Gli entusiasti dei beni messi in comune ne sottolineano l'etica "socialista". Ma c'è chi teme che l'approdo finale sia il liberismo e la nascita di nuovi monopoli. In ogni caso siamo all'inizio della terza rivoluzione industriale

Chiamatela sharing economy, economia della condivisione o “gig economy”, come dicono gli americani: economia dei “lavoretti”, fatta di impieghi precari. Ma potete parlare anche di “microimprenditoria”, sarete comunque nel giusto.

Le parole non mancano, per raccontare questo fenomeno che sta cambiando il mondo - il problema è che sono parole in contraddizione tra loro: perché ne raccontano spicchi, il quadro d’insieme non ce l’ha nessuno.
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L’economia della condivisione in realtà è divisiva, perché incarna opposti. Evoca l’etica del condividere e il liberismo più sfrenato; la fine della proprietà privata e la creazione di moloch monopolistici; rende ciascuno micro-imprenditore di se stesso, capace di far fruttare al meglio i suoi talenti e risorse (auto, oggetti, casa), ma può anche farci tutti più poveri e insicuri.

Per l’economista Jeremy Rifkin è la Terza Rivoluzione Industriale, e quando l’avremo attraversata tutta nulla, probabilmente, sarà più come prima: non il concetto di proprietà, non il lavoro, non le nostre città. Come saremo? Per ora possiamo ipotizzare scenari.

Il migliore dei mondi possibili. Secondo Rifkin, il capitalismo è destinato a sparire, travolto dall’economia collaborativa. Nella quale - grazie a nuove tecnologie e piattaforme social - ciascuno può diventare produttore/fornitore di beni e servizi a costi irrisori. Si può lavorare, viaggiare, mangiare, divertirsi in modo alternativo ed economicamente sostenibile - purché ci sia fiducia reciproca. La reputazione online diventa la vera carta d’identità di ciascuno.

E se invece fosse un incubo? Gli apocalittici nella sharing economy vedono scenari ansiogeni. «La Gig economy crea insicurezza e rischio», ha scritto il Financial Times, sottolineando l'ascesa in Europa del “Precariat”: giovani che si arrabattano tra mille lavoretti precari. Per The Atlantic l'“evaporazione” del lavoro sta creando un mondo di freelance che combattono tra loro e con la “robottizzazione” del lavoro.

Forse, se si oscilla tra accuse di neofeudalesimo ai signori della sharing economy e inni scespiriani al “Magnifico Mondo Nuovo”, è perché al fenomeno si ascrivono cose troppo diverse tra loro: giganti come Airbnb (che in Italia dal 2008 ha fatto soggiornare 2,7 milioni di viaggiatori) e la signora Maria che cucina una porzione di pasta in più e la offre su MamaU o Cucinaecondividi. Vero è che una cosa in comune ce l’hanno: il bisogno di un orizzonte più vasto. Nella logica della sharing economy c’è il consumo consapevole, basato su riutilizzo invece che acquisto, accesso invece che proprietà. Il principio? Si vive bene anche senza possedere, anzi: possedere può diminuire la qualità della vita. Dietro la condivisione c’è voglia di un nuovo modello economico, capace di suscitare passione. Per questo gli economisti si stanno prendendo i riflettori prima puntati sugli archistar: perché sono loro a progettare utopie possibili. Condivisibili.

La sharing economy porta dentro di sé speranze, sogni e incubi forse: la fine del lavoro, della proprietà, perfino - per Jacques Attali- la fine della coppia. La rivoluzione è cominciata. E l'Espresso la racconta, con uno speciale sulla Vita Condivisa: dove descriviamo la Terza Rivoluzione Industriale, i rischi per l'occupazione, le previsioni di Jeremy Rifkin, l'altruismo come “software” degli esseri umani, il futuro social delle banche, i Moocs, il crowdfunding, religione e condivisione, i guardaroba collettivi, gli home-restaurant, la musica in streaming, il nuovo ecosistema dell'informazione, l'educazione collaborativa... E i sorprendenti possibili effetti di questo rivoluzionario pensiero sulle relazioni amorose.

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