adriano, Lavia Shakespeare. La dolce ossessione di Paolo Rossi è François Rabelais. Del monaco francese, grande affabulatore, umorista e sognatore, «che visse a cavallo tra ’400 e ’500 (ma a volte andava anche a piedi)», ha letto e raccontato tutto, a partire dal capolavoro "Gargantua e Pantagruel". Lo ha fatto prima in uno spettacolo, "Rabelais", che tra il ’96 e il ’97 ha recitato ovunque, nei pub, nei teatri, per la strada e perfino a Parigi e Mosca. E poi ricucendo insieme quei mille Paolo Rossi-Rabelais in "1-10-100 Rabelais", due puntate nate per la tv nel 2001, che "L’espresso" e "Repubblica" propongono la prossima settimana come ultimo Dvd della collana dedicata ai migliori spettacoli teatrali del comico di Monfalcone. È un gioco di scatole cinesi, in cui Rossi narratore e navigatore tra le sue stesse interpretazioni alterna momenti lirici, in cui fa il verso ai grandi mattatori leggendo di "Eros e politica nelle valli bergamasche del ’400"; ed esilaranti spazi di improvvisazione pura con il pubblico, tra un bicchier di vino e una battuta sconcia in una fumosa osteria. «"Gargantua e Pantagruel" è la Bibbia di noi comici», racconta Rossi: «Io seguo questo libro e lui segue me».

Che ironia, proprio lui, piccola grande forza del palcoscenico a recitare di due giganti! Nella sua rilettura, che non abbandona nemmeno tra le mura di una toilette, le intuizioni rabelesiane sono piccole lezioni di vita. Il Medioevo non sembra così lontano dai nostri giorni bui in cui, seppur con gli "amici" di sinistra al potere, siamo sempre tutti alla ricerca di una nuova etica. Rossi, solo in scena con il fido maestro Emanuele Dell’Aquila, parla così di sesso, religione, politica, sfoderando una girandola di irresistibili personaggi: lo spacciatore di poesie, San Giuseppe (un pezzo degno di tutto l’insegnamento di Dario Fo), il discendente gay degli Unni e le camicie verdi che si vantano di «avercelo duro». D’altronde, diceva Rabelais, «ridere è umano ». L’importante è continuare a esser liberi di farlo.