Giulio Cavalli, registra e blogger racconta l'epopea del maratoneta che vinse i giochi Olimpici di Londra nel 1908  ma fu squalificato. Un elogio dei 'secondi' che ci insegnano il valore dell'empatia e della debolezza

Io sono colui che non ha vinto e ha perso la vittoria, dice Dorando Pietri dopo essere stato squalificato alla maratona dei Giochi Olimpici di Londra nel 1908 perché sorretto dai giudici di gara nei suoi ultimi stremati metri di pista. E con queste parole diventa il paradigma del “non vincitore”: non è un perdente come solitamente inteso, piuttosto un nodo alla gola che impedisce di toccare il cielo. Primo ma squalificato quindi cacciato dalla fama degli annali ma con un’empatia che l’ha consegnato alla storia ancor più del vincitore.

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'Dorando Pietri' da leggere e ascoltare: ecco come
27/2/2015
Abbiamo bisogno di campioni come Pietri, in questo tempo di bulli sfrontati e arroganze metallizzate, per ritornare umani, guardarci in tutta la nostra carne e debolezza (come certo non sono gli eroi), così simili ai nostri figli, ai nostri amori e alle nostre appassionate debolezze.

Chi, come me, ha il privilegio di lavorare con le parole si assume anche la responsabilità di scegliere che storia raccontare: sui libri e nel teatro (per fortuna) non esiste “l’obbligatorietà dell’azione letteraria” e quindi ci perdiamo a scavare tra le vecchie figurine che potrebbero insegnarci, oggi, qualcosa che forse ci siamo persi: la foto in bianco e nero del piccolo e stralunato Dorando Pietri, maratoneta di Carpi arrivato fino alla regina d’Inghilterra, ci ammonisce a prenderci cura delle fragilità che impediscono o hanno impedito una vittoria.

Poi c’è il “modo” della narrazione, come appoggiarla di questi tempi in cui tutto è immagine, velocità, un pot-pourri emozionale a portata di clic e allora, anche in ossequio agli ultimi metri di Dorando, abbiamo pensato che forse “la Rete” potrebbe essere un giaciglio caldo per una storia con i suoi tempi naturali, semplicemente da ascoltare. Un riposante ascolto come appoggiato alla poltrona con la voce di una vecchia radio a transistor: il radiodramma, quindi.

Radiodramma come teatralizzazione senza palcoscenico dove la parola arriva pronta per essere vestita con gli indumenti e gli scenari dell’immaginazione senza bisogno di stereotipi, di indicazioni per filo e per segno; il radiodramma oggi può essere la voce ancora “spessa” dell’incontro tra il teatro e il Web. E allora la maratona diventa una musica di sottofondo con cui leggere la propria giornata, i quotidiani impicci, i giornalieri pendolarismi e immagino volentieri qualcuno con le cuffie all’orecchio su un tram o in metropolitana che risponde al «cosa ascolti?» con «la storia di quello che arrivò secondo alla maratona di Londra». E mi vedo la sorpresa, sul tram o sul bus, di spendere un minuto per le vittorie mancate e la ragioni di una sconfitta. Buona lettura. E buon ascolto.