Inchieste sulla mafia, i misteri italiani, i campi rom. Il Che, Pasolini, Julian Assange. Il graphic novel è diventato l'ultima frontiera del racconto verità, anche nel nostro paese

Meglio la ruga di un testimone o l'arazzo della diplomazia? Annusare la polvere della strada o quella degli archivi? Dalla striscia di Gaza ai villaggi ucraini, dalla Reggio di Alceste Campanile alla Trapani di Mauro Rostagno, il reportage disegnato scava le sue trincee nel passato prossimo. Un tempo difficile da coniugare? Non per il graphic novel. Le sabbie mobili dei fatti recenti, insidiose per storici e saggisti, territorio di caccia di giornalisti e reporter, trovano esploratori irriducibili, pronti a riempire i taccuini di storie scritte e disegnate. Con il linguaggio sovversivo e popolare del fumetto e le regole ferree del graphic novel: solo storie autoconcluse ed eroi non seriali. Liberi dall'obbligo della notizia, gli autori di fumetti riescono a illuminare dettagli che un giornalista è costretto a scartare. E con l'immagine disegnata, evocativa e sintetica, ricostruiscono quello che non è possibile fotografare. Guardano a Cechov e a Erodoto piuttosto che all'ultimo vincitore del Pulitzer.

La sfida dell'autenticità

Per Igort, autore di due reportage disegnati sulla ex Unione Sovietica, "Quaderni russi" e "Quaderni ucraini" (Mondadori), la sfida è l'autenticità. "Senza concedermi il diritto d'invenzione, con il lettore ho stabilito un patto", dice. "La mia è narrazione dal basso e sotto pelle: una violazione del pudore. Per "Quaderni russi" ho trascorso mesi nei luoghi che hanno visto vivere e morire Anna Politkovskaja. Sono entrato dove abitava, al numero 6 di Lesnaja Ulitsa, e nell'ascensore dove è stata uccisa il 7 ottobre 2006. Io stesso mi sentivo in pericolo. Nel naufragio dell'umanità l'obiettività del giornalista non basta". Per Igort, il realismo non è un codice: "Come gli impressionisti uscivano dagli studi e cercavano en plein air la luce che volevano dipingere, ho deciso di entrare nelle storie che avevo bisogno di raccontare. Stiamo inventando una nuova grammatica".

Se la presa diretta garantisce al graphic novel una temperatura di autenticità, la metafora animale assicura un distacco crudele e un moltiplicatore di senso. Totò Riina con le fattezze di un cinghiale, Caponnetto di un condor, Falcone gatto e Borsellino fox terrier, Dalla Chiesa bulldog e Nitto Santapaola pittbull, sono i protagonisti della visionaria fattoria degli animali di "Un fatto umano", appena sbarcato in libreria per Einaudi, che racconta la mafia e la lotta dei magistrati per debellarla. Rubando il titolo alla celebre frase di Giovanni Falcone "la mafia è un fatto umano e come tutti i fatti umani avrà una fine", il graphic novel di Fabrizio Longo, Alessandro Parodi e Manfredi Giffone è costato sette anni tra ricerche e sceneggiatura, quattro per il disegno. Il soggetto è stato passato al vaglio del procuratore Ingroia. All'epoca dei fatti, gli autori avevano quattrordici anni: perché scavano nel passato? "Il passato prossimo si proietta nel presente", risponde Giffone. "Dalla lupara al kalashnikov, al riciclaggio del denaro, la mafia si può sconfiggere solo conoscendola. Ai giovani stanno rubando il futuro, ma solo chi è capace di rileggere il passato, non si fa rubare il presente". I pionieri del graphic novel, dunque, Will Eisner ("Il complotto. La storia segreta dei protocolli dei savi di Sion" che Umberto Eco ha definito "il "tragic book"") e Art Spiegelman ("Mouse") scavalcati da nuovi protagonisti? La documentazione e il metodo della presa diretta travolgono le metafore narrative: conta solo la verità?

Target riflessivo e target identitario

Gli esperimenti si moltiplicano, la tessitura narrativa comincia ad avere maglie fitte. La formula conquista lettori: un piccolo boom editoriale. Mondadori oltre a Igort, conquista Joe Sacco, autore di reportage in presa diretta, "Gaza 1956. Note ai margini della storia" e "Palestina. Una nazione occupata". La Rizzoli si aggiudica Marjane Satrapi con le sue storie iraniane e Joann Sfar con "Il gatto del rabbino". La Rizzoli Lizard, Sarah Glidden con "Capire Israele in 60 giorni" e la Guanda Bernice Eisenstein con "Sono figlia dell'Olocausto". La Coconino Fandango, che del graphic novel è l'apripista e il motore, allinea nel catalogo 250 volumi di autori come Gipi, José Muñoz, Manuele Fior, David B, Jiro Taniguchi, Daniel Clowes e Davide Toffolo. E con l'italo-americano David Mazzucchelli e il suo "Asterios Polyp", un cult book sul fallimento dell'idea del progetto in architettura, fa incetta di premi: il Book Prize del "Los Angeles Times", l'Eisner, l'Harvey, il Grand Prix di Angoulême e il Lucca Comix. L'ultima uscita della Coconino "Alain e i rom", di Guibert, Keler e Lemercier, è un reportage sulla più vasta minoranza del continente europeo, i rom, il popolo che "sulla strada" passa tutta una vita. Con una vecchia Skoda il fotografo Keler li cerca dal Kosovo a Parigi a Lamezia Terme, nelle baraccopoli ai margini dei binari o in fuga da guerre. Fumetto e fotografia dialogano e si mescolano e, attraverso l'obiettivo, il fotografo ebreo e i rom s'incontrano e si riconoscono. "Ad Auschwitz i miei nonni e i nonni dei rom sono stati uccisi insieme, nello stesso modo", racconta Keler, "ancora oggi la maggior parte dei rom è indesiderata". La cronaca tocca da vicino i graphic novelist e in occasione dell'assalto al campo nomadi di Torino il coautore Guibert dichiara: "Non è un caso isolato, Keler racconta episodi simili accaduti nella Repubblica Céca: l'odio cresce nella crisi". Alla ricerca delle radici del razzismo, la Coconino con "I Lomax" di Frantz Duchazeau, in libreria a febbraio 2012, racconta il viaggio iniziatico nel Sud degli Stati Uniti di due musicologi con il compito di documentare, per la Biblioteca del Congresso, la "musica del diavolo": il blues. Dal Texas alla Cotton Belt, incontrano i protagonisti della musica nera, da Son House a Muddy Waters e Leadbelly. I Lomax cercano la musica ma scoprono la povertà, i soprusi, le violenze, l'intolleranza, il razzismo dell'America rurale della Grande Depressione.

Se il target riflessivo è premiato da alcuni editori, a puntare su quello identitario, è la casa editrice Becco Giallo. Da Che Guevara a Pasolini, passando per Carlo Giuliani e Julian Assange, i totem della rivolta e dell'alterità, dell'innovazione e della modernità, ci sono tutti: fino ad "Adriano Olivetti. Un secolo troppo presto", un'intervista immaginaria all'imprenditore visionario che aveva assunto Fortini e Volponi. Stragi e misteri: da Piazza Fontana alla stazione di Bologna, da Viareggio a Ustica, dal sequestro Moro alla morte di Falcone. Una collana di cronaca nera intrecciata con la politica allinea la banda della Magliana e il massacro del Circeo; una di cronaca nerissima, il mostro di Firenze e Unabomber. Il reportage disegnato non è sempre "tragic book". In "Cronache Birmane", "Shenzhen" e "Pyongyang", per Fusi Orari, Guy Delisle racconta, con tono più leggero, una megalopoli della Cina meridionale, la capitale della Corea del Nord e la Birmania. Per il Saggiatore esce "Il suono di una sola mano" il libro autobiografico di Marianna Rostagno sul padre Mauro, fondatore di Lotta Continua e vittima di un agguato mafioso (prefazione di Michele Serra). Ed era uscito prima "Mauro Rostagno, prove tecniche per un mondo migliore" per il Becco Giallo, con prefazione di Adriano Sofri e postfazione di Benedetta Tobagi.

Anche i giornalisti disegnano

Dei suoi reportage metafisici a fumetti, il pioniere italiano del genere, Dino Buzzati, nel '68 affermava: " Che dipinga o scriva, perseguo il medesimo scopo: raccontare delle storie". Joe Sacco (quello della Palestina) lavora sul campo, intervista, fotografa, realizza centinaia di disegni e si aggiudica l'American Book Award. Ted Rall, lavora a un'inchiesta durata dieci anni in Cina, Russia, Georgia, in "Stan Trek" (Becco Giallo) e arriva in finale per il Pulitzer. E due giornalisti Alberto Guarnieri ed Emilio Laguardia, in "1975. Un delitto emiliano" (Odoya), con un reportage disegnato ricostruiscono la fine di Alceste Campanile, un ragazzo di Reggio Emilia che dall'Msi ribalta il confine diventando militante di Lotta Continua. E lo paga con la vita.

La fabbrica del passato prossimo
In "No Pasaran" (Rizzoli Lizard), Vittorio Giardino per il suo "avventuriero riluttante" Max Fridman, sceglie la guerra di Spagna. "Preferisco un passato più distante: voglio fare letteratura, non giornalismo", precisa. "Un fumetto su Ustica? Non ne so abbastanza. La verità viene fuori solo molti anni dopo". Ecco, c'è chi la verità la vive nel riflesso di un alter ego di carta come Giardino e chi vuole testimoniarla in prima persona come Igort. Il Corto Maltese di Hugo Pratt e il Max Fridman di Giardino vivono storie inventate, ma verosimili. Meglio allora il vecchio fumetto o l'innovativo graphic novel? È come chiedersi se è meglio la nutella o la cioccolata.