La biografia

Marty Feldman, vita da comico

di a cura di Lara Crinò   5 dicembre 2012

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A trent'anni dalla scomparsa, il racconto della vita dell'attore che divenne famoso con 'Frankestein Junior'

Ecco un brano tratto da 'Marty Feldman - Vita di un Leggenda' (Sagoma editore). la biografia ufficiale dell'attore e regista scritto dal critico britannico Robert Ross. L'anteprima ebook è disponibile fino al 31 dicembre su bookrepublic.it, il volume cartaceo sarà in libreria a febbraio 2013. Il libro ripercorre la vita e i successi di Feldman, dall'infanzia nell'East End londinese ai successi di Hollywood.

Figlio di ebrei ucraini (diceva della sua famiglia "È un albero genealogico molto striminzito il mio. Arriva solo alla generazione precedente. E anche così non ne sono troppo sicuro. I miei erano semplici contadini. Mi sarebbe piaciuto trovare qualche antenato spettacolare nel mio passato. Avrei voluto trovare un adorabile idiota") crebbe con una passione per il jazz. Lavorò come sceneggiatore comico per altri
comedians, scrisse e interpretò programmi radiofonici di grande successo per la BBC, sbarcò a Los Angeles per diventare, per tutti, il gobbo Igor del mitico 'Frankestein Junior' di Mel Brooks.

Ma dopo essere arrivato al successo alla soglia dei 40 anni, e con la nostalgia di Londra nel cuore, Feldman si accorse di quanto erano spietati i meccanismi degli Studios. Girò ancora, da attore e anche da regista, ma quello fu il picco del suo successo. Morì in una stanza d'albergo di Città del Messico, nel 1982, per un attacco di cuore. Qualche tempo prima aveva rilasciato una celeberrima intervista, dichiarando:
«Sono troppo vecchio per morire giovane, e troppo giovane per crescere».

Il brano che segue è tratto dal 13esimo capitolo, dedicato al 'dietro le quinte' di 'Frankestein Junior' (1974)

"La scena che aveva conquistato Marty e tutti gli altri era quella dell’incontro alla stazione tra Frankenstein e il gobbo. Era scritta esattamente come sarebbe apparsa nella versione finale del film e divenne una specie di portafortuna nel corso della produzione, della post-produzione e della distribuzione di Frankenstein Junior. La stessa scena conquistò anche il regista, Mel Brooks. Come ricordava Gene Wilder: "Brooks fu una proposta di Mike Medavoy. Lesse il copione, gli piacque e disse: «Credo che potrebbe dirigerlo Mel Brooks». Risposi: «Non credo che Mel accetterebbe di girare qualcosa che non abbia ideato lui stesso, ma se tu riuscissi a convincerlo sarebbe meraviglioso». Il giorno seguente Mel mi chiamò e mi disse: «In che cosa mi hai fatto imbarcare?» E io risposi: «In niente in cui tu non voglia imbarcarti»".

Wilder aveva da poco finito di girare una parodia western di Mel Brooks, Mezzogiorno e Mezzo di Fuoco e dopo le lodi della critica per Per Favore, non Toccate le Vecchiette e Il Mistero delle Dodici Sedie,1 Brooks era saldamente in cima alla lista dei registi americani di commedie ed era ancora indeciso sul fatto di legare il proprio nome a un progetto che non era interamente suo. Alla fine trovò una soluzione: contribuì alla sceneggiatura già ultimata da Gene Wilder e appose il proprio nome come cosceneggiatore. Ciò contribuì a far aumentare il budget da 1,7 milioni a 2,3 milioni di dollari e quando la Columbia Pictures si tirò indietro, il producer Michael Gruskoff si assicurò il supporto di Alan Ladd Jr. della 20th Century Fox.

Mel Brooks non comparve nella pellicola, ma riunì la sua fedele compagnia di star. Madeline Kahn era la fidanzata snob di Frankenstein e Kenneth Mars l’impenetrabile ufficiale di polizia tedesco.2 L’illustre Cloris Leachman aveva di recente vinto un Oscar come Migliore Attrice non Protagonista ne L’Ultimo Spettacolo3 mentre Teri Garr era un’esordiente che aveva catturato l’attenzione di Brooks grazie al suo successo televisivo in The Sonny and Cher Comedy Hour. Erano tutti attori brillantissimi. E finirono tutti per essere oscurati da Marty. "Lui era probabilmente il cuore e l’anima del film", diceva il producer Michael Gruskoff. "Il bizzarro mondo in cui entrammo tutti dopo aver varcato la soglia del set era perfettamente incarnato da Marty".

Mel Brooks concordava e andava altre: "ogni autore comico prega di trovare uno come Marty Feldman perché desidera un attore all’altezza della parte. Marty Feldman non solo era all’altezza della parte, sapeva portarla a un livello superiore. gli infondeva quel pizzico di magia in più. Aveva il tocco magico".5 È chiaro che la performance di Marty servì da ispirazione e modello per il cast e la troupe statunitensi. Il suo Igor sapeva essere, di volta in volta, sensibile e malizioso, ma anche genuinamente spaventoso. "Marty era", secondo Mel Brooks, "l’assistente gobbo interpretato da un comico di music hall. o di vaudeville, per gli americani. È per questo che inserimmo tutto quello slang yiddish; in certi punti le battute sembravano uscire direttamente dalle pagine di Variety. Tutto trasudava di humour ebraico e la scena che io considero la chiusura del secondo atto è quella in cui il mostro evade dal castello e fugge via. gene urla la battuta: «Che cosa ho fatto!» Che è la battuta che chiudeva ogni secondo atto di tutte le commedie ebraiche a New York. Marty e Teri reagirono splendidamente imitando il gesto di gene di portarsi la mano alla bocca. Delizioso. C’erano anche pezzi di comicità in stile Catskill Mountains,6 ad esempio quando gene entra per affrontare il mostro e Marty: «È stato un piacere conoscerla». Era il tipo di battuta che ogni comedian delle Catskill avrebbe pronunciato di fronte a un pericolo imminente. Fu buttato tutto nel calderone".

Ogni cosa era perfetta. la lenta panoramica sulle teste – "morto da tre anni", "morto da due anni", "morto da sei mesi", "morto di giornata" – è uno dei momenti più riusciti del film. La testa del "morto di giornata" è quella decisamente viva ma perfettamente immobile di Marty, che all’improvviso prende vita e si mette a cantare una versione di "I Ain’t got No Body". I primi due teschi erano due articoli autentici presi in prestito da un laboratorio locale, il terzo venne costruito dal Fox Art Department e il quarto, Marty, era "quello che solo Dio avrebbe potuto costruire", come ricordava Mel Brooks. la scena fu una delle tante in cui Marty aggiunse qualcosa di suo al copione. Continuava Brooks: "Amava la batteria. Stava imparando o era in procinto di iniziare a imparare a suonarla. Io sapevo che lui amava la musica e lui sapeva che io sapevo suonare un po’ la batteria. Ci sono dei passaggi di batteria che si chiamano rimshot. Subito dopo la canzone Marty li fece per me. per farmi sorridere. E funzionò. Mi innamorai della sua interpretazione di quella scena".