Sono 24 milioni gli italiani, adulti e bambini, che praticano un qualche tipo di sport. E tra i più giovani non sono pochi quelli che sperano in un futuro da Kaka, da Giovanna Trillini o Alessia Filippi. Ci sperano loro, e, ancor di più, ci sperano i genitori che, magari, arrancano in terribili biciclettate domenicali o maratone cittadine. Sempre e comunque a caccia di un podio. Possibile? Sempre, con il dovuto allenamento? Insomma: campioni si nasce o si diventa? Esiste una 'formula del vincitore' da seguire per realizzare il proprio sogno sportivo?
"Dal punto di vista biologico, il talento è in parte geneticamente predestinato", spiega Thomas Rando, direttore del Laboratorio su muscoli e cellule staminali e docente di neurologia alla Stanford university, California: "Si nasce con una struttura scheletrica, muscolare, nervosa, un metabolismo energetico e una forza cardiaca di base ereditati dalla famiglia. Il campione del ciclismo Lance Armstrong, ad esempio, possiede un cuore più grande rispetto ad atleti di pari livello, manda in circolo più sangue e con questo più ossigeno. Così gli atleti sprinter hanno più fibre muscolari di tipo veloce, i long-distance invece quelle lente e ad alta resistenza".
Insomma, a sentire lo scienziato americano val più la natura che la fatica in palestra. Ma non c'è dubbio che la natura da sola non fa un campione. Come spiega Fabio Naro, del gruppo di ricerca sulla Biogenesi e sviluppo del muscolo al laboratorio di embriologia umana dell'università La Sapienza di Roma:"Le caratteristiche umane sono frutto di interazioni fra i geni e l'ambiente e l'allenamento permette ad un determinato corredo genetico di esprimere tutte le sue potenzialità. Ma, certo, si stanno cominciando a individuare i geni implicati nelle capacità atletiche, utili per capire i meccanismi molecolari alla base delle prestazioni. Di recente è stata scoperta una mutazione genetica che determina un aumento della massa muscolare. E si cominciano ora a studiare molecole in grado di influenzare l'attività del gene per curare alcune patologie muscolari".
Ad oggi sono stati individuati 187 geni associati alla performance fisica, così come riporta l'ultima rassegna pubblicata su 'Medicine and Science in Sports and Exercise', effettuata da un gruppo di ricercatori dei laboratori di Houston, Maryland, Canada e Germania. Tra questi 187, i ricercatori attribuiscono grande importanza al cosiddetto 'gene della velocità' che codifica una proteina specifica per le fibre muscolari veloci. L'hanno individuata i ricercatori dell'università di Sydney negli sprinter olimpionici (uomini e donne). Immediatamente una società australiana, la Genetich Technologies Limited, ha commercializzato un test ('Sports-Gene Test') che scova tale gene, e lo ha messo in vendita nelle palestre australiane e su Internet.
Curioso e divertente. Ma non è piaciuto, come non sono piaciute altre iniziative di questo genere, alla British Association of Sport and Exercise Sciences che condanna l'uso improprio dei test, attuali o futuri, in un documento appena pubblicato. "Le variazioni interindividuali correlate allo sport ed all'esercizio hanno forti basi genetiche e sono in parte ereditate", spiega Alun Williams, della Manchester Metropolitan University, fra gli autori del documento: "La ricerca va incoraggiata per prevenire patologie, a volte mortali, negli sportivi e per combattere il doping genetico. Va invece condannata per la messa a punto di test per selezionare i futuri atleti".
Cautele a parte, senza voler scoraggiare nessuno, gli scienziati sembrano concordare sul fatto che campioni si nasca. Anche se "non sono i test genetici a predirlo", precisa Marcello Faina, direttore dell'Istituto di scienza dello sport del Coni e docente di Metodi di valutazione motoria ed attitudinale nello sport alla Cattolica di Milano: "Il talento sportivo è un mix fra moltissimi fattori e l'atleta, dal professionista all'amatoriale, può raggiungere ottimi livelli di performance con un allenamento specifico".
E c'è chi già allena gli atleti alla luce di una 'formula dell'allenamento': "Si parte da una selezione delle caratteristiche antropometriche dell'atleta, quali l'altezza, il peso e l'età, in base al tipo di attività sportiva", spiega Faina. Poi si prendono in considerazione i fattori attitudinali, come la predisposizione mentale alla competizione che rende l'atleta motivato, concentrato e rilassato in gara. Non tutti la possiedono. "Più che la paura di perdere, a inficiare un risultato sportivo può essere la paura di vincere, detta Nikefobia in ambito medico-sportivo: ansia che colpisce anche gli atleti di altissimo livello in prossimità del traguardo", continua l'esperto.
Componenti psicologiche e contesto sociale in cui si cresce contribuiscono a predisporre o negare alcune importanti capacità atletiche. "Le acquisizioni motorie nell'infanzia sono influenzate dalla maturazione del sistema nervoso ma anche dall'ambiente, in particolare dalle aspettative sociali e culturali e dall'educazione, elementi ugualmente o più importanti dell'allenamento fisico", precisa Faina: "L'ambiente familiare o scolastico influenzano lo sviluppo di un potenziale campione. Essenziali le strutture sportive comunali e regionali che formano le basi atletiche e inviano alle federazioni ragazzi già bene allenati".
Importante anche la zona geografica in cui si nasce, se in questa è radicata la cultura di alcune specialità e si concentrano le società sportive d'eccellenza. "Ad esempio le Marche e in particolare Jesi per la scherma, Verona e Roma per il nuoto, Rovigo e Padova per il rugby, alcune regioni come Toscana, Lombardia e Veneto per il ciclismo, gli atleti del pugilato che negli ultimi tempi collezioniamo medaglie arrivano soprattutto dal sud. Solo giocare a pallone è possibile in tutta la penisola tappezzata di campi e scuole", schematizza ancora Faina.
Il resto lo fa l'allenamento. L'allenatore ha il compito di monitorare e correggere le reazione dell'atleta agli stimoli ed allo stress dell'allenamento per migliorare la potenza muscolare e metabolica. L'organismo infatti, dopo avere subito uno stress fisico, va incontro ad un adattamento e ad un nuovo equilibrio. L'allenatore tara il nuovo stato di adattamento e si punta alla preparazione successiva per raggiungere un obiettivo sempre di maggiore intensità. Da evitare, è il consiglio degli esperti, l'overtraining, il sovraffaticamento che diminuisce le prestazioni. Sono indispensabili quindi tempi di recupero proporzionati alla fatica sopportata.
Infine vi è la capacità di eseguire bene il 'gesto tecnico'. Emblematico il nuoto dove si battono record di continuo ed è difficile credere che sia solo dovuto all'aumento della potenza muscolare degli atleti. Sembra invece essere il continuo studio e potenziamento dei movimenti del corpo nell'acqua a migliorare sempre i tempi. La costruzione scientifica degli atleti olimpionici si completa poi con l'impiego di supporti meccanici ed elettronici per monitorare l'allenamento, correggere vizi e difetti e migliorare il gesto tecnico: dall'analisi video all'accelerometria, dalle pedane di forza al sistema radar di misurazione della velocità, tali strumenti sono il metro per gli occhi dell'allenatore.
"Tutti possono trasformarsi in atleti di buon livello ma è da bambini che si individua il futuro fuoriclasse", conforta Bruno Conti, direttore tecnico della Roma con un lungo passato di allenatore delle squadre giovanili della società: "Il talento nel calcio è innato e ci sono bambini di dieci anni che già 'hanno piede', ovvero giocano con la palla in prontezza e disinvoltura". Il potenziale campione si individua però dai tredici anni in poi, età in cui si maturano componenti di base, come muoversi con facilità e destrezza nei dribbling, nei tiri in porta e nel possesso della palla. Dall'adolescenza si intravede anche il tipo di sviluppo fisico del soggetto e la corporatura, se portato o no per il gioco del calcio. Si tratta comunque solo di una prospettiva e l'occhio non basta. Ma attenzione, conclude Conti: "Per diventare un campione la strada da fare è complessa e la bravura si coltiva giorno per giorno. Ci vuole una eccellente tecnica di allenamento, sul campo e in palestra, che riesce anche a colmare eventuali carenze fisiche (oggi la bassa statura è considerata una aggravante). Poi ci vuole costanza, forza di volontà, tenacia, rispetto e spirito di sacrificio. Sono molti i ragazzi di 15 o 16 anni arrivati anche alla nostra scuola allievi che rinunciano perché non sono disposti a sacrifici del genere. Il talento senza applicazione non conta nulla".