Gli adulti scomparsi, l’educazione distrutta. I bambini perdono l’infanzia, ma i grandi si pensano giovani. L'analisi di Francesco Cataluccio, tra l'Isola che non c'è e Hogwarts, dove il maghetto volta le spalle alla spensieratezza e accetta le proprie responsabilità

Ci avete fatto caso? Il Novecento si apre con “Peter Pan” - l’opera che avrebbe reso famoso James M. Barrie, crudele, problematica, adulta, lontanissima dalla sua forma disneyana è del 1904 - e si conclude con “Harry Potter”. La saga del maghetto comincia nel 1997 e finisce nel 2007. Cent’anni di immaturità». ?Non è un caso che a Francesco Matteo Cataluccio siano venuti in mente due estremi così evidentemente simbolici: ha curato il testo teatrale di Barrie, si è messo in coda con la figlia per comprare l’ultima avventura di Harry allo scoccare della mezzanotte, e nel 2004 ha scritto un saggio di grande successo, “Immaturità.” (Einaudi), appena ripubblicato in versione aggiornata. Per inciso, i librai raccontano di averlo venduto a molte donne che lo regalavano ai loro uomini, disperatamente acerbi.

Da questo insieme di stimoli e riflessioni che hanno preso forma mentre le rose inglesi fiorivano sul suo terrazzo di Milano, è nato l’intervento che Cataluccio presenterà il 29 agosto all’XI Festival della Mente di Sarzana: “L’epidemia di immaturità: da Peter Pan a Harry Potter”. Lui spiega: «Non amo il genere fantasy, ma bisognerebbe fare un monumento a Joanne K. Rowling: i suoi romanzi sono la risposta a Peter Pan».

In che senso?
«Nel senso della lotta all’immaturità. Peter fugge, non vuole diventare come i suoi genitori e rifiuta di crescere. Harry invece va a scuola, ha esempi di adulti positivi, il preside Albus Silente, gli insegnanti, accetta le sfide, combatte contro il Male e alla fine lo sconfigge, ma lottando si accorge che il Male è prima di tutto dentro se stessi. Il Novecento è anche il secolo della psicanalisi. Maturità significa vedere in noi gran parte delle cause del malessere. Non è sempre colpa degli altri. Harry capisce che il nemico Voldemort è un po’ anche lui. Dobbiamo ringraziare la Rowling perché ha introdotto in una saga tanto popolare una verità dalla quale possiamo emanciparci».
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Perché l’immaturità è un problema tanto profondo?
«Perché gli adulti sono scomparsi, come le lucciole e le mezze stagioni. In giro si vedono bambini costretti ad abbandonare l’infanzia prima del tempo e vecchi che non vogliono esserlo. La gioventù non è più una condizione biologica ma culturale, definita da consumi, comportamenti, abbigliamento e linguaggio. Bisogna “pensare giovane”, essere tecnologici, non perdersi l’ultimo social network, l’ultima app. Ha preso il sopravvento il mito di una vita priva di riflessione, una vita-giocattolo, dove tutto è a portata di mano. Peter Pan non ha introspezione».

Però è anche un modello politico-esistenziale, alternativo al sistema. “You can fly”, puoi volare, la canzoncine del film Disney, è l’esaltazione dello slancio. Il contrario del borghesissimo “stare con i piedi per terra”.
«Attenzione, la fanciullezza ha anche un volto demoniaco. Lo vediamo nel romanzo “Il signore delle mosche”, di William Golding, Nobel per la letteratura. Un gruppo di collegiali inglesi in gita all’estero sopravvive a un incidente aereo, e finisce su un’isola deserta, che non è quella dei reality. Grattata la patina della civiltà e dell’educazione, i ragazzi regrediscono allo stato primitivo, si trasformano in un’orda tribale che pratica riti di violenza e di morte e adora una testa di maiale brulicante di mosche. La legge della giungla riesplode. È così che si scatenano le guerre, in nome di quella naturalità che tanto piaceva a Gabriele D’Annunzio e ai futuristi. Mussolini, Hitler e Stalin, sostiene il filosofo Paul Virilio, sono gli interpreti dell’ultimatum apocalittico della gioventù in lotta contro l’irreversibilità del tempo. I sogni di liberazione hanno prodotto dittature e sistemi repressivi paramilitari. Il progresso tecnologico perfeziona la rivoluzione giovanilistica dell’Ottocento, ma non va di pari passo con quello morale e si lascia dietro un’umanità per sempre adolescente».

Quindi Peter Pan è ovunque?
«Sì. È nelle canzonette, da Patty Pravo a Edoardo Bennato, da Lou Reed a Enrico Ruggeri. Ha avuto la sua incarnazione in Michael Jackson e nella sua Neverland (abbiamo visto poi quanta angoscia nascondeva la reggia fatata, paradiso dei bambini) resiste nel sogno infantile del terrorismo, nella guerra (la maturità significa diplomazia), nell’impoverimento linguistico, nei manga giapponesi, nell’omogeneizzazione televisiva. Non che la televisione sia colpevole: i suoi miti sono più forti perché la scuola è debole».

Un problema di educazione?
«La macchina che costruisce la maturità dei cittadini è la scuola, che non deve insegnarti a diventare ricco ma a esercitare il pensiero critico. Oggi il terreno dell’educazione è stato completamente abbandonato. Gli insegnanti sono stati deprezzati e umiliati. Un tempo i professori avevano ragione per principio. Con l’ingresso dei genitori nella scuola, il loro lavoro è stato considerato un servizio, che sono i genitori a pagare. Il tema della crescita si è legato insolubilmente a quello del guadagno e abbiamo dimenticato che l’istruzione non deve essere finalizzata al lavoro ma all’acquisizione di un metodo che ti permetta di affrontare le difficoltà della vita».
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Oggi i modelli culturali passano attraverso la televisione, la rete, i social e mille altri canali di comunicazione. Non dovrebbe essere un arricchimento, uno stimolo per la crescita umana e personale?

«La televisione, che è uno strumento fantastico per la diffusione del sapere, sostiene e perpetua l’immaturità. Trasmette valori semplici, elimina le sfumature. Possiede l’enorme capacità di raccontare e controllare la creazione di storie. Bianco o nero, tutto è soap. La guerra arabo-israeliana sembra uno scontro fra tifoserie. Il culto del corpo è la celebrazione di una forma nella quale tutti dovrebbero vivere perennemente. Un paese con cittadini immaturi non ha futuro, indipendentemente dalle infinite possibilità di comunicare. Lo vediamo nell’economia: nessuno capisce niente. Per spiegare quello che succede si inventano le forze oscure, i poteri forti, il complotto dei banchieri, come se ci trovassimo in un indecifrabile Medioevo. Queste espressioni attraversano la politica, rimbalzano moltiplicate dal web. Il risultato è un comportamento irrazionale, altro che crescita personale e collettiva».

E i padri? Che fine hanno fatto?
«Si sono indeboliti, dissolti. Le due guerre mondiali hanno consacrato la loro assenza. La figura di riferimento è diventata la madre, che però non è più Penelope. Telemaco cerca Ulisse, che resta una figura forte pur non essendoci, perché la madre ha tenuto vivo l’amore. Pensa a lui come alla speranza di riportare la legge a Itaca. Oggi abbiamo padri bamboccioni non molto diversi dai loro figli. Il livello di comunicazione più profondo che riescono a stabilire è una partita a pallone. Non sono credibili come genitori, perché non lo sono come esseri umani. Il ragazzo che resetta il telefono al padre acquista nei suoi confronti il ruolo di padre. Il gap tecnologico diventa una sorta di minorità. E la volontà ansiosa di essere cittadini del mondo digitale, pur legittima, nasconde l’idea di un appiattimento sulla giovinezza. Che cosa chiediamo alla Rete, che cosa invochiamo con le nostre connessioni, immersi nel fiume di migliaia di foto e messaggi? Un eterno presente, una fuga dal tempo».

Da chi sono stati sostituiti i padri?
«Dall’inconscio collettivo riaffiorano identità maschili più primitive. Ricompaiono, come nelle antiche razzie, gli stupri di gruppo. Si torna all’istinto puro. Il giovane non ha più come riferimento il maschio della generazione precedente, ma i coetanei. Imita il compagno frivolo e godereccio. L’analista junghiano Luigi Zoja l’ha chiamato il «complesso di Lucignolo», si capisce perché. Pinocchio lo trovava molto più interessante del noioso padre Geppetto e del Grillo Parlante. Come sempre la realtà è complessa e non ha uno sviluppo lineare. L’immaturità ha facce nascoste. I “Neets” (“Not engaged in Employment, Education or Training”: “non impegnati in lavoro, studio o tirocinio”) sono milioni. Si chiudono in casa, vivono al computer, hanno stabilito qual è il perimetro del loro mondo. Altri milioni riducono il loro orizzonte a progetti minimi, al tempo presente (anche linguisticamente chi usa più il passato remoto, il trapassato prossimo?) e navigano sull’onda di un blando narcisismo».

Perciò Harry Potter è un buon esempio?
«Direi proprio di sì. Aveva un padre moderno e immaturo, ucciso a vent’anni da Voldemort. Orfano come Peter Pan, Harry volta le spalle alla spensieratezza e, un passaggio dopo l’altro, quasi una sorta di iniziazione, accetta le proprie responsabilità. Comprende l’intelligenza delle donne (Hermione), trova l’equilibrio diventando padre a sua volta».

Se dovesse sintetizzare il suo discorso in una sola immagine?
«Sarebbe l’ultima scena di “Full Metal Jacket” di Stanley Kubrick (1987). Un plotone di marine, dopo un massacro in Vietnam, torna al campo, mitra a tracolla, cantando l’inno di Topolino. Altra creatura del Novecento, supremo eroe dell’immaturità».

In che tempo siamo oggi?
«Nel tempo del forse».