Il metodo elaborato da Davide Vannoni è segreto, nessuno ne sa nulla ed è stato gonfiato dalla disinformazione che ha sfruttato l'emotività dell'opinione pubblica. Mentre la politica si è dimostrata incapace di arginare questo stregone

Come si fa a passare da un’idea a un prodotto farmaceutico? La strada è lunga e complessa. Si calcola che in media siano necessari almeno 10 anni e che il conto assommi a parecchie centinaia di milioni di euro. Infatti, come “non tutte le ciambelle riescono col buco”, anche per i farmaci il tasso di insuccessi è molto alto e perciò spesso si deve ritornare al punto di partenza.

Supponiamo comunque di seguire un’idea che ha successo, ad esempio per una malattia rara. L’ipotesi è quella più semplice e cioè che la malattia sia dovuta alla mutazione di un gene che comporti la sintesi di una proteina che non svolga la sua funzione normale e che questa a sua volta determini una ridotta o insufficiente attività di un certo numero di neuroni. Poiché esiste l’ipotesi che le cellule staminali di origine diversa possano trasformarsi in neuroni, è interessante tentare di usare cellule staminali per sostituire i neuroni che non funzionano. La prima cosa è quella di coltivare le cellule staminali in vitro e trovare le condizioni adatte alla loro trasformazione in cellule neuronali. Dopodichè si deve passare a studi in vivo sviluppando un modello animale che, a causa della mutazione della malattia da curare, abbia sintomi simili a quelli che si osservano nell’uomo. Al modello si somministreranno le cellule per osservare se i sintomi regrediscano o comunque migliorino. Se tutto va bene, ma sarebbe un caso eccezionale, si dovrà comunque stabilire che l’effetto delle cellule sia riproducibile nel tempo e cioè che la produzione di cellule staminali sia eguale per coltivazioni fatte in tempi diversi. Si dovrà poi stabilire qual è il numero adeguato di cellule per ottenere un risultato ottimale e quante volte sia necessario somministrarle. Inoltre, si deve stabilire se i benefici ottenuti in una direzione si accompagnino a tossicità in altri tessuti e organi, tenendo conto che non è ancora escluso che le cellule staminali non si trasformino nel tempo in cellule tumorali.
[[ge:rep-locali:espresso:285114024]]
A questo punto, in caso positivo, tutto è pronto per passare alla sperimentazione umana e perciò bisognerà mettere a punto la coltivazione delle cellule staminali umane, ma per far questo occorrono due passaggi importanti: il primo è quello di costruire una cell factory (fabbrica di cellule) che ha una serie di complessi requisiti che devono essere controllati e approvati dall’Istituto Superiore di Sanità e dall’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco); il secondo è il controllo del prodotto, cioè delle cellule, che deve essere eseguito dagli stessi Enti. Dopo altri controlli tossicologici, microbiologici e virali si è pronti per iniziare la sperimentazione che si deve basare su una premessa che riassuma tutto quanto è stato fatto a giustificazione dell’ipotesi di sperimentazione clinica e su un protocollo dettagliato che stabilisca come deve essere condotto l’esperimento.

Tutte queste regole, che valgono anche per tutti i farmaci, non sono il frutto di un gruppo di burocrati che vogliono complicare la vita, ma il risultato di decenni di miglioramenti della qualità della sperimentazione per proteggere la salute e i diritti degli ammalati.

Quanto di tutto ciò è stato fatto da Stamina per giustificare la sperimentazione richiesta - senza alcuna competenza scientifica - da parte del Parlamento? Nulla! È chiaro perciò che la Commissione istituita dal Ministro della Salute che doveva valutare il protocollo non potesse che esprimere un parere completamente negativo.

Per ragioni formali il TAR del Lazio ha rigettato il provvedimento, ma qualsiasi altra Commissione non potrà che giungere alle stesse conclusioni, dato che manca qualsiasi presupposto per poter autorizzare un protocollo, che peraltro viene mantenuto segreto, come pure inspiegabilmente si continua a mantenere segreto il rapporto della Commissione. Alla faccia della trasparenza che tutti invocano!

Tuttavia, si dice: ma, in fondo, si chiede un trattamento “compassionevole”. Il termine compassionevole non è lasciato alla libera interpretazione, ma è ben definito. Un prodotto può essere oggetto di uso compassionevole in casi eccezionali, quando cioè sia stato già sottoposto con successo a una sperimentazione nelle more di un’autorizzazione dell’Ente regolatorio. In altre parole, il prodotto deve avere già dimostrato un rapporto benefici-rischi favorevole e il produttore deve aver già depositato una domanda di autorizzazione per quel nuovo impiego clinico. Il che non è assolutamente il caso di Stamina.

Purtroppo tutta la storia di Stamina che dura da qualche anno è il frutto di disinformazione: si strumentalizza la disperazione delle famiglie che hanno un bambino affetto da una malattia incurabile e l’emotività dell’opinione pubblica che è inevitabilmente orientata a sperare che le cellule staminali abbiano successo. Purtroppo le cellule staminali sono state ampiamente e colpevolmente pubblicizzate come panacea universale anche da molti ricercatori, oltre che ovviamente dai soliti profittatori.

È sorprendente tuttavia come non si possa ragionare con un po’ di buon senso. Anzitutto, come si può pensare che un prodotto possa essere attivo su tutte le malattie più disparate? In un’epoca in cui la ricerca stabilisce che i pazienti con la stessa malattia debbano avere trattamenti diversi perché ciò che appare con sintomi analoghi può essere frutto di cause diverse, come è possibile sperare ancora in un rimedio universale? Sembra di essere tornati indietro nel tempo all’epoca degli elisir!

In secondo luogo, com’è possibile che, a parte quanto accade in Paesi con scarse regole etiche, il problema si ponga solo in Italia? Francia, Germania, Inghilterra, Stati Uniti, per citare solo alcuni Paesi industrializzati, non solo non vogliono avere a disposizione le cellule di Stamina, ma ridono della nostra creduloneria. Se ci fosse un briciolo di razionalità, si potrebbe riflettere sul fatto assai singolare che siano solo gli italiani a pretendere questo prodotto.

In terzo luogo, non esiste farmaco in circolazione di cui non sia nota la composizione, mentre la preparazione di Stamina è segreta e continua a rimanere tale, perché la richiesta di brevetto è stata rigettata dagli Stati Uniti, mentre è stato appurato che la composizione dei prodotti Stamina è una miscela mal definita di cellule e detriti. Infine, è mai possibile che tutti i ricercatori italiani e stranieri, specialisti del settore, siano contrari a Stamina per partito preso come se non avessero a cuore l’interesse degli ammalati? Forse queste considerazioni possono essere utili per evitare che dopo Di Bella, lo scorpione azzurro e Stamina arrivino altre ciarlatanerie che pretendono senza alcuna base scientifica una sperimentazione clinica. 

*Silvio Garattini è il direttore dell'Istituto di ricerche farmacologiche "Mario Negri"