
Marcel Grossmann fornisce le indicazioni richieste dal suo giovane e disperato amico: lo strumento matematico che cerchi è il “calcolo differenziale assoluto” dell’italiano Gregorio Ricci Curbastro. Einstein impiega altri tre anni e tre mesi per formalizzare “il pensiero più felice della sua vita” e nel novembre del 1915, cento anni fa, rende pubblica per la prima volta la sua “teoria della relatività generale”: una nuova legge della gravitazione universale. Una delle conquiste dell’ingegno umano più alte. Di cui tutto il mondo in questi giorni giustamente festeggia il primo centenario.
La teoria “geometrizza” la gravità e la riduce a una curvatura dello spazio. Anzi, dello spaziotempo. È un’idea geniale - una delle idee più geniali di ogni tempo - distillata in una formula matematica. Einstein ha detronizzato Newton, titolavano i giornali nel 1919 quando l’inglese sir Arthur Eddington dimostrò, prove empiriche alla mano, che Einstein aveva ragione. Oggi la relatività generale costituisce uno dei due pilastri su cui si regge la nostra immagine fisica del mondo.
Eppure la teoria è (o, almeno, a molti appare) come la Pietà Rondanini di Michelangelo. Bella. Maestosa. Ma incompiuta. «La relatività generale contiene in sé i germi della propria autodistruzione», va sostenendo da anni il fisico inglese Stephen Hawking. L’equazione che la descrive, sostiene negli anni Trenta del secolo scorso lo stesso Albert Einstein, ha «una componente di marmo pregiato e un’altra componente di legno scadente». Va da sé che, per Albert Einstein, il legno scadente debba essere trasformato in marmo pregiato. E a questo compito il fisico tedesco dedica tutta la seconda parte della sua vita.
Come succede sempre nella storia della scienza, una grande conquista risponde a molte domande ma, soprattutto, ne apre di nuove. E le critiche di Hawking e dello stesso Einstein alla teoria indicano le due questioni lasciate aperte dalla teoria. La prima, quella di Hawking, riguarda la cosmologia. La seconda, quella di Einstein, riguarda l’unificazione delle forze fondamentali della natura. Entrambe ammettono, forse, una medesima soluzione.

Ma analizziamoli più in dettaglio, questi punti critici. Perché rappresentano la frontiera più avanzata della ricerca fisica. Partiamo dal punto indicato da Hawking. La relatività generale può essere applicata all’universo intero, come fece Einstein nel 1917 formulando le cosiddette “equazioni cosmologiche” con cui ha inaugurato la moderna ricerca sull’origine e l’evoluzione “di tutto quanto”.
Ebbene oggi sappiamo che da 13,7 miliardi di anni il nostro universo, rispettando la relatività generale, si espande. Creando continuamente nuovo spaziotempo. Ma se riavvolgessimo il film della storia cosmica lo vedremmo contrarsi, il nostro universo, ripiegare su se stesso e concentrarsi nella “singolarità iniziale”. In un punto piccolissimo, densissimo e caldissimo dove tutti i parametri fisici assumono un valore infinito. Ma per i fisici i parametri con valore infinito sono ingestibili. Dunque, sono un assurdo. Ecco perché, sostiene Hawking, occorre superare la relatività generale. Occorre una nuova teoria, più generale, che eviti la “singolarità iniziale”. Che eviti l’assurdo.
C’è poi la critica di Einstein. Il problema posto dal fisico tedesco quando descrive la duplice natura della sua formula può essere riassunto in questo modo. C’è una parte dell’equazione (quella che Einstein considera fatta di marmo pregiato) che descrive il campo gravitazionale: un’entità diffusa nello spazio in modo continuo. L’altra parte dell’equazione (il legno scadente) è la massa, ovvero l’insieme di quelle unità discrete, le particelle, il cui comportamento viene descritto, con grande precisione, dalla meccanica quantistica e dalle teorie quantistiche di campo a essa correlate. Ebbene, le due teorie, la relatività generale e la meccanica quantistica non risultano, a tutt’oggi, conciliabili.
La fisica si regge su due pilastri di analoga potenza. Ma questi due pilastri sono divergenti. Ecco perché molti fisici teorici pensano che occorra rimetterli in fase, quei due pilastri, se si vuole evitare che l’intero e maestoso edificio della fisica crolli su se stesso. Il che significa che l’una o l’altra o entrambe le teorie (la relatività generale e la meccanica quantistica) sono incomplete e, dunque, da modificare.
Per quarant’anni lo stesso Einstein si è impegnato in questo tentativo e ha cercato una teoria unitaria - la teoria unitaria dei campi - che trasformasse il legno scadente in marmo pregiato. Non c’è riuscito. Ma ancora oggi quello della conciliazione tra le due teorie è il più grande problema aperto della fisica. A differenza di Einstein, la gran parte dei teorici sembra propenso a “sacrificare” il continuo e a “salvare” il discreto. Ovvero a trasformare il marmo pregiato in un altro materiale simile a quello che Einstein considerava legno scadente. In ogni caso c’è chi giura che risolvendolo il problema della compatibilità tra relatività generale e meccanica dei quanti si darebbe soddisfazione anche al problema della “singolarità iniziale” posto da Hawking (e da tanti altri).
Non c’è modo migliore, per festeggiare i cento anni della relatività generale, che verificare come essa non sia affatto una teoria superata, ma una teoria viva. Che entra nel merito delle questioni aperte.
Quello che forse Einstein non avrebbe immaginato è che, dopo cent’anni, essa sarebbe stata alla base di tecnologie che pervadono la nostra vita quotidiana. Due su tutte. I vecchi televisori con tubi catodici potevano funzionare solo tenendo conto, nella loro progettazione, degli effetti dovuti alla relatività generale. Ma c’è un’applicazione ancora più recente e altrettanto pervasiva: il Gps, il sistema di navigazione satellitare in dotazione alle compagnie aeree così come ai nostri cellulari che consentono, in ogni momento, di calcolare le distanze con una precisione molto elevata, anche di soli pochi metri. Se il Gps non tenesse conto degli effetti di relatività generale, l’errore nel localizzare la pista d’atterraggio o il ristorante preferito potrebbe essere anche di alcuni chilometri. E il Global Positioning System sarebbe pressoché inutile.
Non possiamo prevedere quali saranno i prossimi sviluppi tecnologici dell’applicazione della relatività generale di Einstein. Tuttavia possiamo alimentare alcune speranze che riguardano i nostri viaggi nello spazio e (forse) nel tempo. Per quanto riguarda i primi l’applicazione della relatività generale è tanto scontata quanto necessaria. Se vogliamo andare su Marte, nel calcolare la giusta traiettoria dobbiamo tener conto degli effetti relativistici. Su questo, anche da un punto di vista tecnologico, c’è poco da studiare. Già oggi le sonde che inviamo in giro per il sistema solare navigano tenendo conto della curvatura dello spazio e seguendo, dunque, le leggi della relatività generale.
Molto più avveniristiche - anzi, per ora, del tutto speculative - sono le previsioni dei viaggi nel tempo. La relatività generale non esclude che sia possibile scarrozzare avanti e indietro, tra passato, presente e futuro. Infatti, potenti campi gravitazionali possono (potrebbero) curvare lo spazio tempo fino a creare dei wormholes (letteralmente buchi di verme), dei cunicoli che potrebbero in maniera più o meno istantanea trasferire un’ipotetica astronave in un’altra parte dello spaziotempo: in un’altra galassia o, anche, in un altro presente, che risulta passato o futuro rispetto al nostro. Diciamo che questi potenti campi gravitazionali esistono e sono quelli prodotti dai “buchi neri”, oggetti cosmici previsti dalla relatività generale ed effettivamente rilevati dagli astrofisici.
Non è stata, invece, ancora provata l’esistenza dei wormholes . Né tantomeno è stata messa a punto un’astronave in grado di entrarci dentro. Nulla vieta di sperare che in futuro gli uni e l’altra diverranno d’attualità. Ma meglio fare, per ora, esercizio di prudenza. Quel medesimo esercizio di sano scetticismo fatto proprio da Einstein quando Kurt Gödel, considerato con Aristotele il più grande logico di sempre, gli dimostrò che in base alla sua teoria della relatività i viaggi nel tempo sono possibili. Dopo un attimo di riflessione Einstein rispose, secco: e allora significa che nella teoria c’è qualcosa di sbagliato.