Ci vogliono ventisei ore per arrivare in paradiso. Il viaggio sarà il giorno più lungo, fatto di caviglie gonfie, stomaco vuoto e dello spasmodico desiderio di una doccia calda. Sulle scalette dell'aereo il corpo appallottolato per ore comincia a riprendere forma, i muscoli si distendono, gli occhi si abituano alla luce, il respiro assapora l'aria un po' umida di una temperatura tiepida che cambia poco durante l'anno. Piano piano il contorno prende forma mentre una ragazza in un pareo rosso ti circonda il collo con una collana di fiori: "Benvenuti in Polinesia", dice sorridendo come si fosse arrivati alla fine del mondo. E un po' lo è. Se non è alla fine almeno è dall'altra parte: 12 ore di fuso orario, migliaia di chilometri dall'Europa, lontano da tutto, nella maestosità del Pacifico.
Il paradiso dunque. Ma non per tutti. Bisogna essere travolti da alcune passioni per scegliere la Polinesia, quella della barca a vela vista la possibilità di scivolare di isola in isola affrontando paesaggi meravigliosi protetti dalle barriere coralline e da lagune cristalline oppure quella per qualcuno, visto che la Polinesia è la patria dei viaggi di nozze. Splendidi alberghi isolati, bungalow su palafitte nell'acqua, isole solitarie con un cuoco e un tavolo e niente altro.
Un tuffo nella natura incontaminata, naturalmente per chi può permettersi il Paradiso. La Polinesia è il secondo paese più caro al mondo dopo il Giappone, 15 euro per un hamburger, 20 per un paio di infradito, 30 per una collanina di conchiglie. Ma il lusso si paga e si trova. Un po' meno a Tahiti che da buona capitale ha perso il fascino dell'isola remota. Papeete è l'ultimo sprazzo di vita mondana prima di affrontare quello che nella frenetica Europa si è perso. Il tempo. A proposito di Europa, le guide che ti si fiondano pronti a svelarti le leggende, ti raccontano che la Polinesia, 250 mila abitanti, è fatta di isole che coprono un'area grande come l'Europa. Ce n'è per ogni gusto, dagli atolli circondati dalle barriere coralline, dalle isole vulcaniche punteggiate di montagne alte, alle isole con le spiagge bianche, o a quelle da vignetta con una montagnetta di sabbia e una palma conficcata. Ci si può inventare di essere pirati tra le misteriose isole Tuamuto infestate dagli squali e dalle perle nere, o raggiungere le isole Australi, la vera fine del mondo dove niente è cambiato. O visitare l'Arcipelago di Gambier per chi si sente esploratore. Ma per chi vuole rilassarsi, Bora Bora o qualche atollo aspettano. Si gira per trovare il cuore di un Paese che nell'immaginario si dipinge con spiagge e persone gentili. Ma non è solo un posto da viaggio di nozze.
Popo è un'istituzione a Tahiti, una delle tassiste più conosciute della capitale, gira con una bellissima mamma, che non ha voglia di stare a casa ad aspettarla e che racconta delle isole quando ancora non c'erano gli aeroplani e arrivano solo attori o politici. "Adesso è tutto cambiato", racconta Popo: "Sembra impossibile ma la crisi è arrivata anche qui, ci sono meno turisti, i prezzi sono altissimi, siamo schiacciati dalle tasse, per fortuna c'è la Francia". Perché la Polinesia appartiene alla Francia, che paga i conti, divide il passaporto, permette ai suoi concittadini di rifugiarsi e trovarsi un lavoro in paradiso, mentre ai polinesiani offre la possibilità di sbarcare in Europa. "Fino a quando i francesi non si stuferanno di pagare tasse anche per noi: la crisi economica non rende molto generosi", spiega Eric Pelle, guida di trekking nell'isola di Raiatea, francese trapiantato in Polinesia.
Le sere polinesiane estive, ma che per loro è inverno, quindi caldo e in teoria meno umido, si tingono di musica e colori. Negli spiazzi delle isole si celebra l'Heiva, dove migliaia di persone si riuniscono ogni sera per assistere alla gara di ballo tradizionale. Una sessantina di gruppi, qualcuno dalle Hawaii o dagli Stati Uniti. Corpi di ballo da 100 persone con costumi colorati, tra gonnellini di foglie secche e fiori freschi, corpi che si muovono sincronizzati. Ogni danza dura quasi un'ora, racconta leggende, storie d'amore e lotta. I migliori vanno in finale, ma qui, dai sei anni in su, ballano tutti.
È raro pensare a una Polinesia al di là delle spiagge, dei pesci colorati, ma esiste, c'è un mondo verde che aspetta di essere esplorato. "Qui cresce qualsiasi cosa e io amo studiare l'origine della piante arrivate qua dalla Nuova Zelanda, dalle Hawaii o dal Messico", racconta Alain Plantier, botanico che si è inventato il Vanilla Tour per l'isola di Tahaa. Sposato con Cristina, una milanese che ha conosciuto qualche decennio fa durante un giro del mondo in barca a vela, mostra il mistero della vaniglia. Un processo lunghissimo fatto di mesi di lavoro. La vaniglia è una specie di fagiolino lungo che nasce solo se, a mano e uno per uno, il coltivatore insemina il fiore, non essendoci le api adatte a farlo. Il frutto viene fatto essiccare e venduto in bastoncini. "Basta un piccolo errore e non nasce", racconta Alain, che mostra come si riproduce un fiore. Nel giardino ha tutte le piante dell'isola, l'albero del pane, la papaya, l'ananas, il mango, il banano, il cocco, sembra il giardino di Adamo ed Eva. Ma la Polinesia è conosciuta per un altro prodotto della natura, che nasce più o meno con lo stesso processo della vaniglia, qualcuno deve intervenire sul concepimento: la perla nera. "Solo alcuni sanno farlo", racconta Sabrina Laughlin che ha una 'fattoria di perle'. Sembra impossibile che da una grinzosa ostrica possa nascere una pallina perfetta. In realtà la perla è la copertura di una pallina che viene introdotta e cresce dentro la conchiglia. "Non sai mai cosa verrà fuori, possono essere perle nere e uscire bianche".
Se le foreste tagliate dalle cascate svettano verso il cielo, c'è un altro mondo sotto il mare, dove si aggirano, razze, squalotti. Michael Pool è un biologo americano che da trent'anni studia i movimenti delle balene. Accompagna turisti dove si possono avvistare, è stato il primo ad inventarsi il 'whale watching', e quando parla degli incontri gli si illuminano gli occhi. Mare, foresta, spiagge, vulcani. "Questo Paese è sempre stato raccontato, nei film, nei libri, ma dopo i moti del 1995 sul nucleare qualcosa è cambiato", spiega Moetai Brotherson, uno dei rari scrittori polinesiani perché la tradizione orale è sempre stata più forte. "I cambiamenti qui vanno con le maree, la vita è tranquilla, se uno ha fame pesca. Anche se non sembra, siamo passati da una società che viveva nella natura a una occidentalizzata, con Internet e le macchine. I nostri genitori sapevano che per avere successo bisognava essere come i francesi, oggi i giovani possono essere solo se stessi". Anche un viaggio in paradiso non dura per sempre, prima o poi si deve riprendere quel volo infinito traboccante di polinesiani che partono. Tocca a loro andare in vacanza, si scambiano i sogni con i francesi, gli italiani e gli americani, cercano città, musei, confusione e quel traffico che non rimpiangeranno.