Cinema

Nanni Moretti e quelle radici nel Super8

di Emiliano Morreale   25 novembre 2016

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Cosa è rimasto nel regista romano degli inizi pioneristici di 'Io sono un autarchico'? I bambini come controcanto alla solitudine e al narcisismo dei personaggi, e Roma. Che qui si vede poco, ma la cui forza nei film successivi crescerà

A rivedere “Io sono un autarchico”, girato in Super8, tutto doppiato, viene ?in mente quanta tenacia ci volesse per fare i filmmaker quarant’anni fa: già riuscire a mettere insieme una fila di immagini, un ritmo, per i “superottisti” e per quelli che riuscivano a rimediare un po’ di pellicola 16mm era un’impresa, ogni immagine costava, in ogni senso. Col digitale, tra riprendere montare e mostrare passa un attimo. In film come questi invece sentiamo una cura e un’ostinazione di voler fare cinema.

Ma soprattutto, il mondo raccontato ?in quel film sembra qualcosa di lontanissimo, e risulta difficile, per chi non l’ha conosciuto, immaginare quanto rispecchiasse un’epoca e quanto invece fosse una reinvenzione ironica ?del regista. In molti si identificarono ?in questo film e nel successivo ?“Ecce bombo”, o reagirono con insofferenza. Erano ritratti di ventenni borghesi, nuovi vitelloni in cui l’impegno pareva già alle spalle, o ridotto a tic ?e a parodia. Il tono del film era difficile da situare, e a volte critica e giornalisti se la cavavano intruppando Moretti ?tra i “nuovi comici” della generazione ?di Verdone, Troisi, Benigni, Nichetti.

C’è da dire che dai primi anni Ottanta Moretti cambia passo: dalla struttura, qui evidentissima, a singhiozzo, a brevi sketch con battuta finale, a strisce fumettistiche (del resto, “Linus” era forse la rivista più letta dei giovani dell’epoca) si passerà a una maggior costruzione (“Bianca”, “La messa è finita”). Poi, inversamente, il regista ritroverà una diversa libertà e gioia ?di filmare con “Caro diario” e infine, negli ultimi quindici anni, una sorta ?di neo-classicismo sempre più trattenuto e lavorato.

Anche la sua presenza in scena cambia di segno. “Io sono un autarchico”, ?a dispetto del titolo, è un film corale, su un gruppo, in cui Moretti non è protagonista assoluto. Un titolo del genere, in anni di collettivo, poteva risultare provocatorio (oggi, nell’età ?dei social network, alle rivendicazioni ?di indipendenza all’interno ?di un gruppo si sono sostituiti narcisismi e risentimenti in massa ?da consumare in privato). Il baricentro tra protagonista e coro si sposterà a favore del primo in “Ecce bombo”, ma è solo negli anni Ottanta del riflusso che Moretti diventerà emblema di un individualismo di sinistra, sulle ceneri del Movimento e intriso di esigenze ?e idiosincrasie morali più che ?di istanze politiche.

Dal punto di vista visivo, in “Io sono un autarchico” Moretti attore non è ancora quel che sarà ben presto: il baricentro delle scene, che permette di esplorare lo spazio attraverso dei movimenti ?di macchina rivelatori, che lo isolano, ?lo seguono, vengono indirizzati dal suo passo e dal suo sguardo. Mentre tornerà spesso un elemento che già qui è presente: i bambini come controcanto alla solitudine e al narcisismo ?dei personaggi, che rivedremo ?in “La messa è finita”, “Caro diario”, “Palombella rossa” eccetera. ?E se qui Roma si vede poco, la sua forza nei film successivi crescerà, ?in set indimenticabili e come sfasati, come mostrati un attimo prima ?che scompaiano, con la nostalgia ?del presente.