Un milione di persone in più ogni 4 giorni e mezzo. Così entro fine secolo ci sarà troppa gente. È la conclusione di un grande rapporto. Che ribalta le previsioni. E spiega cosa accadrà 

Se il mondo vi sembra troppo affollato, sappiate che dovremo rassegnarci a stingerci ancora. La popolazione globale continua a crescere al ritmo di un milione di persone ogni quattro giorni e mezzo. E al contrario di quel che si credeva, non sembra affatto destinata a stabilizzarsi. Anzi, è molto probabile che entro fine secolo a sgomitare sul pianeta saremo 11 miliardi, quattro miliardi in più di oggi.

Sono le sorprendenti conclusioni del più accurato studio sulla crescita demografica mondiale, appena pubblicato sulla rivista scientifica “Science”. Basato su una sofisticata analisi dei dati raccolti dalle Nazioni Unite, è stato realizzato da un team internazionale di ricercatori guidati da Adrian Raftery, professore di sociologia e statistica all’università di Washington. E in sostanza afferma che c’è una probabilità dell’80 per cento di ritrovarsi entro la fine del XXI secolo con una popolazione umana fra 9,6 miliardi e 12,3 miliardi di individui.

Queste previsioni smentiscono l’ipotesi finora più accredita, ossia che la popolazione avrebbe raggiunto un picco intorno ai nove miliardi nel 2050 per poi stabilizzarsi o addirittura calare. Secondo Raftery e colleghi, invece, continueremo a crescere per tutto il secolo, e probabilmente anche oltre, superando gli 11 miliardi entro il 2100.
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Una bella gatta da pelare perché questa inattesa bomba demografica rischia di esacerbare molti dei grattacapi attuali. Come ripete spesso il celebre naturalista David Attenborough: «Non s’è mai visto un problema che non sarebbe più facile risolvere se ci fossero meno persone». E secondo gli stessi autori dello studio, una crescita così rapida rappresenta una seria minaccia per l’ambiente, la sicurezza alimentare, la salute globale e perfino per la coesione sociale.

Nel reportage “Conto alla rovescia” (pubblicato da Einaudi) il giornalista americano Alan Weisman racconta come cambierà il mondo se l’umanità si ostinerà a crescere ai ritmi attuali. In cima alla lista delle preoccupazioni c’è l’impatto della popolazione sugli ecosistemi e sulle risorse naturali da cui dipendiamo, destinato inevitabilmente ad aumentare. «Popolazione e consumi sono i due fattori principali a gravare sull’ambiente, e già oggi con 7,2 miliardi di persone esercitiamo una pressione insostenibile», spiega Weisman: «Non c’era tanta CO2 in atmosfera da tre milioni di anni, quando i mari erano più alti di 30 metri. Gli oceani, che assorbono la maggior parte del calore, diventano sempre più acidi, avvicinandosi a livelli sconosciuti all’umanità e agli organismi alla base della catena alimentare».
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Purtroppo, a sua volta, la febbre planetaria inciderà in modo negativo sulle rese agricole. Racconta Weisman: «L’Accademia nazionale delle scienze statunitense afferma che per ogni grado in più nella temperatura globale i raccolti di grano caleranno del 10 per cento, proprio quando avremo bisogno di più cibo che mai per nutrire una popolazione in crescita. Gli scienziati che lavorano nei laboratori dove nacque la Rivoluzione verde mi hanno spiegato che nei prossimi cinquant’anni dovremo produrre più cibo di quanto ne abbiamo consumato nell’intera storia dell’umanità. E nemmeno loro sanno come potremo riuscirci».

Da quando a fine Settecento il reverendo Thomas Malthus – oggi considerato il padre della demografia – si accorse che nella sua chiesa del Surrey si celebravano molti più battesimi che funerali, il timore che la popolazione cresca troppo rapidamente rispetto alle risorse alimentari si è riproposto più volte. Finora ce la siamo cavata grazie alla deforestazione, per far spazio alle colture intensive, e all’uso massiccio di antiparassitari e fertilizzanti chimici, per migliorare le rese agricole. Due strategie però ecologicamente insostenibili, destinate a scornarsi con i limiti fisici di un pianeta che, a differenza della popolazione umana, non si espande.

Spiega Weisman: «L’andamento della popolazione globale nell’ultimo secolo è una linea retta che schizza verso l’alto. Chiunque sia vivo oggi è nato nel mezzo di quella linea e perciò pensa che l’affollamento e un’espansione senza fine siano normali. Ma non lo sono affatto. Batteri a parte, facciamo parte di una delle più incredibili esplosioni demografiche della storia biologica, permessa soprattutto dai dopanti chimici che usiamo in agricoltura, senza i quali saremmo da cinque a sette volte meno».

Tutto questo ha un costo ambientale spaventoso: l’agricoltura moderna che ha permesso all’umanità di quadruplicare nel corso del Novecento divora enormi quantità di energia, prosciuga oltre il 90 per cento delle risorse idriche, è responsabile di un terzo dei gas serra di origine antropica, inquina fiumi, laghi e falde acquifere, e ormai occupa il 40 per cento delle terre emerse non coperte dai ghiacci, al punto che scartando deserti, montagne, tundre, foreste e città, non avanza granché da poter coltivare. È evidente che sarà difficile proseguire a lungo su questa strada per nutrire una popolazione in continuo aumento.
I demografi temono al contrario che la scarsità di risorse porterà all’intensificarsi dei conflitti per accaparrarsele. Una situazione esplosiva soprattutto nelle regioni più povere del pianeta, dove sottonutrizione, carenza d’acqua potabile e sistemi sanitari al collasso sono già problemi diffusi. Mentre infatti nei Paesi a economia avanzata i tassi di natalità sono da tempo in calo ,oggi a premere sull’acceleratore demografico è soprattutto l’Africa sub-sahariana, dove la popolazione rischia di passare dal miliardo odierno a tre o addirittura a cinque nel 2100. Nella sola Nigeria, la nazione più popolosa del continente, al ritmo di sei figli per donna gli abitanti saliranno da 200 milioni a 900 milioni, quasi il doppio dei cittadini dell’Unione europea. Nessuno sa come potranno essere sfamati.

Anche il caso del Ruanda è emblematico. Pur essendo una nazione in rapida crescita economica, la sovrappopolazione incombe come una spada di Damocle sulla stabilità sociale. L’80 per cento dei ruandesi vive di agricoltura, e con una densità abitativa di oltre 400 persone per chilometro quadrato (come quella dell’Olanda) non c’è zolla che sia rimasta incolta. Eppure i raccolti non bastano, costringendo il Paese a importare molti alimenti, mentre deforestazione e colture intensive hanno impoverito il suolo a tal punto che persino mantenere le rese attuali non sarà scontato. Occorre infine fare i conti con un tasso di natalità di cinque figli per donna che farà raddoppiare i ruandesi entro il 2050. A quel punto basterà una siccità per causare una catastrofe maltusiana.

L’unica speranza di arrestare questo vertiginoso aumento della popolazione è facilitare l’accesso ai contraccettivi e lasciare alle donne il controllo del proprio corpo. Ovunque le donne possono scegliere liberamente quanti figli mettere al mondo, il tasso di natalità diminuisce. E questa libertà, a sua volta, è garantita dall’accesso all’istruzione. In qualsiasi Paese, ricco o povero, la maggior parte delle ragazze che completano gli studi secondari non ha più di due figli. In Iran, a sorpresa, senza alcuna costrizione l’equilibrio demografico è stato raggiunto più in fretta che in Cina con la politica del figlio unico.

L’odierna crescita demografica, tuttavia, si deve anche alla più lunga aspettativa di vita che ormai coinvolge anche le nazioni emergenti. Gli autori dello studio pubblicato da “Science” avvertono che entro fine secolo il problema dell’invecchiamento della popolazione non riguarderà più solo l’Europa o il Giappone, ma anche giganti come Brasile, India e Cina. Se per il welfare non sembra una buona notizia, per le sorti del clima, al contrario, potrebbe esserlo. Secondo un’analisi fatta dall’Istituto per la ricerca demografica del Max Planck di Rostock, infatti, “grey is green”: dopo i sessant’anni si viaggia di meno e così le emissioni pro capite di gas serra degli anziani diminuiscono del 20 per cento.

Caduta a lungo nel dimenticatoio, la questione demografica sembra destinata a irrompere nuovamente nell’agenda internazionale. E potrebbe diventare anche uno stimolo per costruire un mondo migliore. Weisman annota che: «le tecnologie per contenere il tasso di natalità esistono e sono economiche: con una spesa di poco superiore a 8 miliardi di dollari all’anno – giusto il doppio di ciò che spendiamo oggi – possiamo offrire anticoncezionali a chiunque desideri farne uso. Combinando la pianificazione famigliare con politiche che facilitino l’accesso universale delle donne all’istruzione, la sfida demografica può essere vinta. E avremo costruito anche un mondo più giusto, sostenibile e sicuro».