Decorate con fili di seta. Costose. Oggi rarissime. E custodi di messaggi toccanti. ?Una collezione privata scrive una pagina inedita della vita in trincea

Mia carissima sorella, sono lieto di annunciarti che a quanto pare tornerò a casa sano e salvo. Così scriveva in inglese il 12 agosto 1918 un militare chiamato Alfred, molto probabilmente un ufficiale dell’esercito britannico. Lo scriveva in una cartolina di seta ricamata con la bandiera italiana, una delle “Embroidered Silk Postcards” apparse al grande pubblico per la prima volta nell’Exposition Universelle di Parigi del 1900. La loro produzione è durata poco più di mezzo secolo, ma il loro maggiore utilizzo è coinciso proprio con la Prima guerra mondiale e con i due anni immediatamente successivi.

LO SPECIALE I DIARI DELLA GRANDE GUERRA

Delle cartoline ricamate si sa poco: anche se ne sono stati prodotti circa dieci milioni di esemplari, pochissime sono sopravvissute. Per questo sono particolarmente preziose le duecento, tutte con ricami differenti, che sono conservate in perfette condizioni a Castellammare di Stabia (Napoli). Lì abita Giuseppe D’Angelo, forse il maggiore collezionista privato in Italia. Che vedendo le cartoline citate nei primi volumi delle “Cronache dal fronte” ha deciso di far conoscere la sua preziosa collezione.

[[ge:rep-locali:espresso:285156187]]«È stato un lavoro paziente e meticoloso», racconta all’“Espresso” nella sua casa affacciata sui Monti Lattari. «In poco più di sei anni ho raccolto una parte di quelle relative alla Prima guerra mondiale e per farlo mi sono rivolto a francesi, inglesi e australiani scovati su Internet. In quel periodo l’Italia inviò quattro miliardi di lettere e cartoline, ma sembra che quelle di questo tipo non abbiano avuto particolare fortuna e oggi il loro mercato in Italia mi risulta pressoché inesistente. Forse il motivo sta nella provenienza. Sono state create in Francia e in Belgio, Paesi occupati a combattere sul fronte occidentale accanto ai soldati inglesi che ne erano i maggiori acquirenti. L’esercito italiano, invece, era impegnato in trincea su quello orientale. È difficile anche reperire informazioni interessanti nella nostra lingua. Oltre ad alcune pagine on line, gli unici due volumi dedicati a questo argomento sono ancora oggi in inglese».

Il vero punto di riferimento per gli appassionati è “An illustrated history of the embroidered silk postcards” di Ian Collins che aggiorna periodicamente la pubblicazione, mentre “The Concise Catalogue of Embroidered Silk Postcards” di John Westland è un volume più tecnico.

«Le ho viste per la prima volta nove anni fa», ricorda D’Angelo. «Stavo completando le ricerche per il mio volume “I ragazzi del ’99. Gli stabiesi alla Grande Guerra” per Longobardi Editore e mi sono imbattuto in alcuni esemplari che ho inserito immediatamente nella pubblicazione, riproponendomi però di approfondirne lo studio successivamente. Quando ho visto quelle cartoline sono rimasto affascinato soprattutto dalla delicatezza dei ricami. Per un appassionato di ricerca come me, l’unico modo per conoscerle davvero è stato iniziare a raccoglierle e collezionarle».

D’Angelo, classe 1943, ha firmato più di quaranta pubblicazioni storiche. Oggi Giudice di Pace, già avvocato penalista, docente di materie giuridiche ed economiche, soprintendente onorario all’Archivio Storico di Castellammare (nonché presidente del Circolo Nautico di Canottaggio negli anni in cui gli Abbagnale conquistavano medaglie d’oro in tutto il mondo), è cresciuto tra le tele e i colori di un padre pittore. Ed è proprio all’inclinazione per la cura estetica che riconduce la sua passione per queste rare cartoline. All’estetica e alla possibilità di entrare, anche solo per pochi istanti, nelle vite di chi rischiava la propria lontano da casa e nella speranza di chi ne attendeva invece il ritorno.

Le cartoline venivano spedite all’interno di una busta di carta per proteggere i ricami, che raffigurano le bandiere delle principali forze alleate, spesso accanto a quelle dei vecchi dominions inglesi come Australia e Nuova Zelanda. Alcune riportano anche date, nomi di nazioni, immagini di gabbiani o navi da guerra, messaggi di auguri per l’anno nuovo o il Natale. Altre le scritte patriottiche: “Fino alla fine”, “Gloria ai nostri soldati” e “Restiamo uniti”. In altre ancora, il ricamo incornicia piccole foto di Vittorio Emanuele III o del Ministro della Guerra inglese Lord Kitchener, del generale francese Joffre e dello zar russo Nicola II.

I testi erano scritti per lo più a matita per la difficoltà di reperire calamai sul fronte. «La grafia e le costruzioni verbali», continua D’Angelo, «erano quasi sempre curate e ci dicono che a sceglierle erano soprattutto persone ben istruite, molto probabilmente ufficiali. Inizialmente si credeva che ogni cartolina fosse ricamata a mano, ma è stato così solo all’inizio, prima di passare ai telai per una riproduzione più rapida nei periodi di maggiore diffusione. Erano fatte con un pannello di seta incollato su una cartolina bianca con una cornice in rilievo. Ed erano piuttosto costose: venti vecchi franchi francesi o una sterlina, mentre quelle semplici erano più facilmente reperibili e costavano sei o sette pence, un impegno più accessibile e alla portata di tutti».

Oggi il sito di aste e compravendita eBay rappresenta un valido aiuto per iniziare la propria ricerca. I prezzi sono piuttosto eterogenei, da 5 a qualche centinaio di euro ciascuna per quelle dal disegno e la foto più rari e meglio rifiniti. Eppure, gran parte del loro fascino non sta nella decorazione ma nel testo. «Alcune contengono veri e propri discorsi, altre pensieri molto brevi o semplici saluti. Ne ho trovate anche con frasi prestampate e spazi bianchi per inserire mittente, destinatario e pochissime altre parole, ma quasi tutte custodiscono messaggi positivi, di speranza e rivolti al futuro. Di chi forse era consapevole che quella sarebbe potuta essere l’ultima comunicazione, ma non poteva di certo lasciarlo trasparire».

Per vedere alcune delle maggiori raccolte di embroidered silk postcards è necessario prendere un aereo per l’Inghilterra: una visita al Wolfson Centre for Archival Research di Birmingham, al Great War Archive dell’università di Oxford o alle sedi dell’Imperial War Museum sono in grado di restituire numeri, assortimento e curiosità. «Ho chiuso la mia collezione un paio di anni fa soprattutto perché trovavo solo doppioni di quelle che avevo già, ma oggi mi solletica l’idea di riprenderla in mano e di pensare a una mostra, a un catalogo o di partecipare a un’esposizione storica per rendere noto anche quest’altro pezzo della Prima guerra mondiale. Perché i soldati che le spedivano avevano paura di morire, ma ancora di più temevano di essere dimenticati».