Tanti micro-finanziamenti raccolti on line per un progetto: è il crowdfunding. Formula vincente in molti casi, ma con alcuni limiti
Il motore è la crisi. «In presenza di una recessione senza precedenti, l'economia ha disperato bisogno della spinta che il crowdfunding può infonderle mettendo in condizioni chiunque di raccogliere fondi per fare qualsiasi cosa». L'ottimismo di Slava Rubin, amministratore delegato di Indiegogo.com, è contagioso e forse spiega anche in parte il successo del servizio on line che egli stesso ha contribuito a fondare, ormai quasi cinque anni fa.
Indiegogo come anche Kickstarter (entrambe americane), l'inglese Crowdcube, l'irlandese Fund.it, la spagnolo Verkami (da poco anche in Italia) o ancora gli italiani Eppela e Kapipal: sono queste solo le più note tra le oltre 450 piattaforme on line attive oggi nel mondo per consentire il "miracolo" del crowdfunding, termine che definisce la buona pratica della "folla che finanzia" progetti di ogni genere donando attraverso la Rete cifre anche piccolissime, ma che sommate tra loro sostengono la nascita di un prototipo, l'avvio di una startup, la pubblicazione di un disco o di un libro, il successo di una campagna benefica o persino di uno spettacolo teatrale.
Il tema è di gran moda: i media di tutto il mondo danno ampia copertura a storie come quella di Tanya Vlach, che ha perso un occhio in un incidente stradale e, grazie a una campagna lanciata su Kickstarter, ha raccolto fondi per finanziare un gruppo di ricercatori impegnati a costruirle un "occhio bionico". Oppure al caso di Amanda Palmer che, gestendo mirabilmente la community dei suoi fan, ha raccolto un milione e 190 mila dollari (ne chiedeva appena 100 mila) donati da 24.883 fan per produrre in proprio il suo nuovo disco.
Interessante, e molto più "a portata" per le cifre in gioco, la storia raccontata da Daniele Ferrari, digital strategist & social media manager che nel 2011 ha collaborato con la casa di produzione torinese Stefilm International per finanziare via crowdfunding il film "Vinylmania - When life runs at 33 revolutions per minute". «Con Kickstarter siamo riusciti a raccogliere 37.173 dollari contro i 33 mila richiesti. Un successo ottenuto senza spendere un euro in pubblicità e progettando con cura ogni aspetto della campagna di crowdfunding». Campagna che, secondo Ferrari, sulle piattaforme come Kickstarter si svolge all'insegna della meritocrazia: «È ovviamente necessario saper comunicare bene, ma è la qualità del progetto a essere centrale. Il crowdfunding funziona bene quando le richieste economiche sono calibrate, motivate e i progetti realistici e fattibili, con deadline precise. E nel nostro Paese ce n'è davvero bisogno, vista la scarsità di fondi pubblici e privati a sostegno dell'imprenditoria».
È grazie a esperienze come queste che sempre più persone si dicono convinte che questo nuovo mecenatismo, partecipato e "social", possa davvero aiutare a combattere la crisi che frena l'economia, rallenta lo sviluppo, soffoca i mercati. E che impedisce a nuovi talenti e business di fiorire, devastando l'ecosistema di cui le idee hanno bisogno per attecchire e generare ricchezza.
Quel che è certo per ora è che le prospettive di crescita del settore sono incoraggianti: secondo l'osservatorio Crowdsourcing.org, nel 2012 saranno raccolti oltre 2,8 miliardi di dollari tramite servizi come Kickstarter, registrando una crescita del 91 per cento sul 2011. E il crowdfunding non è solo questione di soldi: «Attualmente ci sono oltre 6 mila campagne in corso su Indiegogo», afferma Rubin, «grazie a cui i nostri utenti possono testare subito sul mercato sia l'idea stessa, sia il messaggio di marketing che dovrà accompagnarla, ottenendo in tempo reale feedback dai potenziali clienti, oltre che preziose informazioni sui loro interessi e comportamenti». E ancora costruire "relazioni" preziose, specie quando arriva il momento di vendere ciò che si è creato unendo le forze.
Celebrazioni e storie di successo a parte, pochi sembrano tuttavia comprendere che anche il crowdfunding non è la bacchetta magica di Harry Potter. Se tale sembra, spesso è anche colpa dei media che sorvolano sugli aspetti meno seducenti del fenomeno: «Se prendiamo come riferimento quello che sembra essere il servizio più affidabile, cioè Kickstarter», dice Russell E. Perry, startupper di successo e co-fondatore dell'austriaca kompany.com, «il problema subito evidente è che la piattaforma in sé non ha una sua audience. La rete di contatti e quindi di potenziali finanziatori la porta in dote chi propone la campagna, e di conseguenza generalmente ha successo chi ha già un ampio seguito di sostenitori. Proprio alla luce di ciò, la commissione del 5 per cento per ogni campagna andata a buon fine mi sembra eccessiva». Ad alimentare la diffidenza di Perry, c'è anche il fatto che sempre su Kickstarter trovare «i progetti non andati a buon fine è estremamente difficile. Sappiamo dai dati ufficiali che solo il 43 per cento delle iniziative ha successo, ma i fallimenti sono ben nascosti e chi vuole costruirsi uno storico di errori da cui imparare ha vita molto difficile».
Per Chiara Spinelli, project manager e "mamma" di Eppela, prendersi tutto il tempo necessario per costruire e gestire al meglio una community on line di sostenitori è invece parte integrante dei "doveri" di chi lancia una campagna di crowdfunding. Il problema semmai è che «l'Italia è un Paese di belle idee che non sanno raccontarsi, di talenti che non sanno costruire un adeguato storytelling intorno alla propria idea o progetto, trovando quindi difficile far emergere e sostenere le campagne di raccolta fondi». Eppure dovrebbe anche essere più facile raccontarsi perché «la cosa bella del crowdfunding è che puoi cercare di fare impresa partendo dal prodotto in sé e non da idee astratte. Poi il trucco è usare il sostegno incassato dalla "folla" come argomento con cui conquistare il favore di chi quel prodotto dovrà crearlo in serie».
L'altra grande e nota piaga tutta italiana che rallenta la crescita del Crowdfunding è, sempre secondo la Spinelli, «la paura cronica degli utenti di fare pagamenti on line anche di piccola entità, un ostacolo figlio del digital divide culturale che soffoca qualsiasi mercato digitale nel nostro Paese», e che esige l'impegno di tutti, governo in primis, per lo sviluppo e la diffusione della cultura digitale in Italia.
Governo che potrebbe avviare politiche favorevoli al settore iniziando con il colmare quel vuoto legislativo che attualmente «rende illegale in Italia l'equity-based crowdfunding, dove la formula prevede di premiare i finanziatori con azioni dell'azienda finanziata», spiega Daniela Castrataro, co-fondatrice e Italy ambassador per lo European Crowdfunding Network. In assenza di regole, qui da noi trovano spazio solo «il crowdfunding "reward-based", dove si scambiano "donazioni" con premi e riconoscimenti di vario genere, o ancora i micro-prestiti tra persone a tassi molto bassi, resi possibili anche quelli da servizi on line dedicati come siamosoci.it».
Parlando di Europa ci sono poi anche altre criticità di cui tenere conto tra cui «le barriere linguistiche», continua la Castrataro, «che al momento impediscono persino di raccogliere dati certi sulle dimensioni del settore in Europa, e le coesistenza tra le differenti legislazioni degli Stati membri, che di fatto impediscono la promulgazione di leggi comuni». E le leggi mirate non sono l'unica necessità primaria: c'è bisogno anche di diffondere cultura d'impresa. Altrimenti il crowdfunding può rivelarsi un'arma a doppio taglio come nel caso del Pebble Watch, «un giovane 26enne che aveva chiesto alla Rete 100 mila dollari per fabbricare 8.500 orologi da collegare al proprio smartphone e invece ha raccolto 10 milioni. Quindi ora è costretto a produrne 85 mila senza avere idea di come farlo, come egli stesso ha ammesso».