Viktor Mayer-Schönberger: "Nell'era dei Big Data dimenticare è fondamentale"
L'esperto di Internet spiega perché le grandi quantità di dati sul web possono aiutarci a vivere meglio. E dice la sua anche su privacy e diritto all’oblio
Avere la capacità di guardare il futuro, quando questo si sta già verificando, spiegarne i meccanismi e le dinamiche, non è semplice.
È un po’ lavoro da visionari. Viktor Mayer-Schönberger è sicuramente una persona che il futuro lo studia, lo osserva molto da vicino. Docente di Internet Governance all’Università di Oxford, gira il mondo raccontando la sua interpretazione del futuro, quello “presente” e quello prossimo. Ha pubblicato lo scorso anno un libro “Big Data” scritto a quattro mani con Kenneth Cukier, che ben descrive questa epoca in cui i dati, le grandi quantità di dati, possono aiutarci a vivere meglio. Gli abbiamo chiesto di parlarci di questo ma anche il suo parere su temi correlati come la Privacy ed il diritto all’oblio.
Lei ha affermato che dimenticare è fondamentale pel l’uomo e per la società; altro aspetto della questione è il “diritto all’oblio”, due facce della stessa medaglia… Quando, nel 2009, scrissi “The Virtue of Forgetting” il tema centrale era che dimenticare svolge un’importante compito per l’essere umano e per la società, perché dimenticare e perdonare sono interconnessi così che, se non potessimo dimenticare, avremmo difficoltà a perdonare gli altri ed a perdonare come società. Ma dimenticare svolge anche un’altra importante funzione: mantenere la nostra memoria “pulita” dalle informazioni che non sono più rilevanti per noi, consentendoci di concentrarci sul presente e guardare avanti, al futuro.
La questione legale del “diritto all’oblio” non risolve il problema del ricordare e del dimenticare, ma avvia una discussione, un dibattito, nella società e questo è molto importante. Migliaia e migliaia di giovani scelgono oggi Snapchat oltre che Facebook (Snapchat è una piattaforma social digitale che consente la cancellazione automatica dei contenuti - ndr) perché essi comprendono l’importanza del dimenticare. In questo senso la Corte di Giustizia Europea che lo scorso maggio con una sentenza ha imposto a Google la de-indicizzazione delle informazioni per chi ne facesse richiesta e ne avesse diritto, ha avviato una discussione nella nostra società che è molto importante ma penso che un mero “diritto”, da solo, non possa risolvere il problema.
In relazione a Google ed a quella sentenza, qualche giorno fa il prof. Luciano Floridi, suo collega all’Università di Oxford e membro del Google Advisory Council on theRight to be Forgotten ha scritto sul Guardian che sarebbe meglio spostare sugli editori la responsabilità della rimozione / deindicizzazione dei contenuti. Che ne pensa? Personalmente ritengo che questo non sia corretto. Non funzionerebbe e creerebbe molti più problemi alle persone rispetto alla situazione attuale. Penso che nella nostra società occidentale abbiamo un principio: coloro che detengono molto potere devono anche accettarne la responsabilità. Google ha un enorme potere e deve farsi carico di alcune responsabilità e non tentare di scaricarle su altri.
In quasi cinque mesi Google ha ricevuto oltre 150.000 richieste di deindicizzazione, accettandone, secondo la propria discrezione, circa il 41%. È Google il nuovo “arbitro” della vita delle persone? Non dovrebbe essere una istituzione o un ente governativo (in questo caso della stessa UE) a valutare le richieste e decidere? Penso che, quando la Corte di Giustizia Europea ha normato la questione lo scorso maggio, essa immaginasse che Google avrebbe accettato molte meno richieste, magari il 10% o il 5% o forse solo l’ 1%. In tal modo moltissime persone avrebbero fatto ricorso alla Corte o alle Autorità di Garanzia sui Dati Personali per ottenere chiarezza e questo avrebbe creato di fatto un insieme di regole su come applicare questo diritto. Invece Google ha accettato moltissime richieste e questo senza rendere trasparenti le regole sul come decideva in merito a quali richieste erano ammissibili e quali no. Questo mina un principio fondamentale di giustizia. Se una società decide di concedere ad un’impresa privata di prendere decisioni di tale enorme impatto, il minimo che dovrebbe aspettarsi è che questa impresa renda trasparenti le regole basilari con cui ha preso le decisioni.
È realmente possibile, nell’era dei “Big Data”, dimenticare qualcosa? Si. È possibile perché nell’era dei Big Data dimenticare è di importanza fondamentale. I Big Data possono affermare la propria forza solo se i dati utilizzati sono rilevanti. Immaginiamo che Amazon usasse dati non più rilevanti per me, per suggerirmi l’acquisto di prodotti, come il mio vecchio lavoro, la mia precedente fidanzata, acquisterei mai quei prodotti? No. Per fare questo hanno bisogno di dati aggiornati, “rilevanti”. Tutti hanno bisogno di dati aggiornati e rilevanti e questo significa che i dati “irrilevanti” debbono necessariamente essere cancellati.
Molte persone condividono le loro vite sui social network , spesso rinunciando alla privacy. Cosa consigliare loro? Penso che 5 anni fa non c’era molta scelta: se volevi condividere qualcosa su una piattaforma social, dovevi usare Facebook. Ma oggi c’è da scegliere. Con Snapchat, ad esempio, che ha centinaia di milioni di utenti ogni mese, adesso è possibile scegliere se qualcosa deve essere dimenticato o ricordato. Se voglio pubblicare un buon voto a scuola o un premio, o il superamento di un esame, allora sceglierò di usare Facebook; ma se ho una foto di una festa di ieri nella quale sembro un po’ brillo, allora la metterò su Snapchat.
Questo è scegliere. Per questo è necessario che vi sia una scelta e che le persone capiscano che possono scegliere. Le nuove generazioni sono sensibili a questo problema, come dimostra un sondaggio di alcuni anni fa negli USA, nel quale si intervistavano le persone in relazione alle loro aspettative sulla privacy in rete: ebbene le percentuali di ultrasessantenni e quelle degli adolescenti che chiedevano un “diritto all’oblio” erano praticamente identiche.
Lei ha affermato che fin quando non si progredirà nell’utilizzo dei “Big Data”, la libertà individuale sarà minata dall’emergenza, come nell’immagine distopica di futuro presentata dal film “Minority Report” dove la polizia usava i dati per prevedere i crimini che dovevano ancora essere commessi. Cosa intende? Viviamo in una società che continuamente tenta di ridurre il “rischio”, rischio per la società, rischio per gli individui. Alle persone non piace il rischio. Per questo noi vogliamo predire il futuro per poter essere sicuri e proteggerci dal rischio e, con i Big Data, noi possiamo prevedere i comportamenti umani. Predire i comportamenti negativi e fermarli prima che si verifichino, che è l’idea espressa nel film Minority Report: fermare l’assassino prima che commetta l’omicidio. In questo momento, negli Stati Uniti, questo già accade. In 30 stati di quel paese la decisione se porre un detenuto in libertà vigilata dopo aver scontato una pena definitiva è guidata in parte da una approfondita analisi dei dati per ipotizzare se quella persona commetterà reati nei successivi dodici mesi.
Ma l’analisi dei Big Data non è quindi solo semplice analisi statistica .. Infatti. I Big Data richiedono specializzazioni statistiche specifiche, capacità di maneggiare, raccogliere e selezionare enormi quantità di dati; specialisti in visualizzazioni in quanto molti programmi statistici non funzionano bene con enormi, set di dati multi-dimensionali. Inoltre avremo bisogno in futuro, per l’analisi dei dati, di persone con un addestramento “etico”, in grado di comprendere i vincoli e le limitazioni dei Big Data, che siano in grado di comprendere cosa accade agli individui ed alla società con l’analisi di questi dati e abbiamo bisogno di loro più in generale per capire che la tecnologia non è mai neutrale, e non esiste mai da sola, è essa stessa plasmata dalla società. Quindi la tecnologia non è mai un osservatore puramente neutrale del nostro mondo. Così, ancora una volta, abbiamo bisogno di esseri umani che siano curiosi, bene informati, creativi, e che siano umili.