Diari della Grande guerra, grazie al nostro speciale acquisite 41 nuove testimonianze
Salvati dall’oblio, o peggio ancora dalla distruzione, documenti e immagini inedite sul primo conflitto mondiale. Tra essi alcune memorie di grande valore, come le 1200 tra fotografie e lettere, appartenenti al capitano di fanteria Luigi Coeta, morto nel 1917
Sono 41 voci, 41 testimonianze della Prima guerra mondiale che l’Archivio diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano e il Gruppo L’Espresso hanno contribuito a salvare dall’oblio. O peggio ancora, dalla distruzione.
È questo il bilancio a un anno dalla messa online del sito “La Grande Guerra, i diari raccontano”, progettato e realizzato in vista delle commemorazioni europee per il centenario dallo scoppio del primo conflitto mondiale. Un database ideato per rendere accessibili a chiunque, in rete, i documenti inediti di soldati e civili testimoni delle drammatiche vicende del ’15-’18, che l’Archivio dei diari ha raccolto e conservato nei suoi 30 anni di vita.
Il lancio del sito, così come è avvenuto di recente con l’uscita in edicola della collana “Cronache dal fronte” che dal sito ha tratto ispirazione, è stato accompagnato da un invito esplicito rivolto ai lettori e ai cittadini italiani. Un appello a partecipare al progetto inviando diari, memorie o lettere di soldati, o civili, vissuti nel periodo delle ostilità.
Tra i moltissimi che hanno scritto all’indirizzo di posta grandeguerra@archiviodiari.it per esprimere gradimento all’iniziativa o chiedere le informazioni più disparate sulla Prima guerra mondiale - dimostrando ancora quanto sia radicato in Italia l’interesse per questo avvenimento storico - in molti hanno segnalato il possesso di documenti in tutto o in parte inediti, avviando l’iter per la trasmissione di copie degli originali o degli stessi originali all’Archivio dei diari.
Così tra gli scaffali della fondazione toscana è nato e si è stratificato il fondo inedito “L’Espresso – I diari raccontano” che con il passare dei mesi ha raggiunto, come detto, le 41 unità. Alcune testimonianze sono monumentali per volume e ricchezza dei materiali che raccolgono. Un esempio su tutti è quello del fondo “Luigi Coeta”.
Luigi, di Milano, è stato un capitano di fanteria, morto sul Col del Rosso (Asiago) nel luglio del 1917. Ha lasciato qualcosa come 627 lettere scambiate col padre Remigio e il fratello Mario, oltre a circa 630 tra fotografie e lastre fotografiche che immortalano alcuni dei momenti più significativi della sua guerra. Al lungo lavoro di riordinamento e inventariazione di questi materiali seguirà quello di analisi e “estrazione” dei contenuti che consentirà a Coeta di aggiungersi all’elenco degli autori presenti sul sito (oggi 170 tra quelli già pubblicati e in corso di pubblicazione).
Altri testi più snelli e facili da fruire sono stati invece già esaminati e resi consultabili in qualche passaggio essenziale. Tra questi alcuni hanno aggiunto piccoli, preziosi tasselli di quella microstoria che spesso, al pari delle grandi ricostruzioni scientifiche, contribuisce a scrivere la Storia di tutti noi, quella con la “S” maiuscola.
È il caso della testimonianza del frusinate Arturo Cesari, sottotenente del 17° fanteria brigata Acqui, che ci ha lasciato una memoria in cui racconta alcuni momenti cruciali della sua permanenza al fronte fino al ferimento, avvenuto il 30 marzo 1916 sulla collina di Selz, presso Monfalcone (GO). “Uscii dalla trincea per vedere tutti i miei soldati e per spronarli sempre di più - racconta Arturo - ma nella schiena intesi una percossa come una forte bastonata, girai su me stesso e caddi al suolo. Ero ferito!”. La narrazione di Cesari ha una particolarità che la rende quasi unica rispetto alle altre consultabili nel sito “La Grande Guerra, i diari raccontano”. È quella di intersecarsi, fino quasi a sovrapporsi, con quella di un altro richiamato al fronte, il sottotenente di Ortona (CH) Alfonso Onofrii, arruolato nel 18° fanteria della stessa brigata, la Acqui, che negli stessi giorni combatte negli stessi luoghi di Cesari e registra una cronaca altrettanto puntuale degli avvenimenti. E subisce una ferita analoga, sebbene molto più lieve. “L’azione si era conclusa bene per noi – annota Alfonso - la parte di trincea era stata occupata e così la collina di Selz rimase in nostro possesso. Un particolare singolare in quell’azione fu lo scoppio di un proiettile di artiglieria di grosso calibro, o di una bombarda, alle mie spalle e a brevissima distanza. Mi scaraventò a terra con estrema violenza, producendomi forti contusioni e lacerazioni alle ginocchia, che andarono a sbattere contro una roccia. Mi rialzai subito e rimasi al buio in una nube nera, formata dall’esplosione, che mi aveva anche procurato un forte stordimento. Quando rientrai in trincea dovetti disinfettare le ferite ed applicare delle bende”.
È una piccola impresa degna di nota l’aver riunito a cento anni di distanza le testimonianze di questi due commilitoni, che forse si sono sfiorati o conosciuti, o forse no, ma che hanno comunque combattuto gomito a gomito, tramandando “memorie parallele” così collimanti da rendere ancor più eloquente e significativa la testimonianza storica che racchiudono.
Tra le testimonianze raccolte e pubblicate nell’ultimo anno c’è anche la memoria di Giuseppe Betti, soldato senese di cui ignoriamo il reggimento di appartenenza, che in un frammento scritto a caldo al termine delle ostilità, ha raccontato un episodio sconosciuto alla storia ufficiale e che fornisce, però, un altro prezioso elemento a sostegno della campagna per la riabilitazione dei fucilati della Grande Guerra che l’Espresso sostiene da tempo.
Infatti nel settembre del 1917, ricorda Giuseppe che “terminato il turno di trincea andammo a fare il famoso riposo vicino a San Giorgio di Nogaro dove avevo passato vita tranquilla, ma un ordine improvviso ci richiamava in trincea, i soldati stanchi si rivoltano e ci fu uno scambio di fucilate che durò una notte pagando il male fatto tre soldati con la fucilazione. Accompagnato in trincea con carabinieri e mitragliatrici giungemmo al vallone di Doberdò e di lì in prima linea sotto la pioggia e un forte bombardamento”. È la prova di un’altra rivolta sedata con un plotone di esecuzione, dell’esistenza di altre tre vittime molto probabilmente designate con il metodo della decimazione e che, con altrettante probabilità, non figurano nel computo ufficiale dei soldati sottoposti a queste drastiche misure. Un altro di quei casi per i quali l’opinione pubblica, sulla scia di quanto avvenuto nella gran parte dei paesi europei, chiede un gesto di clemenza non tanto giuridica, quanto politica, per riabilitare la memoria di quelli che a tutti gli effetti dovrebbero essere considerati dei “caduti per la patria”.
Infine, tra le numerose altre perle della memoria che questo vasto lavoro di recupero delle testimonianze ha fatto affiorare, merita una menzione questa composizione poetica dialettale, opera dal bersagliere Luigi Stacconeddu di San Pasquale, frazione di Santa Teresa di Gallura (OT), scritta nel febbraio del 1918. Il titolo originale è "Gaddhùra", cioè Gallura, un’ode alla propria terra che risulta ancor più commovente se si pensa che Luigi la scrive in prossimità del fronte, a Vicenza, dopo circa tre anni di combattimenti in trincea.
Ecco le ultime due strofe composte dall’autore:
"O Patria mea cara e faurita, La me’ dulci Gaddhùra a cos’assisti! Sempri illa menti a te agghju sculpita Chi mi desti la vita e mi nutristi; E tutti l’alti cioi di la vita Cantu pudia ae’ mi cunzidisti. Chistòcchj tristi no possu cride’ Chi no t’agghju ancora di vide’ Mi dare’ sippultura tu sigundu Credu, comu la vita datu m’ai."
("O Patria mia cara e favorita La mia dolce Gallura a cosa assiste! sempre nella mia mente, te, ho scolpita che mi diedi la vita e mi nutristi e tutte le altre gioie della vita quanto potevo avere mi concedesti questi occhi tristi non posso credere che non ti potrò più vedere mi darai sepoltura tu, come credo così come mi hai dato la vita.")