I siti web di metereologia sono ormai un grande affare dai risultati economici di tutto rispetto. Perché gli italiani disposti a partire senza prima aver dato uno sguardo al tempo in Rete sono davvero pochi. E pazienza se l'accusa ricorrente è “previsioni terroristiche”
Più che elaborazioni scientifiche spesso sembrano oroscopi. Con una passione per annunciare sciagure. In quest’estate di temporali e allagamenti, promettono quasi sempre il peggio. Anche quando poi trionfa il sole. La pioggia c’è, ma di disdette. Che ha colpito le spiagge romagnole liguri nelle scorse settimane. Così le associazioni locali e regionali degli albergatori hanno scritto un infuocato appello contro quello che hanno definito il «meteo-terrorismo», prefigurando azioni legali. Obiettivo degli strali, le previsioni meteorologiche spesso imprecise ed eccessivamente drammatiche, che con i loro toni allarmistici spaventano il turista e si traducono in cancellazioni alberghiere.
I danni sono pesanti, come conferma Alessandro Lepri, ricercatore di Trademark Italia, la società che si occupa dell’Osservatorio Turistico per conto della Regione Emilia Romagna: «Più di due italiani su 10 che vogliono passare un weekend fuori casa vengono scoraggiati dalle previsioni meteo negative. E per ogni errore ipotizziamo un mancato arrivo sulla Riviera dell’Emilia Romagna di 33.600 persone al giorno con una perdita di circa tre milioni di euro». La crisi inoltre ha reso l’impatto delle nubi imminenti ancora più incisivo: gli italiani a corto di soldi concentrano i soggiorni e non sono disposti a correre il rischio di passare dall’ombrellone all’ombrello.
Stando a Lepri gli errori sono aumentati nelle ultime due-tre stagioni. Un vero guaio, perché ormai i turisti che programmano le loro vacanze senza cliccare compulsivamente sulle centinaia di siti prima della partenza si contano sulle dita di una mano. Almeno in Italia, infatti, il meteo online tira più del porno: secondo Alexa.com, il servizio di Amazon che misura gli accessi web, ilmeteo.it è oggi al 22esimo posto nella classifica dei più visitati, con oltre due milioni di utenti unici ogni giorno (di cui oltre la metà dai telefonini), mentre il primo indirizzo per adulti (xhamster.com) arranca al 29esimo. E i risultati economici sono di tutto rispetto: già nel 2011 – ha dichiarato il fondatore del portale delle previsioni Antonio Sanò - la raccolta pubblicitaria è stata pari a 5 milioni di euro, con un altro milione incassato dalla vendita di servizi.
Un affarone, dunque, che però a volte nasconde qualche magagna. La prima riguarda l’affidabilità dei cosiddetti siti commerciali, che a differenza dei siti istituzionali – come quello dell’Aeronautica Militare (www.meteoam.it) e quelli delle Agenzie regionali per la protezione ambientale (Arpa) – devono la loro fortuna ai clic, tanto più numerosi quanto più estremi sono i fenomeni meteorologici segnalati. E spesso si spingono a vaticinare le condizioni atmosferiche su tempi lunghi, troppo lunghi. «Allo stato attuale delle cose», spiega Paolo Sottocorona, meteorologo e volto televisivo de La7, «previsioni ragionevoli non possono mai andare oltre i 5-6 giorni. Si possono eventualmente esprimere valutazioni su quello che accadrà da qui a 10 giorni, ma niente di più. Il resto - quei siti che propongono pronostici per i prossimi 15 giorni, per esempio - è una truffa bella e buona».
Il secondo problema riguarda, più specificamente, l’Italia, universalmente nota per essere uno dei paesi per cui è più difficile azzeccare che tempo farà. «Colpa della conformazione geografica – lo stivale è lungo oltre mille chilometri e largo appena duecento – ma anche della presenza degli archi alpini e appenninici, e del bacino del Mediterraneo», continua Sottocorona.
Il terzo guaio, se così si può dire, è rappresentato dai cambiamenti climatici a livello globale. Che stanno sparigliando le carte. «Riscaldamento globale non vuol dire semplicemente che farà più caldo», aggiunge il meteorologo: «Comporta anche che ci saranno eventi estremi, sempre più estremi e sempre più frequenti. Uno scenario che influisce parecchio sull’affidabilità dei modelli disponibili, e quindi sulla nostra capacità di fare previsioni. Io ritengo che da qui a dieci anni ci sarà bisogno di riscrivere - o per lo meno correggere - i modelli perché tengano conto dei cambiamenti in atto». Altrimenti la credibililità cadrà sempre più in basso.
La faccenda però è controversa. Dice Massimiliano Pasqui, ricercatore presso l’Istituto di Biometeorologia del CNR: il collegamento tra cambiamenti climatici e fallimento delle previsioni è molto forzato, per usare un eufemismo. «È vero che i cambiamenti climatici propongono eventi che non sono prevedibili, ma l’attendibilità dei bollettini è un’altra cosa. A pesare sull’accuratezza sono piuttosto i cosiddetti errori sistematici, cioè quelli legati alla bontà dei modelli e degli algoritmi usati, che sono predominanti rispetto agli altri fattori». È sui primi, insomma, che si deve lavorare per migliorare l’attendibilità delle previsioni.
Per venirne a capo, è allora necessario ripercorrere all’indietro il flusso di informazioni che partono dall’atmosfera, si depositano nei nostri smartphone e rovinano i sonni degli albergatori. I dati grezzi provengono sostanzialmente da rilevazioni di superficie, cioè le stazioni dell’Aeronautica, e da rilevazioni in quota, i cosiddetti radiosondaggi, cioè i palloni aerostatici che monitorano le differenze di pressione nell’atmosfera. Queste ultime misurazioni sono più precise ma anche molto costose, dunque la copertura con radiosondaggi è carente e parziale. «In Italia abbiamo circa 150 stazioni di superficie e appena sei palloni per radiosondaggi», spiega Sottocorona.
I dati vengono poi raccolti da grossi centri di calcolo che utilizzano modelli globali in grado di descrivere le evoluzioni atmosferiche a livello planetario. «In Italia ci serviamo soprattutto del centro di ricerca britannico di Reading, che usa il modello migliore al mondo ed è un’eccellenza riconosciuta», sottolinea Pasqui: «Queste centrali diffondono proiezioni anche su un’area di dieci chilometri, che a loro volta sono recepite e rielaborate da centri regionali, che ricalcolano tutti i parametri su scale locali, più piccole». Il fatto che a volte diversi siti web diano previsioni così diverse tra loro è dovuto al filtro umano del meteorologo, che interpreta i dati e valuta la stima più probabile.
Al di là della fisica e della matematica, però, a scombinare il tutto c’è la mente umana. L’accusa degli operatori turistici ha in effetti un suo fondamento, e anche un nome: si chiama “wet bias”, una sorta di “pregiudizio dell’umidità”, fenomeno scoperto nel 2002 da Eric Floehr, programmatore software e fondatore di ForecastWatch.com. Mentre analizzava i bollettini trasmessi negli Usa da tv e siti, Floehr scoprì che praticamente tutti riportavano un rischio di pioggia superiore a quello reale. A dare una spiegazione del fenomeno è stato lo statistico americano Nate Silver, autore nel 2012 del libro “The Signal and the Noise”.
Secondo Silver è tutta una questione psicologica: i meteorologi sanno che le persone tendono a considerare pressoché nulle le percentuali molto basse. Segnalare una probabilità di precipitazioni del 5 per cento avrebbe effetti devastanti sulla psiche umana, in caso di pioggia effettiva. Dunque meglio abbondare, come in effetti faceva The Weather Channel segnalando regolarmente un rischio di precipitazioni del 20 per cento anche quando quello reale era solo del 5. Più pioggia, più click. Ma anche molta più sfiducia nella Rete del tempo che verrà.
hanno collaborato Sandro Iannaccone ?e Simone Valesini