In quella che forse è la più grande fiera di elettronica e tecnologia al mondo, si è parlato soprattutto di macchine connesse, intelligenti, e capaci (già ora, sebbene in condizioni protette) di attivarsi senza pilota
Immaginate un’auto che procede a velocità costante lungo una via trafficata. Immaginate che freni per dare strada ad un’altra che si immette da una corsia laterale. Che acceleri per sorpassarne un’altra ancora. Quindi che sterzi all’improvviso, appena in tempo per evitare un pedone comparso all’ultimo istante. Ecco: ora immaginate che tutto questo accada mentre il “conducente” si gode la strada a braccia incrociate, senza muovere un dito.
Fantascienza? Forse solo in parte. Forse ancora per poco. Le smart car, le automobili intelligenti, sono già qui. Non sono ancora in grado di fare tutto da sole, ma è questione di tempo. Intanto tutti nel settore dell’automotive, e più in generale dell’industria tecnologica, si adoperano per trasformare la fantascienza vista in innumerevoli film e serie tv in realtà.
Una prova su tutte viene dal Ces di Las Vegas: durante l’edizione 2016 di quella che forse è la più grande fiera di elettronica e tecnologia al mondo, si è parlato soprattutto di macchine connesse, intelligenti, e capaci (già ora, sebbene in condizioni protette) di guidarsi da sole.
Una sfida per tutti I nomi delle aziende impegnate in prima linea per sviluppare “self-driving car” bastano da soli a dare la dimensione del fenomeno: Google, Ford, Volkswagen, Toyota, GM sono solo alcuni dei giganti impegnati nella creazione dell'automobile del futuro. Intanto, uno studio recentemente pubblicato da Juniper Research prevede che 2025 vedremo sulle strade già 20 milioni di automobili a guida autonoma. Può sembrare una cifra enorme, eppure corrisponderà solo all’1 per cento dei veicoli presenti sul pianeta. Insomma, sarà solo l’inizio.
Sempre lo stesso studio spiega infatti che l’adozione di questi mezzi inizierà dal 2021, e che fino ad allora i sistemi a guida (sempre più) assistita dovrebbero aiutare vincere l’altra grande sfida sul campo: preparare psicologicamente i guidatori a rinunciare al controllo della loro auto in favore di un sistema automatizzato.
Interessante anche il fatto che lo studio Juniper individui in Google (e non in un’azienda automotive), il player più promettente del settore. Merito certamente della sua indiscutibile capacità tecnologia e innovativa, ma anche del fatto che l’azienda di Mountain View sperimenta ormai da anni veicoli completamente autonomi sulle strade di California e Texas, tanto da poter vantare già 1,7 milioni di chilometri percorsi.
Non è da meno Ford, che come rivelato a Las Vegas dal suo amministratore delegato Mark Fields, ha da poco portato a 30 unità il suo parco di self-driving car. Presso l’enorme stand del produttore statunitense era anche possibile vedere un prototipo dotato di sistema Lidar (acronimo dall'inglese Laser Imaging Detection and Ranging) capace di trasmettere milioni di impulsi laser al secondo per determinare la distanza di un oggetto o di una superficie nel raggio di 200 metri. E vedere il radar di terza generazione generare in tempo reale un immagine 3D della realtà circostanze, era davvero un’esperienza notevole.
L’auto “sovrumana” «L’auto del futuro deve avere capacità sovrumane». A parlare è Jen-Hsun Huang, amministratore delegato di Nvidia, colosso tecnologico noto al grande pubblico per la produzione di processori grafici, schede madri e altri componenti per pc e console. Da almeno 10 anni l’azienda guidata da Huang lavora per rendere le automobili intelligenti, e al Ces incontra i giornalisti dopo il lancio della PX2, un sistema hardware e software che porterà sulle automobili elettriche una capacità di calcolo “pari a quella di 150 Apple Macbook Pro messi insieme”.
Il sorriso appena accennato, con l’entusiasmo e la determinazione più di chi si sta divertendo un mondo che del visionario, il Ceo di Nvidia descrive la macchina del futuro come «dotata di un “cervello” abbastanza potente da poter prendere decisioni in totale autonomia, e allo stesso tempo collegata al Cloud, alla “nuvola” di computer dall’infinita memoria e potenza di calcolo, dove risiede la nostra piattaforma per il deep learning DriveNet, grazie alla quale l’intero sistema - attraverso ogni automobile ad esso collegata - raccoglie dati sulla guida e sulla strada, li elabora, e li redistribuisce sul network migliorando le prestazioni di ogni singolo veicolo».
L’hardware prodotto da Nvidia può gestire fino a 12 telecamere contemporaneamente, insieme con sistemi radar, lidar e sensori ultrasonici. Nel farlo, raccoglie enormi quantità di dati che poi aggrega e quindi utilizza per prendere decisioni e “informare” la piattaforma di deep learning nel cloud. «E’ come insegnare a un bambino», spiega Huang senza nascondere il proprio entusiasmo per l’intelligenza artificiale a cui Nvidia sta lavorando, e a cui spetta il compito arduo di accompagnare e proteggere il guidatore: «Ci sono due differenti approcci nello sviluppo dei sistemi di guida assistita e autonoma», spiega infatti il Ceo Nvidia. «Uno che parte dall’assunto che il guidatore abbia ragione, l’altro che invece dà per scontato che abbia fatto la scelta sbagliata e vada corretto. Noi abbiamo scelto il secondo, e sviluppiamo i nostri sistemi in quella direzione».
Del resto, come dargli torto quando sottolinea che una macchina «non si stanca, non si distrae, non mansa sms mentre guida ed è quindi il co-pilota sovrumano di cui abbiamo bisogno»? Perché ciò sia possibile, ci vuole tuttavia ancora del tempo: «Accelerare, frenare, sterzare, sono cose che si possono già insegnare a una macchina». E poi - sempre secondo Huang -abbiamo già la potenza di calcolo per consentirle di prendere decisioni in pochi istanti, restando indipendente da connessioni mobili mai sufficientemente affidabili.
Ma «nel guidare c’è anche molto pensiero», che richiede ancora molto sviluppo nel campo dell’intelligenza artificiale. Intanto la questione di fondo resta «salvare quante più vite possibile, perché guidare è ancora la cosa più pericolosa che facciamo ogni giorno». E questo a tendere sarà possibile non solo introducendo le macchine a guida autonoma, ma trasformando radicalmente il nostro modo di intendere il trasporto privato che diventerà un servizio come un altro. E sarà molto più sicuro.
Be smart Se dunque è vero che sul fronte delle macchine a guida autonoma c’è ancora da aspettare, cosa ben diversa riguarda le smart e connected car. Quelle sono già qui. Ma cos’è esattamente una smart car? «E’ un auto che conosce il suo guidatore ed è sempre un passo avanti a lui» spiega Tom Rivers, Marketing Vp per Harman, multinazionale specializzata nella creazione di sistemi audio e infotainment per le automobili (ma anche per la casa, visto che detiene marchi come JBL e AKG). «L’auto smart è quella che sa combinare le informazioni che ha su di noi, ottenute accedendo ai nostri profili digitali, per anticipare le nostre necessità».
Qui Rivers fa l’esempio dell’uomo d’affari la cui agenda è piena di appuntamenti e per il quale la macchina può gestire autonomamente le chiamate perché “conosce” scadenze e impegni e, soprattutto, può impararne le abitudini attraverso processi di “machine learning” che, ancora una volta, avvengono nella “nuvola”. Quella stessa nuvola dove risiederanno non solo le informazioni relative al profilo dell’utente/guidatore, ma anche «quelle riguardanti tutti gli altri membri della famiglia che hanno accesso all’automobile. Ognuno con le sue personalizzazioni del mezzo e delle sue funzioni, ognuno con le sue abitudini e profilo digitale che l’automobile saprà riconoscere per adattarsi alle reali necessità del singolo in pochi istanti». Tutto questo è possibile già ora e, secondo quanto sostiene Rivers, entro un anno da oggi potremmo già vedere queste tecnologie disponibili in veicoli in vendita al pubblico.
Be connected Intanto il mercato vede comparire uno dietro l’altro modelli di automobili sempre più “Connected”. «Oggi l’automobile deve saper essere connessa tanto a internet, da cui trae intelligenza e funzionalità , quanto al guidatore cui deve saper offrire informazioni ma anche saper “chiedere”. Per esempio se ha bisogno di un intervento di manutenzione». Dan Kinney, direttore della User Experience per General Motors, ci tiene a sottolineare che «quando parliamo di “auto connessa”, intendiamo anche e soprattutto con l’utente», quindi distingue tre tipi di connessione: remota, di prossimità e all’interno del veicolo.
Quando l’auto è lontana, «l’utente può avere bisogno di sapere dove questa si trovi, in che condizioni sia, se servono interventi. O anche di bloccarne il motore in caso di furto. E questo per noi è già possibile grazie al sistema OnStar», spiega Kinney. Quando poi ci si avvicina all’automobile, le necessità cambiano: «Serve ad esempio che la macchina si “svegli”, ci riconosca e ci accolga, lasciandoci accedere e settando le nostre impostazioni preferite». Infine, dentro l’abitacolo, «la vettura deve sapersi connettere alla nostra identità digitale, per esempio utilizzando il nostro smartphone» (dove ormai risiedono quasi tutte le informazioni che ci riguardano), per riprodurre sul proprio sistema musica, informazioni relative al traffico, e mappe. Esattamente quello che ora avviene con le versioni automotive di Apple iOS e Google Android, finalmente disponibili sulle prime vetture in commercio e che tuttavia presentano ancora ampi margini di miglioramento.
Rivoluzione in quattro fasi Insomma, quello che ci attende nei prossimi anni è un cambiamento epocale dello stesso modo di intendere l’automobile, oltre che di produrla ed equipaggiarla. Forse non basteranno due anni per vedere in strada la prima self-driving car commerciale, come sostiene l’imprenditore e guru tecnologico Elon Musk. E forse non ne basteranno nemmeno 5, come si è lasciato sfuggire a Las Vegas il Ceo di Ford Mark Fields (salvo poi prodigarsi in precisazioni e distinguo).
Tuttavia la strada è tracciata e passerà per almeno quattro fasi. Come spiega ancora Kinney di GM: «Il primo passo, la connected car, è già una realtà». E già iniziano a vedersi i primi servizi che collegano l’automobile alla casa, per esempio consentendo di accendere le luci o il riscaldamento dal veicolo, oppure di aprire le porte e accendere il motore dell’auto mentre si è ancora in casa.
Il prossimo sarà la diffusione di veicoli autonomi, che apriranno la strada alla terza fase evolutiva del settore automotive, ovvero la nascita del carsharing privato». Secondo Kinney, infatti, la disponibilità di veicoli autonomi e connessi, personalizzabili secondo le esigenze di ogni guidatore, sempre rintracciabili consentirà a ogni utente di mettere la propria auto a disposizione di utenti sconosciuti, i quali – pagando - potranno accedervi ed utilizzarla con le proprie credenziali in piena sicurezza. «Il quarto step della rivoluzione automobilistica – conclude Kinney – sarà poi la realizzazione di nuovi sistemi di propulsione alternativi a quelli esistenti», che ci liberino davvero dalla schiavitù del petrolio.
E forse solo allora, la metamorfosi delle automobili così come oggi le conosciamo, sarà finalmente completa.