Chi è in sovrappeso rischia maggiormente di ammalarsi ?a colon, prostata, seno, reni, endometrio. Un grande studio ?mette fine alle polemiche. E fa suonare un campanello d'allarme

È un numero che racconta molto del nostro stile di vita, delle nostre regole alimentari, della nostra abitudine al movimento. È la misura del nostro benessere e del nostro stato di salute. Ma è anche un campanello d’allarme, serissimo. Stiamo parlando dell’indice di massa corporea (Body Mass Index, o Bmi), quel numero che si ottiene calcolando il rapporto tra il peso e il quadrato dell’altezza di un individuo. Se è superiore a 25 indica il sovrappeso, e non va bene. Se è oltre il 30, significa obesità. E allora bisogna preoccuparsi davvero.

Perché tra le tante malattie associate a questa condizione - da quelle cardiovascolari al diabete, che già non sono poco- c’è anche il cancro. Un legame assodato e inequivocabile, messo finalmente nero su bianco dai ricercatori dell’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro di Lione, in Francia. Che in uno studio pubblicato su “Lancet Oncology” hanno rintracciato questa relazione pericolosa spulciando tutti gli articoli sull’argomento contenuti nella banca dati Medline fino al 1 gennaio 2014. E sembrano fa virare la polemica suscitata dalla pubblicazione su “Science” di uno studio più che importante dal quale risulta che il 65 per cento di tutti i casi di tumore è frutto del caso, di un capriccio della cellula, e hanno poco a che fare con gli stili di vita.

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Il lavoro di “Science” ha scatenato una bagarre senza fine, con tutti a credere, finalmente, di potersi mangiare di tutto, fumare di tutto, bere di tutto senza che questo avesse qualche conseguenza oncologica. Inutile lo sforzo dei ricercatori che hanno per settimane minimizzato la conseguenza sul nostro comportamento del loro lavoro e riassunto così la morale del loro studio: magari non è possibile prevenire tutti i tumori, ma molti sappiamo come fare a evitarli; cominciando col non fumare, con non bere esageratamente, e col contenere il sovrappeso.

«Un indice di massa corporea pari o superiore a 25 è associato a un aumentato rischio di cancro», scrivono i ricercatori dell’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro di Lione guidati da Melina Arnold. Le prove sono evidenti: gli uomini obesi hanno un rischio maggiore di sviluppare un tumore alla prostata più aggressivo, e un maggior rischio di recidiva del tumore del colon retto. Le donne obese in menopausa con una diagnosi di tumore alla mammella hanno il 75 per cento di chances in meno di guarire a dieci anni.
Solo nel 2012, continuano gli studiosi, il numero di tumori attribuibili all’obesità negli adulti con più di trent’anni sarebbe pari a 480 mila, il 3-6 per cento di tutti i nuovi tumori diagnosticati.

Quasi mezzo milione di pazienti che, con un’alimentazione adeguata, la perdita di peso e una sufficiente attività fisica, avrebbero potuto forse evitare la malattia. Un panorama tanto inquietante da aver spinto per la prima volta l’American Society of Clinical Oncology (Asco), a guardare con occhio più attento il girovita dei loro pazienti, che non deve essere superiore a 88 cm nella donna e 96 cm nell’uomo. A parità di Bmi, infatti, l’aumento del girovita può raddoppiare il rischio di mortalità per cancro. Così gli oncologi d’oltreoceano hanno stilato una sorta di manifesto nel quale raccomandano agli specialisti di utilizzare tutti gli strumenti a disposizione per aiutare i malati obesi a perdere peso e ad adottare uno stile di vita più sano. Molti studi, spiegano gli esperti dell’Asco, dimostrano infatti che migliorare le proprie abitudini alimentari dopo una diagnosi di tumore può migliorare l’efficacia della terapia, ridurre l’incidenza di malattie concomitanti, e in sostanza aiutare a tenere sotto controllo il cancro, se non a sconfiggerlo.
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Che l’obesità sia un fattore di rischio per diverse malattie croniche è noto da tempo, avvertono i ricercatori di Lione. E sebbene la diffusione di questa condizione vari da paese a paese, sappiamo anche come il sovrappeso e la mancanza di attività fisica siano in crescita quasi ovunque, e non soltanto nei paesi ricchi, quelli in cui il benessere economico è invariabilmente associato a una dieta troppo ricca di grassi animali e di zuccheri raffinati. Le statistiche più recenti dicono che a livello mondiale il 35 per cento della popolazione adulta, quella sopra i 20 anni, ha diversi chili in eccesso, dunque un indice di massa corporea maggiore o uguale a 25. Tra questi, il 12 per cento presenta una condizione di vera e propria obesità, con Bmi pari o superiore a 30.

Ad essere colpiti sono tutti i paesi, anche se non in egual misura. In Asia e in Africa circa il 10 per cento della popolazione ha seri problemi di peso, mentre in alcune isole del Pacifico la diffusione dell’obesità tocca punte del 90 per cento della popolazione. In Italia la situazione è critica soprattutto per quanto riguarda l’obesità infantile. Gli ultimi dati dell’Istituto Superiore di Sanità dicono che nel 2012 il 22,2 per cento dei bimbi è risultato in sovrappeso e il 10,6 per cento in condizioni di obesità, soprattutto nelle regioni del meridione come Puglia e Campania. Tra gli adulti di età compresa tra i 18 e i 69 anni più di 4 persone su 10 risultano in eccesso ponderale. Si tratta in maggioranza di uomini, spesso con basso livello d’istruzione e nelle fasce economicamente più svantaggiate.

Tra gli anziani, la percentuale di persone in sovrappeso è del 42 per cento mentre quella di obesi è del 15 per cento. Il prezzo da pagare è altissimo: nel 2008, recita uno studio apparso a ottobre sul “Journal of Clinical Oncology”, nei soli Stati Uniti sono stati spesi 147 miliardi di dollari in cure mediche legate a questa condizione. Che sta rapidamente soppiantando il fumo di sigaretta come principale causa prevenibile di cancro: in questo stesso paese almeno 84 mila tumori ogni anno sono da attribuire all’obesità.

Quelli più diffusi tra gli obesi, precisano poi Giovanni De Pergola e Franco Sivestris dell’Università di Bari in uno studio apparso sul “Journal of Obesity”, sarebbero soprattutto quelli all’endometrio, all’esofago, al colon retto, alla mammella nelle donne in menopausa, alla prostata e ai reni. Meno frequenti negli obesi sarebbero invece i melanomi maligni, i tumori della tiroide, la leucemia, il linfoma non-Hodgkin e il mieloma multiplo.
Ma perché i chili in eccesso dovrebbero avere qualcosa a che fare con l’insorgenza di un tumore? «In gioco entrano molti fattori», spiega Antonio Moschetta, professore associato di medicina Interna all’Università di Bari, che in materia ha condotto studi finanziati dall’Airc: «Ma quasi tutti hanno a che fare con il ruolo del tessuto adiposo viscerale, quel grasso che si accumula proprio intorno al girovita, soprattutto con l’avanzare dell’età».

In primo luogo, spiega Moschetta, il grasso in eccesso è direttamente correlato con l’insulinoresistenza, cioè con la bassa sensibilità delle cellule all’azione di questo ormone. In questa condizione, l’organismo reagisce ordinando al pancreas di produrre ancora più insulina. E proprio questo ormone favorirebbe la crescita e l’aggressività del cancro, in particolare di quello al colon retto, al pancreas, al fegato, e nelle donne in menopausa di quello alla mammella e all’endometrio. Oggi però, continua lo studioso, stanno emergendo nuove teorie sulla correlazione tra grasso viscerale e tumori. Che chiamano in causa l’infiammazione. «Il tessuto adiposo genera infatti un aumento di un gruppo di proteine dette citochine infiammatorie, come l’interleuchina 1 e il fattore di necrosi tumorale (Tnf), ovvero molecole che attraverso meccanismi complessi finiscono per stimolare la crescita delle cellule maligne», aggiunge Moschetta.

Un ruolo importante è anche quello svolto dal colesterolo: «Le cellule tumorali accumulano questa sostanza al loro interno, servendosene per crescere come se fosse del cemento. E infatti ormai gli oncologi sanno bene che per vincere il glioblastoma, per esempio, cioè un tipo di tumore che colpisce il cervello, è necessario ridurre i livelli di colesterolo presente all’interno delle cellule maligne», continua il professore barese. Infine, gli adipociti aumentano l’attività dell’aromatasi, l’enzima che sintetizza gli estrogeni, ovvero quegli ormoni che hanno un ruolo ormai riconosciuto nell’insorgenza nella genesi e nello sviluppo del tumore della mammella.
L’allarme appena lanciato dagli oncologi americani, che chiedono una maggiore integrazione con gli specialisti che si occupano di alimentazione per una migliore gestione dei pazienti con cancro, trova terreno fertile anche tra i nutrizionisti.

«Sappiamo bene che circa il 20 per cento di tutti i tumori è riconducibile a errate abitudini alimentari», commenta Nicola Sorrentino, dietologo e professore all’Università di Pavia: «E sappiamo anche che mangiare bene per quantità e qualità, insieme a una dose moderata di attività fisica, è fondamentale non soltanto nella prevenzione del cancro, ma anche dopo una eventuale diagnosi di tumore, durante la terapia e poi in seguito, per ridurre il rischio di recidive. Ai pazienti in chemioterapia consiglio sempre di evitare per quanto possibile le proteine animali, da sostituire con i legumi, e di preferire la pasta integrale per tenere sotto controllo la glicemia. In questo senso una maggiore integrazione con gli oncologi non può che essere positiva per tutti i malati». Il warning dell’Asco, conclude Moschetta, è un segnale importante da cogliere subito: tra dieci o venti anni potrebbero essere proprio i nostri bambini quelli più esposti al cancro.