Una grande temporanea al Museo Marmottan Monet espone fino a luglio molti capolavori provenienti da collezioni private. E spesso mai esposti prima

La passione per l’arte e il gusto di collezionare. Nascono così le grandi collezioni private, che, oltre a garantire la fortuna di chi le possiede, contribuiscono a tramandare la storia dell’arte attraverso opere cariche di valenze artistiche ma anche di ricordi privati. Molto spesso infatti quadri e sculture conservano la traccia invisibile del legame profondo che unisce l’artista al collezionista che ha creduto in lui. E proprio a questo legame segreto ed essenziale rende omaggio una bellissima mostra intitolata “Les Impressionnistes en privé” (aperta fino al 6 luglio) che a Parigi, nei sontuosi spazi del Museo Marmottan Monet, propone cento straordinari capolavori dell’impressionismo tutti appartenenti a collezionisti privati.
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Si tratta di opere inestimabili di Manet, Monet, Renoir, Pissarro, Degas, Sisley, Cézanne, Morisot, Caillebotte e diversi altri, che consentono di ricostruire tutta l’avventura della corrente artistica emersa nella seconda metà del XIX secolo. Soprattutto quadri, ma anche acquarelli, litografie, disegni che solo in rarissime occasioni hanno lasciato il chiuso delle stanze in cui sono stati sempre gelosamente conservati. Alcune di queste opere sono state esposte in pubblico per l’ultima volta sessanta o settant’anni fa, mentre per altre la mostra parigina è addirittura la prima occasione in assoluto di vederle dal vero. È il caso ad esempio di “Sulla passeggiata” di Trouville, “Hotel des Roches Noires” di Monet, “Ballerina a riposo” di Degas, “Prato sul bordo della Senna” di Sisley o “Vista di Meudon dal Pont de Sèvres” di Jongkind. Insomma un’occasione imperdibile per tutti gli ammiratori dell’impressionismo.

Non è casuale che un’esposizione come questa sia stata allestita proprio al Museo Marmottan Monet. La prestigiosa istituzione, infatti, deve tutto alla generosità dei collezionisti, primo fra tutti Paul Marmottan, che alla sua scomparsa, nel 1932, lasciò all’Accademia di Belle Arti, oltre alla sua collezione di quadri e oggetti, lo splendido edificio - un padiglione di caccia appartenuto al duca di Valmy - che oggi è sede del museo. A quella prima donazione se ne sono poi aggiunte altre. Nel 1957 Victorine Donop de Monchy, la figlia di Georges de Bellio, il medico amico degli impressionisti, ha lasciato al museo tutti i suoi quadri, tra cui “Impressione. Levar del sole”, la celebre tela dipinta da Monet nel 1872, da cui gli impressionisti hanno poi tratto il loro nome. Più tardi Michel Monet, con la donazione di tutta l’imponente collezione privata del padre, ha permesso al museo parigino di costituire il primo fondo al mondo delle opere del più famoso degli impressionisti.

«Per celebrare gli ottant’anni della nascita del museo, abbiamo voluto sottolineare l’importanza delle collezioni private, ricordando l’entusiasmo di uomini e donne che condividono con noi l’amore per l’arte», spiega Marianne Mathieu, la vicedirettrice del museo, che, insieme a Claire Durand-Ruel Snollaerts, ha curato la mostra. «Il legame tra i collezionisti privati e l’impressionismo è fondamentale. Acquistando le loro tele, sono loro che hanno permesso ai pittori di sopravvivere e continuare a dipingere nonostante la condanna senza appello del mondo dell’arte ufficiale». In effetti, fin dalla prima mostra collettiva nell’atelier del fotografo Nadar, nel 1874, le critiche nei confronti degli impressionisti furono feroci: «I loro quadri all’epoca scandalizzano il pubblico. Soprattutto per la loro tecnica che sembra imprecisa e incompiuta. Il tratto e il tocco del pennello restano visibili, mentre scompaiono il disegno e il contorno che erano considerati lo scheletro dell’opera d’arte classica. Gli impressionisti, inoltre, rifiutano i temi storici, la dimensione narrativa e la gerarchia dei generi, privilegiando i paesaggi, come pure le scene della vita moderna e familiare. Tutte infrazioni allo stile accademico che per i critici dell’epoca sono intollerabili».

Tra i primi collezionisti fedeli e lungimiranti su cui possono contare Monet e i suoi amici figura Gustave Caillebotte, il pittore proveniente da una famiglia facoltosa che si unisce al gruppo nel 1876.

Sarà lui a finanziare la mostra del 1877, la prima in cui verrà utilizzato il termine “impressionisti” per caratterizzare la dimensione comune del loro lavoro e sottolineare la distanza incolmabile che li separa dalla pittura dei Salons parigini. Caillebotte - di cui la mostra presenta diverse tele, tra cui alcune notevoli vedute di Parigi - ebbe l’idea di organizzare la nuova esposizione collettiva in un appartamento vuoto della rue Pelletier, nel cuore del quartiere dei Grands Boulevards dove stava sorgendo la Parigi hausmanniana delle nuove classi privilegiate. Così facendo, gli impressionisti sembrano quasi rivolgersi direttamente ai potenziali acquirenti delle loro tele, dimostrando, come scrive Richard R. Brettel nel bel catalogo della mostra (edizioni Marmottan/Hazan), di non fare più «dell’“arte per l’arte”, ma dell’arte per il mercato dell’arte». Per sostenere economicamente i suoi amici, Caillebotte ne acquista i quadri, creando così la prima grande collezione della pittura impressionista. Alla sua morte, nel 1894, la lascia allo Stato francese, che però non apprezza per nulla quelle tele così poco accademiche, tanto che alla fine ne accetta solo una trentina sistemandole un paio di anni dopo al Musée du Luxembourg. 

Caillebotte naturalmente non è il solo a sostenere l’impressionismo. Tra i primi ammiratori delle opere di Monet, Rodin, Degas, Sisley e Pissaro figurano il critico Theodore Duret, l’editore Georges Charpentier, il funzionario delle dogane Victor Choquet, come più tardi i fratelli Bernheim o Ambroise Vollard. Senza dimenticare il medico de Bellio, la cui straordinaria collezione è poi finita proprio al museo Marmottan.

Sono però estimatori isolati in una Francia che per lo più continua a mostrarsi indifferente al lavoro degli  impressionisti. I riconoscimenti arriveranno invece dall’estero e in particolare dagli Stati Uniti dove, a partire dal 1885, l’interesse per le loro tele non fa che crescere. Artefice del successo oltre atlantico fu il gallerista Paul Durand-Ruel, che nel 1886 aprì a New York una succursale della sua galleria parigina, da dove transiteranno moltissimi quadri destinati ai grandi collezionisti di New York, Boston e Chicago.

Il successo fu talmente grande, che per molto tempo circolò la leggenda che a scoprire gli impressionisti fossero stati i collezionisti americani. Il che naturalmente non è vero, ma comunque da quel momento in poi le tele del gruppo andarono a ruba e le loro quotazioni non smisero di crescere. E non è un caso che, mezzo secolo dopo, i quadri di Monet e Renoir delle collezioni private fossero tra le prede più ambite dei gerarchi nazisti, come ricorda anche “Monuments men”, il film di George Clooney che rievoca le gesta dei soldati americani impegnati a recuperare le opere d’arte sottratte dagli uomini di Hitler ai collezionisti ebrei di tutta Europa. Un successo, quello degli impressionisti, senza tempo, come confermano le lunghe code davanti al museo parigino, dove accorrono ogni giorno tantissimi visitatori desiderosi di ammirare questa raccolta di opere bellissime e rare. n