Giocava a basket a livello professionale Letterio Visigalli, due metri di altezza per 110 chilogrammi di muscoli, e aveva disputato oltre 400 partite in serie A, molte delle quali a Siena, nella Men Sana. Aveva smesso da poco l'attività professionale quando, nel 2004, decise di togliere un neo che aveva sempre avuto e che per qualche motivo aveva iniziato a dargli fastidio: si trattava di un melanoma, malattia che spesso colpisce i giovani e che è pericolosamente senza sintomi. Se si toglie quando è in fase iniziale, va tutto bene. Sennò, è la peggiore delle prognosi. Perché, almeno fino a oggi, chi non interveniva molto in anticipo era spacciato. E Visigalli se l'è vista brutta, quando, tre anni dopo l'intervento, è spuntato su un fianco quello che somigliava a un ematoma, e in realtà era una grande metastasi, formatasi insieme ad altre nei linfonodi e nel fegato, alcune delle quali di diversi centimetri.
Ma lui è uno sportivo: crede nel suo fisico e ha una disciplina ferrea. "Ho pensato al ciclista Lance Armstrong e non mi sono lasciato abbattere. Nel mondo si stavano provando nuove terapie e nella mia città era arrivato Michele Maio, esperto di melanoma. Gli ho parlato". E Maio era la persona giusta. Ma, soprattutto, la circostanza favorevole è stata di trovarsi a Siena dove c'è il primo e unico centro italiano di Immunoterapia oncologica, presso il Policlinico Le Scotte.
Il merito dell'intuizione geniale che ha portato all'apertura del centro, a Siena se lo prendono in molti: c'è di mezzo la virtuosa regione Toscana con la sua sanità d'eccellenza, il fatto che la ricerca biomolecolare all'università è di grande prestigio, che gli amministratori di Le Scotte cercavano una punta di diamante (magari per far dimenticare qualche scandalo). E poi c'è il fatto che il direttore dell'Istituto Toscano dei Tumori è Lucio Luzzatto, genetista e gloria della ricerca oncologica richiamato in Italia dagli Usa dove hanno da tempo capito che l'innovazione in oncologia si ottiene coniugando ricerca di base e clinica. E questa è, di fatto, la filosofia di Michele Maio.
Non solo: il centro dell'interesse a Siena è concentrato sull'oncologia medica moderna, l'immunoterapia, ovvero il tentativo di usare il sistema immunitario del malato per fargli combattere la guerra al cancro. È un trend emergente e qui diamo conto delle molte sperimentazioni nel mondo per i diversi tipi di tumore. Maio studia queste tematiche da sempre, e la Bristol-Myers-Squibb non poteva che far sperimentare a Siena il suo farmaco dalle uova d'ora: si chiama ipilimumab, è una terapia immunologica contro il melanoma metastatico. E funziona.
Maio ne ha parlato col cestista Visigalli. Gli ha prospettato la possibilità di entrare nella sperimentazione. E sfidare le incognite che questo implica. "Mi sono fatto spiegare che prospettive avevo e insieme abbiamo deciso che avrei fatto parte di coloro che, in doppio cieco, cioè senza che né io né i medici sapessimo che cosa stavo assumendo, sarebbero stati curati con un nuovo immunoterapico, l'ipilimumab". Oggi molte delle sue metastasi sono scomparse e la malattia sembra in regressione o comunque abbastanza stabile da consentirgli, a 44 anni, una vita normale, ancorché super-monitorata: il lavoro in una grande azienda, una nuova compagna, il figlio ventunenne che lo ha superato in altezza. E un bel po' di sport: al ventottesimo ciclo di ipilimumab, ha preso l'abitudine, dopo le infusioni, di andare a nuotare per un'ora o di fare un giro in bicicletta.
Maio è molto soddisfatto e parla del suo paziente zero convinto che abbia dimostrato qualcosa che va oltre l'ipilimumab: Visigalli, insieme al centinaio di pazienti entrati nella sua sperimentazione, è infatti la prova vivente del fatto che la determinazione del paziente è fondamentale nell'affrontare la malattia e che in medicina l'ostinazione (basata su solide fondamenta scientifiche) paga, così come paga il pensiero eterodosso. Perché eterodosso?
"Tutti abbiamo sistemi di regolazione delle difese che fanno sì che la reazione immunitaria ci sia ma, a un certo punto, venga spenta", spiega Michele Maio: "Nei malati di tumori lo spegnimento è però deleterio, perché quando il sistema immunitario è disattivato, le cellule malate riescono a crescere e a diffondersi. Di qui l'idea di tentare di togliere il freno fisiologico, per avere un supersistema immunitario che riesca a spazzare via le cellule anomale in maniera continuativa, fino alla vittoria finale. Ipilimumab fa appunto questo, permettendo all'organismo di condurre da solo la sua battaglia, e spesso di vincerla, aiutato in certe fasi dalla chemioterapia, che ne potenzia l'effetto".
I risultati ottenuti da Maio e dagli altri sei gruppi di diversi Paesi che hanno sperimentato l'ipilimumab per primi, sono impressionanti e la presentazione all'Asco (il supermeeting degli oncologi di tutto il mondo tenuto quest'anno a Chicago) è stata un trionfo e la terapia è stata considerata il big shot dell'anno: la sopravvivenza dei malati come Visigalli, nei quali la malattia è avanzata, è del 46 per cento dopo un anno e del 24 per cento dopo due anni, mentre con la chemioterapia tradizionale si arriva al massimo, rispettivamente, al 25 e 14 per cento.
Ma il fatto che il farmaco funzioni così bene è non solo un'ottima notizia per i malati di melanoma: è la conferma della bontà dell'approccio immunologico, perché se il farmaco funziona contro un cancro, non si vede perché non possa funzionare anche contro altri tumori. E infatti l'ipilimumab è ora sotto osservazione presso la struttura di Maio e in altri sei centri italiani, per vedere gli effetti contro il mesotelioma, i tumori del polmone e quelli della prostata.
Siamo, insomma, al punto di partenza di una storia ancora da scrivere, anche se iniziata oltre trent'anni fa. "Il sistema immunitario", spiega Maio, "è una rete molto complessa di cui conosciamo ancora solo le maglie principali. Negli ultimi anni sono stati chiariti molti dettagli, ma proprio perché il quadro che emergeva era così complicato, ci sono stati momenti in cui si pensava che non si sarebbe mai potuti arrivare a sfruttarlo in senso antitumorale. Alcuni di noi, però, hanno continuato a credere in questa possibilità e il risultato ora è sotto gli occhi di tutti".
I grandi passi in avanti sono spesso frutto di traversate nel deserto e di scommesse sulle quali pochi sono disposti a investire. L'immunoterapia oncologica è di certo uno di questi. Quando nel 2004 Maio è arrivato a Siena da Aviano, ha chiesto di chiamare il nuovo reparto non genericamente Oncologia medica, ma Immunoterapia oncologica, proprio perché fosse chiaro, fino dalla denominazione, che lì si intendeva dedicare parte delle energie disponibili alla ricerca e, in particolar modo, all'approccio che punta tutto sul sistema immunitario. E affinché la sua idea fosse chiara anche visivamente, ha sovvertito le regole consolidate anche nella struttura del centro. Racconta Maio: "La prima cosa che mi è stata chiesta, come sempre accade, è quanti posti letto volevo, una domanda ritenuta ineludibile per un nuovo reparto e, al tempo stesso, una prova del potere che si è acquisito nell'universo ospedaliero. La mia risposta è stata spiazzante: nessuno. Perché pensavo di poter fare tutto ciò che si può fare oggi per curare i malati al meglio e per fare ricerca senza alcun bisogno di ricoveri, ma lavorando solo con il day hospital". Così è stato: gli ambienti sono stati interamente costruiti secondo i canoni più moderni dell'assistenza, con poltrone e letti adatti e laboratori a stretto contatto del day hospital. Tutte le terapie occupano al massimo qualche ora, passata la quale nessuno ha voglia di restare in ospedale: molto meglio avere a disposizione strutture vicine e convenzionate nelle quali tornare alla fine dei trattamenti, in cui poter ospitare anche un parente e svolgere una vita normale.
Una vita normale: è il must del reparto senese per i suoi pazienti. Tanto che la grande sala d'aspetto ospita un pianoforte ed è spesso sede di concerti aperti a tutti, personale e malati: si apre su una biblioteca nella quale i pazienti possono trovare sia libri che materiale informativo su come migliorare la qualità della vita, sia l'aiuto, se lo desiderano, di una psiconcologa sempre presente. "Si parla molto di umanizzazione delle terapie", spiega Maio: "Secondo noi un passaggio fondamentale è proprio la riduzione del tempo passato in ospedale".
Ridurre i ricoveri, poi, significa anche consumare meno risorse, lasciandone disponibili per la ricerca e per le terapie più innovative, sempre costosissime. Ipilimumab costa circa 80 mila euro a ciclo (quattro infusioni), e Maio e i suoi collaboratori sono convinti che sia meglio trovare il denaro per somministrarlo a più malati piuttosto che spenderne per far dormire i pazienti in ospedale.
A sette anni dalla nascita, quella di Siena sembra insomma una scommessa vinta: il centro collabora con molti degli istituti all'avanguardia nello studio delle cure più innovative ed è contattato da quasi tutte le principali aziende farmaceutiche, che finanziano volentieri protocolli sperimentali quando capiscono che hanno a che fare con realtà solide e di alto profilo scientifico. L'immunologia oncologica senese potrebbe dunque costituire anche un modello, per il modo di fare ricerca e perché su una cosa gli oncologi come Maio sono d'accordo: non è più possibile pensare che l'eccellenza sia ovunque. A tutti i malati vanno garantite buone cure, ma poi i centri che riescono a farlo devono essere specializzati in settori che non si sovrappongano ad altri, e chi li dirige avere l'intelligenza e l'umiltà di ricorrere ai colleghi quando la situazione lo richiede.