È inverosimile che Tripoli catturi il capo della polizia giudiziaria ricercato dalla Corte dell'Aja: non solo per motivazioni politiche, ma anche perché il Paese nordafricano non ha mai ratificato lo statuto di Roma

"Arrestate Almasri e consegnatecelo”: la richiesta del procuratore della Corte penale internazionale alla Libia

Ora il procuratore della Corte penale internazionale, Karim Khan, chiede direttamente alla Libia di consegnare alla giustizia Almasri, all’anagrafe Njeem Osama Elmasry, il capo della polizia giudiziaria di Tripoli arrestato e poi rimpatriato dall’Italia con un aereo Falcon in uso ai servizi segreti. “Abbiamo emesso un mandato di arresto per lui ma è fuggito ed è tornato in Libia passando per l’Italia”, ha detto Khan in un briefing al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Bisogna consegnarlo alla Corte dell’Aja “affinché possa essere processato per i crimini che presumibilmente ha commesso”.

Perché la Libia non riconsegnerà Almasri

La richiesta del procuratore della Cpi cadrà ragionevolmente nel vuoto. Non solo per motivi di volontà politica: è inverosimile che Tripoli consegni un proprio uomo, soprattutto in questo momento di grandi turbolenze seguite all’omicidio di Al Kiki, capo di una delle tante milizie che spadroneggiano nel Paese nordafricano. Ma anche per motivi più squisitamente giuridici: la Libia (come tanti altri Paesi, tra cui Stati Uniti, Cina e Russia) ha firmato nel 2000 ma poi non ha mai ratificato lo statuto di Roma sulla Corte penale internazionale. E, quindi, non è tecnicamente obbligata a dar seguito alle sue richieste.

Il cavillo di Tripoli (e del governo italiano)

Il caso Almasri è al centro del braccio di ferro tra il governo italiano e la Cpi, che ha accusato Meloni & Co di non aver rispettato l’obbligo, previsto dallo statuto di Roma ratificato dall’Italia, di applicare il mandato d’arresto internazionale emesso dalla stessa corte internazionale. L’Italia, che   dopo una serie di proroghe ha mandato solo qualche giorno fa una propria memoria difensiva a L’Aja, ha allegato al documento una precedente richiesta d’estradizione avanzata dalla Libia per processare in patria Almasri perché a sua volta oggetto di un mandato di cattura emesso dalla procura di Tripoli. Almasri, si legge nel documento, è accusato dalla giustizia libica di aver “avuto un ruolo di comando nelle violenze scoppiate nel quartiere di Abu Salim a Tripoli il 14 agosto 2023” e che “le azioni condotte sotto la sua autorità hanno provocato numerose vittime civili e distruzioni di beni”. Nel documento firmato dal procuratore Mohamed Al Muqaryef si chiede di “arrestare l’imputato ovunque si trovi, assicurarlo alla giustizia libica per essere processato secondo le leggi in vigore, collaborazione con le autorità giudiziarie italiane per l’identificazione, detenzione provvisoria e la consegna”. Documento ora usato come arma di difesa dal governo italiano per rispedire  al mittente l’accusa di non aver rispettato il trattato di Roma, che obbliga l’assicurazione alla giustizia di chi è ricercato dalla giustizia internazionale. Un ulteriore tentativo autodifensivo, dopo quelli (goffi) del ministro della Giustizia Carlo Nordio nei primissimi giorni dopo il caso Almasri. Ma sono tanti gli elementi che non tornano in questa ricostruzione. 

 

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